Ci si potrebbe lasciar andare al sentimento di ipocrita indignazione respirato in questi giorni per il comportamento del tal Angelini, suonatore e imprenditore gastronomico improvvisato, molto ben inserito nella rampante aristocrazia sotto-culturale romana. Le dimostrazioni d’affetto e comprensione dimostrate nei suoi confronti dal mondo artistico hanno lasciato interdetti i più. Non di certo chi respira l’aria romana e chi conosce i motivi reconditi dietro quella protezione di censo scesa a salvaguardare non tanto il singolo soggetto quanto una determinata visione delle cose e uno specifico atteggiamento individuale.
La gogna pubblica alla quale è stata sottoposta la sua lavoratrice in nero e amica, rea di non essere stata fedele alla concessione caritatevole consistente in un lavoro a basso costo, è diretta conseguenza di un’ideologia che non solo la “sinistra” in quasi tutte le sue articolazioni ma anche l’ambiente artistico ha sposato nel nome del merito e della civiltà. Quello specifico ambiente si è reso sin da tempi non sospetti – al di là delle occasionali e ambigue operazioni di marketing ideate da miliardari annoiati a sostegno dei lavoratori della cultura in crisi – complice e artefice della separazione tra sinistra e popolo, avvenimento storico ormai del tutto consumato.
Creatività, merito, debito e colpa costituiscono gli architravi sui quali poggia le basi la mentalità manageriale dei nostri tempi. I sistemi di giudizio sul lavoratore del nuovo management consistenti in protocolli valutativi sulle capacità esistenziali dei singoli e in ricompense individuali in nome della prestazione hanno sfaldato l’idea un tempo comune che il lavoro consistesse in un diritto da proteggere collettivamente. L’individuo possiede un capitale sociale e deve ragionare come un’impresa. Chi saprà mettere a frutto con scelte ispirate alla razionalità economica il proprio investimento iniziale potrà beneficiare della partecipazione al club esclusivo dei meritevoli. Un soggetto che quindi dovrà di continuo creare le condizioni perché le proprie idee, la propria fantasia o le proprie attitudini siano considerate degne di impiegabilità. Tutti sono capitalisti.
I rapporti di subordinazione quindi non si basano più su un piano piramidale e palesemente gerarchico. Anzi sono ispirate a una rincorsa apparente verso la libertà. Ogni essere umano è un creatore. Creatore di sé stesso all’interno delle logiche evolutive del mercato, che educa alla dimensione del progresso. L’artista quindi diventa il prototipo dell’imprenditore di sé. La sensibilità creativa si sovrappone all’idea innovativa e al rischio che contraddistinguono l’azione dell’imprenditore. Chi non è capace di applicare alla propria esistenza una mentalità definita coraggiosa al massimo potrà essere compatito con slanci di beneficenza ma pagherà sempre colpe proprie.
Per questo motivo il buon Angelini ha potuto descrivere l’amica come una sostanziale “poveretta” in stato di bisogno. Lo sguardo paternalistico e neo-aristocratico nei confronti del popolino però ammantato da continui proclami ispirati alla generosità umanitaristica, alla civiltà progressista e alla liberazione individuale dalla morale borghese e oppressiva è del tutto comparabile all’arroganza e alla violenza dei vecchi reazionari. Questa nuova casta – rappresentata in tutte le salse in programmi di Regime quali appunto Propaganda Live – conduce appunto un’operazione mistificatoria. Si batte in linea del tutto teorica per contrastare quella morale padronale e conservatrice, oggi del tutto scomparsa, propria della vecchia borghesia per avallare, nel nome della pace nel mondo e della lotta al militarismo burocratico, gli imperativi di comando della nuova cultura capitalistica che assoggetta l’individuo nella sua completa dimensione esistenziale ormai depurata dalla propensione al conflitto collettivo.
In tal modo il regno artistico/culturale o meglio quello che si auto-rappresenta come tale, vuole rafforzare i vincoli di subordinazione gerarchica oggettivamente operanti negli attuali rapporti sociali che schiacciano l’individuo attraverso il ricatto della colpa e del debito. Ma con l’illusione della libertà e dell’autocontrollo. La disoccupazione si manifesta per deficit caratteriali. Avvenimento adiacente al fallimento d’impresa. Così l’amica dell’artista si trasforma in una pazza o una depressa, magari bisognosa di psicofarmaci o di medicalizzazione. Così il bohemien di regime potrà lamentarsi in pubblico, e senza alcuna vergogna, della Lesa Maestà da lui subita con l’applauso festante dei colleghi nobiliari sempre in prima linea nel denunciare ipotetici fascismi alle porte ma senza mai interrogarsi sulla propria attitudine alla militanza nell’esercito di camicie nere che divulgano il buon senso comune contemporaneo.
Quell’olio di ricino ridanciano e canzonatorio nel quale la satira più becera diventa arma di dominio e attraverso la quale si sostanzia il disprezzo per la classi popolari e la loro arretratezza. Un piccolo mondo di cafoni in canottiere di lana ingiallite che osa sfidare il club degli aventi diritto di parola. Nel quale o sei un imprenditore green, un lobbista, un operante della solidarietà caritatevole, un chitarrista, un attore pieno di progetti, uno chef, un giornalista specializzato in pettegolezzi politici, un banchiere o sarai condannato all’invisibilità. Un nessuno da sopportare e di tanto in tanto da compatire. Basta che metta in ordine e non disturbi i salottini con vista panoramica nei quali il chiacchiericcio di potere si fa chiamare cultura.