Lo sciopero dei lavoratori Amazon in lotta per ottenere condizioni d’impiego non assimilabili alla servitù è di cruciale importanza. Da anni le organizzazioni sindacali hanno accettato supinamente le coordinate ideologiche del Capitale incentrate sulla produttività, sull’impresa di sé, sulla flessibilità come condizione di emancipazione e di libertà. Per questo oggi si dichiarano europeiste e sono riuscite ad avallare tutte le controriforme reazionarie presentate dal blocco dei partiti neo-liberali, PD in testa.
Ma il punto è uno. Se per il capitale l’individuo contemporaneo deve percepirsi come un’impresa che sceglie razionalmente le condizioni che offre il libero mercato in una dinamica evolutiva e di progressiva auto-disciplina al mercato stesso, la “concessione” di un lavoro sarà presentata sempre come un’opportunità, un’elargizione perché ognuno possa aumentare sagacemente il proprio capitale sociale. Questo schemino che ha portato i lavoratori dell’immateriale a immedesimarsi nelle ragioni dei propri oppressori è stato allargato – attraverso la privatizzazione del diritto pubblico – anche ai lavoratori del terziario, i quali subiscono, senza alcuna protezione, le conseguenze più drammatiche di questo processo.
Il Capitale così non è più disposto a ragionare per quote di salario o per riconoscimento di diritti. Ma si propone di acquisire – attraverso il lavoro – attitudini, potenzialità future, personalità. Facile utilizzare tutto questo armamentario per mettere in concorrenza tra loro i lavoratori stessi e spremerli sul piano della produttività. Anestetizzando così il conflitto. La forma pedagogica di dominio spiana la strada al completo asservimento dell’individuo. La corresponsione di un minimo salario parametrato sui risultati – ancora la retorica sul merito – indica la volontà di comprare intere esistenze. Si può lavorare anche 24 ore.
Solo il conflitto può rovesciare questi paradigmi ideologici perché si possa ritrovare una strada che faccia riemergere la sostanza della democrazia. Per disarticolare l’assolutismo del cittadino consumatore sul quale è stata cucita l’idea irrazionale e predatoria di un massimo profitto etico.