Destano però un’involontaria ammirazione l’audacia (rectius: sfrontatezza) e il perfetto tempismo con cui l’ex cavaliere e “utilizzatore finale” si è lanciato nella corsa al Quirinale, spiazzando i c.d. avversari e soprattutto i sodali. Per capire il significato del suo azzardo occorre tener presenti alcuni dati di fatto. In apparenza il nostro non è mai stato così debole e marginale: l’età avanzata, il declinare delle forze e una FI ridotta al lumicino e in procinto di sfaldarsi sembrano evidenti svantaggi, malamente compensati da una conversione all’europeismo che è mera scelta tattica di sopravvivenza. All’interno di un centrodestra dato in continua crescita Berlusconi interpretava, nell’opinione degli osservatori, il ruolo di (logoro) vaso di coccio stretto fra due di ferro… eppure – e forse anche per questo – dall’improvvisa mossa del cavallo egli non ha nulla da perdere, e parecchio se non tutto da guadagnare.
All’inizio gli alleati, pur sorpresi, lo hanno supportato a parole. Può darsi abbiano derubricato la nuova sfida a capriccio senile, ritenendola una boutade in fondo persino utile, perché capace di trasmettere l’idea di un centrodestra unito dietro un candidato di bandiera a fronte dell’afasia e dello smarrimento delle altre debolezze politiche. Silvio però non è un alfiere qualsiasi, e sottovalutarlo è sempre stato un errore – anche perché gli sfondoni, al solito, li hanno commessi i suoi competitori, che del vecchio marpione non hanno certo il fiuto. Forte di risorse cospicue e di una non meno inesauribile spregiudicatezza Berlusconi si è messo al lavoro da par suo, iniziando a sondare (si fa per dire…) i tanti parlamentari alla deriva fra Palazzo Madama e Montecitorio; nel frattempo il Migliore per antonomasia, paventando il prossimo riesplodere della pandemia, ha provato goffamente a incoronarsi da sé (scontentando un po’ tutti: ci vuole stile, perbacco!) e, con il rapido precipitare della situazione sanitaria, i liberisti “de sinistra” sono andati nel pallone, riducendosi a balbettare nomi a casaccio per poi implorare Mattarella di concedere uno sforzato bis. Insomma: grazie all’insipienza altrui la candidatura di Berlusconi si è andata rafforzando man mano che i giorni passavano, ed oggi una sua elezione non appartiene più alla dimensione dell’inverosimile.
Fino all’ottobre scorso (con i numeri della pandemia apparentemente sotto controllo) Mario Draghi sembrava predestinato al Quirinale, e anche adesso resta il favorito nonostante incertezze e svarioni: la tacita minaccia di abbandonare la nave – e di lasciarla in balia dei marosi finanziari – potrebbe mettere in extremis d’accordo tutti. I partiti fanno la voce grossa per mostrare di esistere, ma leader e comprimari sanno bene che le decisioni davvero importanti vengono prese altrove, nei palazzi brussellesi e in quelli del potere economico sovranazionale. Se Draghi deve essere, Draghi sarà, anche se potrebbe essere più complicato del previsto vendere all’opinione pubblica (peraltro già lobotomizzata) un Salvatore della Patria che, a conti fatti, non sta salvando nessuno. L’ex premier potrebbe però mettersi di traverso, impallinando il prescelto (che a quel punto si chiamerebbe fuori piccato) e proponendosi a una platea eterogenea di amici recalcitranti ed ex nemici convertiti sulla via di Arcore.
L’ascesa di Silvio al Colle spariglierebbe le carte, danneggiando paradossalmente più di tutti i suoi ambiziosi alleati, che non a caso si muovono scompostamente e recitano quotidianamente il mantra del “piano B”. Tralasciamo le dichiarazioni di stima e sostegno: sono di facciata. Alle prossime politiche (se e quando si terranno) il centrodestra si presenta rebus sic stantibus con i favori del pronostico, ma il quadro potrebbe rapidamente mutare nell’evenienza di un’elezione dell’ex cavaliere, figura che suscita più di ogni altra sentimenti contrapposti. Frotte di elettori disillusi potrebbero rivolgersi, in preda a una violenta indignazione, a quel centrosinistra più frattaglie in cui pure non credono affatto, restituendogli una chance di successo – e uno scenario simile non è di sicuro auspicabile per Salvini e Meloni, che a quel punto avrebbero ben altre preoccupazioni che quella di contendersi il primato e Palazzo Chigi. D’altra parte Lega e Fratelli d’Italia non possono boicottare apertamente Berlusconi, loro temporaneo “garante” nei confronti della c.d. Europa (che li disdegna per l’estremismo plebeo, benché siano iperliberisti come tutti gli altri) nonché detentore di uno strapotere mediatico che potrebbe all’occorrenza venir impiegato per punire i “reprobi”. Tocca far buon viso a cattivo gioco, sperando che i calcoli del Berlusca siano ottimistici e sbagliati e magari che un aiuto esterno agevoli l’affermazione non più scontata di Draghi.
Quanto al centrosinistra la “denegata ipotesi” gli regalerebbe, come detto, un efficace argomento da campagna elettorale (in un Paese con poca memoria anche un antiberlusconismo d’accatto e insincero potrebbe far presa), ma ai piani alti sanno bene che una miracolosa vittoria alle politiche farebbe da preludio a un’incerta navigazione in un mare procelloso. Sebbene l’uomo di Arcore abbia per convenienza abbracciato l’Europa (quella stessa “Europa” che una decina di anni fa l’ha sfrattato in malo modo da Chigi), la sua inaffidabilità è proverbiale e universalmente nota, la fiducia in lui inesistente: una sua presidenza, oltre a esporci al ridicolo, agevolerebbe il compito di quelle forze esterne che all’Italia continuano a guardare come a un boccone prelibato. Non va dimenticato che dovremo restituire a breve i prestiti del PNRR e che la “tregua di bilancio” è destinata a finire: al primo passo falso scatterebbe un commissariamento più esplicito e brutale di quello che risponde al nome di Governo Draghi.
Comunque vada a finire, siamo (quasi certamente) rovinati… e in definitiva mi rendo conto di aver scritto questa “riflessione” solo per passare un po’ di tempo. Al di là di ogni considerazione di carattere morale va comunque dato atto al… leone (con una sola enne, ovviamente) di Arcore di aver conservato anche in vecchiaia una cinica abilità che lo fa in qualche modo giganteggiare in mezzo a uno stuolo di mestieranti.