Ad un anno di
distanza cerchiamo di analizzare le politiche di gestione del territorio della
Regione Emilia-Romagna, inconfutabili concause del disastro
Nelle prime settimane del mese di maggio del 2023 la Romagna e la provincia di Bologna, a seguito della prolungata permanenza di una vasta zona di bassa pressione definita in gergo meteorologico “palude barica”, sono state interessate da precipitazioni eccezionalmente copiose, rivelatesi, insieme a fattori di altra natura, fondamentali concause della rottura degli argini di numerosi fiumi che, nell’arco di quindici giorni, hanno allagato per ben due volte ampie porzioni della parte sud orientale della superficie regionale. Se ad inizio mese erano esondati tre fiumi, Lamone, Senio e Sillaro, riversando 120 milioni di m3 di acqua nella pianura circostante, il 16 maggio la Protezione Civile emiliana[1] rendeva noto che altri 18 corsi d’acqua[2] avevano rotto gli argini provocando il deflusso di una quantità tale di acqua da provocare allagamenti in ben 37 comuni[3] (carta 1).
Carta 1: immagine satellitare che rappresenta in azzurro le zone alluvionate
[1] regione.emilia-romagna.it/notizie/2023/maggio/maltempo-21-fiumi-e-corsi-acqua-esondati-37-i-comuni-con-allagamenti-diffusi-250-frane-in-48-comuni
[2]
Idice, Quaderna, Santerno, Marzeno,
Montone, Savio, Pisciatello, Lavino, Gaiana, Ronco, Sintria, Bevano, Zena,
Rabbi, Voltre, Bidente, Ravone, Rio Cozzi e Rigossa.
[3] Bagnacavallo, Bologna, Brisighella, Budrio, Castel Bolognese, Castel San Pietro Terme, Cesena, Cesenatico, Conselice, Cotignola, Faenza, Forlì, Imola, Medicina, Molinella, Mordano, Massalombarda, Sant’Agata sul Santerno, Solarolo, Riolo Terme, Gatteo Mare, Savignano sul Rubicone, Riccione, Castelguelfo, Castel del Rio, Fontanelice, Russi, Mercato Saraceno, Castrocaro Terme e Terra del Sole, Castenaso, Ozzano dell’Emilia, Pianoro, Gambettola, Santarcangelo di Romagna, Meldola, Lugo, San Lazzaro di Savena.
La maggior parte delle zone inondate hanno in prevalenza
assunto forma allungata e andamento parallelo, in quanto provenienti dagli
alvei dei fiumi che nascono dall’Appennino per digradare successivamente con
percorsi “a pettine” verso la fascia costiera e sfociare poi nel mar
Adriatico.
L’entità delle
precipitazioni
I bollettini meteo riferiscono che fra il 1 e il 17 maggio,
in Emilia Romagna, sono caduti mediamente dai 300 ai 400 mm di pioggia, con
picchi di 400-500 mm nel bolognese e in Romagna (carta 2), una quantità
eccezionale corrispondente a circa la metà delle precipitazioni medie annue che
nella pianura emiliano-romagnola si attestano intorno ai 900 mm.
Carta 2: la carta pluviometrica dell’Emilia Romagna con le precipitazioni cumulate registrate fra il 1 e il 17 maggio 2023. Con indicati i valori puntuali e i confini comunali. (Arpae Emilia Romagna)
In particolare, nei due giorni fra il 15 e il
17 le precipitazioni hanno raggiunto punte intorno ai 300 mm sull’Appennino e
la collina forlivese, mentre sulla montagna e l’area collinare delle province
di Bologna e Ravenna si sono attestate sui 150-200 mm e sulla pianura fra
Cesena e Forlì a 150 mm (carta 3). Secondo Mauro Rossi, ricercatore
dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio
nazionale delle ricerche di Perugia (Cnr-Irpi) “Nelle aree più colpite in
sole 24 ore sono cadute circa 1/5 delle precipitazioni medie annuali”[1].
Fenomeni meteorologici sicuramente eccezionali, ma non del
tutto inediti visto che secondo i meteorologi si verificano una o due volte
ogni 100 anni.
Carta 3: carta pluviometrica dell’Emilia Romagna con le precipitazioni cumulate registrate fra il 15 e il 17 maggio. In viola i 3 nuclei >200mm sui rilievi alle spalle di Forlì e Faenza (Arpae Emilia Romagna)
Inizialmente le cause dei disastri
ambientali sono state ricondotte all’intensificazione dei cambiamenti climatici
innescati dal riscaldamento globale di origine antropica, ormai avvicinatosi su
scala globale alla soglia del 1,5° rispetto all’era pre-industriale, in pratica
l’obiettivo più ambizioso fissato alla Cop 25 di Parigi del 2015 per fine
secolo.
Secondo
il rapporto dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) pubblicato il 17
maggio 2023[1],
esistono il 66% di possibilità che nel quinquennio successivo la temperatura
media terrestre superi per almeno un anno di 1,5 gradi la media dell’era
preindustriale. Mentre pochi dubbi (solo il 2%) sussistono sul fatto che i
prossimi 5 saranno i più caldi di sempre con temperature medie annue comprese
fra +1,2° e +1,8°. Un balzo in avanti estremamente preoccupante, visto che fino
a quel momento la media dell’anno più caldo, il 2016, si è attestata a +1,28°, peraltro
abbondantemente superata nel 2023, secondo l’Organizzazione Meteorologica
Mondiale[2].
Il
fisico, meteorologo, prof Carlo Cacciamani, a caldo aveva confermato che “L’eccezionalità dei fenomeni, l’anomalia
delle temperature sono tutti segnali di quanto sia cambiato il clima. Nella
prima metà di maggio abbiamo visto il massimo della pioggia accumulata in pochi
giorni negli ultimi 40 anni. Dall’1 maggio sono caduti in questa regione più di
400 millimetri di pioggia, circa la metà di quanto piove nelle aree
pianeggianti dell’Emilia-Romagna in un anno. Come ampiezza potrebbe essere il
primo evento nella storia di questa regione. Ripeto che la particolarità è
stato l’uno-due, ovvero due fenomeni molto intensi a distanza di pochi giorni e
non di mesi». Cacciamani conclude affermando che “L’emergenza climatica ci insegna che
fenomeni intensi come questo possono aumentare rispetto a 50 anni fa“.
Anche
il meteorologo Pierluigi Randi, presidente
AMPRO (Associazione meteo professionisti), all’indomani delle alluvioni, aveva evidenziato
l’aggravamento in corso dei cambiamenti climatici: “Se andiamo indietro nel tempo negli ultimi due anni abbiamo avuto tre
eventi estremi di segno opposto: due anni di siccità grave e poi in quindici
giorni due eventi di pioggia estrema. Questo è un segnale chiaro della crisi
del clima: un singolo episodio non è attribuibile al surriscaldamento, ma
eventi estremi in sequenza, di un segno o dell’altro, sì. Tre indizi fanno una
prova. Non è normale avere due eventi a distanza così breve: di solito hanno
tempi di ritorno secolari, mai successo che si verifichino così vicini, in
appena due settimane“.
Le politiche di
gestione del territorio
Ampliando, tuttavia, la
sfera di analisi alle politiche di pianificazione territoriale, agli interventi
di manutenzione dei fiumi e alla prevenzione del dissesto idrogeologico emerge
come i cambiamenti climatici, seppur cause scatenanti, non risultino unici responsabili
dei disastri ambientali che ad inizio maggio 2023 hanno provocato, fra le varie,
la morte di 17 persone e lo sfollamento di ben 36.000 abitanti dalle loro
residenze, oltre ad ingentissimi danni alle infrastrutture, alle coltivazioni,
alle aziende ed alle abitazioni, stimati a metà giugno 2023 dalla Regione Emilia-Romagna
in ben 8,9 miliardi di euro[3].
Conferma in tal senso ci giunge dalle affermazioni di
Francesca Giordano, ricercatrice dell’Istituto superiore per la protezione e la
ricerca ambientale (Ispra): “Dare la
colpa solo al cambiamento climatico è un modo per non volerci prendere la
responsabilità di quanto sta accadendo. Le alluvioni e le frane (oltre 280)
derivano da una combinazione di eventi nel cui ambito i cambiamenti climatici
amplificano le conseguenze dei dissesti di un territorio molto fragile. Errori
legati ad una gestione non attenta del territorio stesso a partire dalla
insufficiente manutenzione dei corsi d’acqua fino all’eccessivo consumo di
suolo“.
Dal rapporto dell’Ispra “Condizioni di pericolosità da
alluvione in Italia”[4]
apprendiamo che l’Emilia-Romagna risulta di gran lunga la regione con le
maggiori percentuali sia di territorio potenzialmente allagabile che di
popolazione esposta al rischio alluvione. Sulla base di 3 livelli di
pericolosità, in Emilia-Romagna le zone a rischio medio (P2 – MPH) di
allagamento ricoprono il 45,6% del superficie regionale (grafico 1), dove
risiede oltre il 60% di popolazione, con Ravenna e Ferrara che risultano le
province con le più elevate porzioni di territorio inondabile, sommando le aree
comprese nei tre livelli di probabilità, rispettivamente 100% e 80%, e di
popolazione a rischio.
Grafico 1: percentuale di territorio delle regioni italiane (istogramma) e relative medie nazionali (diagramma lineare tratteggiato) interessato dai 3 livelli di probabilità di alluvione: alta (P1 – HPH), media (P2 – MPH) e bassa (P3 – LPH). Fonte: mosaicatura Ispra 2020
Manutenzione del
territorio e prevenzione del dissesto idrogeologico
Nella
relazione sulla gestione del rischio idraulico e di quello di alluvione del
luglio 2022, la Corte dei Conti rendeva noto che lo Stato italiano investe in
modo insufficiente nella prevenzione del dissesto idrogeologico: nel ventennio
1999-2019, di fronte ad un sensibile aumento dei fenomeni meteorologici estremi,
sono stati stanziati solamente 7 miliardi di euro, per 6.000 progetti, a fronte
di una richiesta di 26 miliardi. Una cifra irrisoria per un Paese dal
territorio geologicamente giovane e non assestato nel quale, a fine 2021, il
94% degli 8.000 comuni italiani, secondo l’Ispra[1],
risultava a rischio dissesto idrogeologico ed erosione costiera, con un
incremento annuale del 4% e addirittura del 19% rispetto al 2017. Per quanto
riguarda il solo rischio alluvione, più pertinente alla nostra ricerca, sempre
l’Ispra[2] ci
informa che, in Italia nel 2020, in 426 comuni oltre il 90% della popolazione
residente risulta esposta a tali fenomeni e in 260 addirittura il 100% dei
residenti, in pratica 12,2 milioni di persone, corrispondenti al 20,6% della
popolazione italiana. Non casualmente le aree a rischio più elevato risultano
l’intera pianura emiliano-romagnola e quella veneta lungo l’area deltizia del
Po, oltre a zone della Toscana e della Calabria.
In
tale situazione di particolare fragilità del territorio combinata a carenza
strutturale di finanziamenti, in ambito Pnrr al momento dei fenomeni calamitosi
erano stati stanziati sotto la voce “Misure per la gestione del rischio
alluvione e la riduzione del rischio idrogeologico”[3] 2,49
miliardi di euro, pari al solo 1,3% del totale dei fondi previsti dal Piano per
il nostro Paese, allo scopo di rafforzare le misure di prevenzione attraverso
un programma di azioni strutturali e non.
Le
risorse stanziate, destinate a progetti per ridurre il rischio di alluvioni e frane
e mettere in sicurezza i territori con interventi di riqualificazione,
monitoraggio e prevenzione, risultano suddivise fra due capitoli di spesa.
La linea A, di competenza del
ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, dedicata alla “Messa
in sicurezza, al monitoraggio e alla prevenzione” prevedeva interventi
nelle aree a maggior rischio con l’obiettivo finale di esentare da rischi 1,5
milioni di persone, per i quali erano stati stanziati, ma al momento
dell’alluvione non ancora assegnati, 1,29 miliardi di euro, in quanto il processo
di selezione dei progetti avrebbe dovuto concludersi solo a fine 2023.
Mentre
la linea B, di competenza della Protezione civile, è dedicata al ripristino
delle infrastrutture già danneggiate da precedenti eventi calamitosi, nel cui
ambito, degli 1,2 miliardi stanziati dal Piano (pari al 48,2% del totale), 1,15
miliardi erano già stati assegnati ai 1.725 progetti selezionati.
La
parte del leone è stata di appannaggio della Lombardia con 136,9 milioni di euro
per 320 progetti, seguita proprio dall’Emilia-Romagna con 98 milioni per 222
progetti, a testimonianza delle numerose devastazioni già subite e del grado di
pericolosità in cui versava da tempo il suo territorio regionale. Seguono la
Sicilia con 97 milioni per 48 progetti, il Veneto con 84,4 milioni per 26
progetti e la Toscana con 84,3 milioni per 37 progetti. Il ridotto numero di
intereventi di queste ultime regioni, compresi fra il 15 e 20% dei progetti
previsti per l’Emilia-Romagna, a sostanziale parità di finanziamenti totali, conferma
lo stato di deterioramento diffuso del territorio della regione al centro di
questo studio.
Il consumo di suolo
Nel rapporto annuale
“Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”
pubblicato dall’Ispra il 26 luglio 2022, l’ultimo prima delle alluvioni, veniva
messo in evidenza come il consumo di suolo in Italia nel 2021 avesse raggiunto
il valore più elevato dell’ultimo decennio, con una media di 19 ha al giorno,
pari a 70 km2 annui totali. La superficie cementificata ricopriva
all’epoca del rapporto ormai 21.485 km2 di suolo nazionale, poco
meno dell’estensione della stessa Emilia-Romagna, dei quali 5.400, un
territorio pari a quello della Liguria, occupato solamente da edifici.
In una situazione di consumo
accelerato a livello nazionale che ha fatto salire la cementificazione nel 2021
al 7,13% della superficie italiana, la Regione Emilia Romagna, arrivava
all’8,9%, pari a 2.003 km2, posizionandosi
al quarto posto dopo Lombardia (12,12%), Veneto (11,90%) e Campania (10,49%)
(tab. 1).
Tabella 1: consumo di suolo in Italia e nelle regioni nel 2021. Fonte: Ispra
Una
tendenza in atto da decenni che veniva confermata anche nel 2021, quando con un
consumo di suolo annuo di 658 ha, pari al 10,5% dell’incremento nazionale
(6.331 ha), l’Emilia Romagna è risultata la terza regione per nuove aree
cementificate dopo Lombardia (883 ha) e Veneto (684 ha).
La situazione a livello delle singole
province metteva tristemente in evidenza anche Ravenna, la più colpita dalle
alluvioni, che risultava la terza dopo Reggio Emilia e Modena (carta 4), per
consumo di suolo con 114 ha sottratti, pari al 17,3% del totale dell’incremento
regionale (tab. 2). Ravenna, inoltre, nel 2021 ha conquistato il triste primato
a livello regionale per maggior consumo di suolo annuo in rapporto alla
superficie, con un valore di 6,13 metri quadrati per ettaro, al cospetto di una
media regionale di meno della metà, pari a 2,92 m2/ha (tab. 2, ultima colonna a destra).
Carta 4: densità di suolo consumato in m2/ha nelle province italiane fra il 2020 e 2021. Fonte: Ispra
Tabella 2: consumo di suolo in Emilia Romagna e nelle
sue province nel 2021. Fonte: Ispra
Dall’analisi dei dati, emerge, dunque, un allarmante fenomeno di lungo corso, in base al quale il territorio nazionale subisce annualmente un progressivo processo di cementificazione (ben 77 km2 +10% anche nel 2022 secondo i dati Ispra[1]) che sottrae irrimediabilmente decine di chilometri quadrati di terreni naturali, finendo per sottrarre prezioso spazio alle aree di espansione dei fiumi, sempre più costretti in alvei angusti a causa dell’espansione di infrastrutture di trasporto, aree urbanizzate e strutture della logistica.
E probabilmente non risulta
casuale che l’Emilia-Romagna detenga il triste primato della maggior superficie
edificata nelle aree alluvionali: nel 2021 sono stati infatti cementificati
78,6 ha nelle zone ad alta pericolosità idraulica e 501,9 ha a media,
corrispondenti ad oltre la metà di consumo di suolo nazionale con quel livello
di pericolosità (carta 5 e carta 8 a sx) ed è stato incredibilmente consumato
suolo anche nelle aree protette (2,1 ha) e in quelle a rischio di frana (11,8
ha).
Carta 5: localizzazione del suolo consumato in Emilia Romagna nel 2021[2]
Lo stato
dell’arte della Legge “Disciplina regionale sulla tutela e l’uso del
territorio”
Il compromesso
quadro ambientale appena descritto relativo al territorio regionale
dell’Emilia-Romagna risulta principalmente riconducibile sia all’incessante
processo di realizzazione di nuove infrastrutture della logistica e dei
trasporti, che alla sostanziale inefficacia delle normative in vigore
finalizzate al contenimento del consumo di suolo, in primis l’attuale legge
urbanistica regionale sulla tutela e l’uso del territorio, la n. 24 del 2017.
Dalla ricerca “L’inarrestabile
avanzata del cemento”[1] realizzata da
Legambiente nell’agosto del 2022 rielaborando i dati dell’ISPRA, emerge come l’incapacità
del provvedimento legislativo regionale di contenere il consumo di suolo sia
causata, da un lato, dalle proroghe temporali alla sua effettiva applicazione
e, dall’altro, dalle varie deroghe ai limiti di consumo di suolo stabiliti.
Infatti, a fine 2021, la soglia del consumo di suolo del 3% rispetto a quello
già utilizzato nel 2017, previsto della legge 24/2017, risultava già oltrepassata
da ben 21 comuni a seguito della proroga al 1 gennaio 2022 dell’approvazione da parte dei comuni del Piani Urbanistici
Generali (Pug)[2] e delle deroghe per la realizzazione di “opere
pubbliche o di interesse pubblico” previste dall’articolo 53 della legge
in questione, la quale non definendo esplicitamente il concetto di
“interesse pubblico” funge da “cavallo di Troia” per far
rientrare sotto tale denominazione persino gli hub privati della logistica. Alla
luce di ciò, non risulta probabilmente casuale che nel quindicennio 2006-2015
in Emilia-Romagna sia stato destinato quasi 400 ha di suolo naturale alla
logistica, il doppio della media nazionale, guadagnandosi il poco invidiabile
primato tra tutte le regioni italiane.
Al
termine del rapporto, Legambiente arriva alla perentoria conclusione che “Questa è la prova ulteriore di
come la legge 24/2017, così come è stata progettata, non ha posto un freno al
consumo di suolo”, cristallizzandone la sostanziale inefficacia.
Il dossier “Consumo
di suolo 2023” in Emilia-Romagna pubblicato da Legambiente il 14 giugno
del 2023[3]
analizza, a cinque anni dalla sua entrata in vigore, gli effetti della legge
urbanistica regionale (LR 24/2017) alla luce dell’approvazione dei Piani
Urbanistici Generali (Pug), l’unico strumento normativo di cui le
amministrazioni comunali sono chiamate a dotarsi per la gestione sistemica del
territorio e il contenimento della cementificazione. Dai dati pubblicati
rileviamo come, nonostante l’approvazione dei Pug sia stata prorogata al 1
gennaio 2022 e l’entrata in vigore al 1 gennaio 2024, il processo di adeguamento
degli strumenti di pianificazione territoriale risulti ancora molto arretrato.
A marzo del 2023, infatti, dei 330 comuni della Regione Emilia-Romagna solo 13
avevano approvato i Pug, mentre ben 177 risultavano ancora in “fase di
studio preliminare”, dedotta almeno dall’acquisizione della cartografia
necessaria alla stesura dei Piani stessi, con addirittura 57 che non avevano
ancora provveduto a richiederla, non avendo in sostanza nemmeno avviato il
Piano. I restanti 83 comuni invece si suddividevano fra le varie fasi dell’iter
che portano all’approvazione (tab. 3).
Rimarcando anche le numerose, e già citate, deroghe alla
soglia di incremento del 3% rispetto al 2018, Legambiente conclude l’ampio
dossier, che analizza anche varie criticità locali, affermando che “La situazione che abbiamo fotografato con il
nostro studio dimostra che gli obiettivi assunti dalla Regione Emilia-Romagna con
l’approvazione della legge urbanistica del 2017 non sono stati ancora raggiunti
e che, al contrario, il fenomeno del
consumo di suolo continua ad affliggere la nostra regione“.
Tabella 3: comuni dell’Emilia Romagna ripartiti fra le V fasi dell’iter attuativo dei Pug a marzo 2023
La
situazione attuativa dei PUG in Emilia-Romagna (marzo 2023)[1]
[1] https://www.legambiente.emiliaromagna.it/2023/06/14/legambiente-presenta-il-dossier-sullo-stato-del-consumo-di-suolo-in-emilia-romagna/
PROVINCIA
|
COMUNI
|
PUG
non avviato
|
Fase studio
preliminare
|
Consultazione
|
Assunzione
|
Adozione
|
Approvazione
|
Bologna
|
55
|
6
|
27
|
19
|
2
|
/
|
1
|
Ferrara
|
21
|
5
|
5
|
4
|
/
|
4
|
3
|
Forlì -Cesena
|
30
|
2
|
16
|
9
|
/
|
2
|
1
|
Modena
|
47
|
1
|
30
|
7
|
5
|
3
|
1
|
Parma
|
44
|
20
|
14
|
5
|
1
|
1
|
3
|
Piacenza
|
46
|
10
|
28
|
3
|
1
|
2
|
2
|
Ravenna
|
18
|
/
|
6
|
9
|
2
|
/
|
1
|
Reggio Emilia
|
42
|
9
|
30
|
/
|
/
|
2
|
1
|
Rimini
|
27
|
4
|
21
|
1
|
/
|
1
|
/
|
Totale
|
330
|
57
|
177
|
57
|
11
|
15
|
13
|
Le opere di
intervento sul corso dei fiumi
La regione Emilia-Romagna, fra il 2015 e il
2022, ha ricevuto finanziamenti per 190 milioni per la realizzazione di 23
casse di espansione fluviale, delle quali al momento dell’alluvione ne
funzionavano a pieno regime solo 12 e altre due in misura parziale, mente le
restanti nove erano ancora in fase di realizzazione. Nello specifico per quanto
riguarda la situazione di due dei fiumi che hanno esondato, rileviamo che due
casse avrebbero dovuto funzionare per il Senio, affluente di destra del Reno
che scorre quasi interamente nella provincia di Ravenna, a beneficio dei comuni
di Castel Bolognese, Cotignola, Lugo e Fusignano, ma a maggio 2023 ne era stata
realizzata solamente una, peraltro senza essere collegata al fiume, quindi di
fatto priva di efficacia. Per quanto riguarda il fiume Lamone[1], che
scorre sostanzialmente parallelo al Senio sfociando però direttamente in mare a
nord di Ravenna, due casse di espansione erano in funzione vicino a Faenza ma
l’amministrazione comunale aveva rilasciato permessi edilizi per costruire a
ridosso dell’alveo.
Il rapporto
della Commissione tecnica e la certificazione dei danni da parte dell’Ue
L’esaustivo e completo documento pubblicato il
15 dicembre 2023[2],
dalla Commissione tecnica coordinata dal prof Alfredo Brath su incarico della
giunta Bonaccini, evidenzia come le inondazioni generate dall’esondazione di 23
corsi d’acqua avevano interessato una superficie di 540 kmq, causato 65.598 (carta
7) frane e danneggiato 1950 infrastrutture stradali, pari al 3,6% dell’intero
reticolo stradale delle 6 province coinvolte.
Carta 7: densità delle frane (n°/Kmq) avvenute a seguito delle piogge di maggio 2023
Il
rapporto mette inoltre in risalto la stretta relazione fra rischio idraulico e
consumo di suolo: l’Emilia-Romagna risulta la regione con la maggiore
superficie compresa nelle aree a pericolosità media (aree P2), pari ad oltre il
45% del totale (carta 8 a sx), e nella quale la percentuale di territorio
naturale occupato dalle attività umane risulta la più elevata a livello
nazionale, con valori in prevalenza fra il 9-15%, ma con aree fra il 15 e il 30%
e punte oltre il 30% (carta 8 a ds e carta 6).
Carta 8: a sinistra la carta tematica delle aree a pericolosità intermedia (P2). A destra quella della percentuale di suolo consumato nelle aree a pericolosità idraulica nel 2022. (Fonte Ispra)
Gli
eventi calamitosi del maggio 2023, come abbiamo visto riconducibili sia a
fattori di natura meteorologico-ambientale sia a gravi responsabilità umane
legate alle politiche di gestione e utilizzo del territorio e dei fiumi, avendo
interessato una delle aree economicamente più dinamiche a livello nazionale
oltre che ad elevata densità abitativa, hanno arrecato danni a 70.000 persone e
16.000 aziende, la cui stima certificata dall’Unione Europea è stata rivista al
ribasso rispetto alla prima della Regione in 8,5 miliardi di euro, ripartiti in
5 miliardi per la parte pubblica e 3,5 per quella privata.
Conclusioni
Il
rapporto “Alluvione, un anno dopo” emesso dalla regione
Emilia-Romagna il 10 maggio 2024[1] arriva
alla conclusione che gli eventi catastrofici dell’anno precedente rappresentano
“Uno spartiacque fra passato e futuro nel settore della difesa idraulica e
idrogeologica del territorio”. Infatti, come sostiene Luca Carra su
www.scienzainrete.it “Non è pensabile di costruire e ricostruire come si è
fatto finora”[2].
Secondo gli esperti, infatti i cambiamenti climatici e gli eventi sempre più
estremi impongono un radicale cambio di paradigma nella pianificazione delle
aree urbane e delle campagne: ridurre drasticamente l’edificazione, risparmiare
al minimo il consumo di nuovo suolo, lasciare spazio naturale alla divagazione
degli alvei fluviali, non costruire argini artificiali a ridosso dei corsi
d’acqua sopratutto quelli pensili, ma arretrare ove possibile quelli naturali,
e costruire casse di espansione dei fiumi per offrire spazio alle piene.
In piena di fase di cambiamenti
climatici, gli scienziati sostengono che di fronte all’intensificarsi degli
eventi estremi è necessario passare rapidamente alla realizzazione di opere di
adattamento in linea con quanto stabilisce il “Piano speciale di
interventi contro le situazioni di dissesto idrogeologico”, in attesa di
approvazione da parte del parlamento. Una pianificazione integrale realizzata
congiuntamente dai più autorevoli centri di ricerca e università nazionali per
mettere in sinergia le competenze necessarie per un “nuovo modello di
ricostruzione e di gestione del territorio” facendo ricorso alle soluzioni
basate sulla natura (nature based
solution).
Un
piano sicuramente ambizioso che potrebbe rappresentare un punto di svolta nella
politica di pianificazione territoriale e che potrà realizzarsi efficacemente
solamente sotto un’autorevole e competente regia pubblica, togliendo agli
interessi privati le indebite prerogative che sono riusciti a ricavarsi grazie
alla connivenza con le amministrazioni locali.
L’alluvione del maggio 2023 ha messo
inequivocabilmente in risalto tutte le fragilità e l’insostenibilità
ambientale, sociale e pure economica, visti i danni arrecati, del modello di
gestione territoriale dell’Emilia-Romagna. Una situazione talmente critica da
spingere il presidente regionale Stefano Bonaccini ad una dichiarazione che non
è passata inosservata nei settori sociali e scientifici più attenti alle
problematiche ambientali e fra la popolazione colpita: “Nelle zone
alluvionate non si costruirà più. Non si tratta di una scelta da eroi ma di una
lezione che abbiamo imparato dalla tragedia di maggio”.
Nell’attesa
che la giunta dia seguito concreto alle dichiarazioni del suo presidente, in
Emilia-Romagna e non solo, sono in molti a chiedersi come lo stesso Bonaccini
intenda recidere, o quantomeno allentare, i rapporti con le lobby, dai
costruttori edili alla logistica, dai trasporti alla grande distribuzione, che
fino ad oggi hanno avuto buon gioco nel consumo sfrenato di suolo in regione.
Non
è sicuramente opera agevole ripensare un modello sviluppo che sino ad oggi ha
fatto leva sull’utilizzo del suolo per l’estrazione di valore dai territori a
detrimento dell’ambiente, della popolazione e delle piccole attività economiche
e a tutto vantaggio delle grandi imprese.
Andrea
Vento – 22 maggio 2024
Gruppo
Insegnanti di Geografia Autorganizzati
[1] https://www.regione.emilia-romagna.it/notizie/2024/maggio/alluvione-un-anno-dopo
[2] https://www.scienzainrete.it/articolo/dopo-lalluvione-dellemilia-romagna-va-ripensato-tutto/luca-carra/2024-05-15
[1] https://www.legambientefaenza.it/alluvione-romagna-2023/2023/06/un-lontano-studio-sulla-laminazione-delle-piene-del-lamone/
[2] https://protezionecivile.regione.emilia-romagna.it/notizie/2023/dicembre/post-alluvione-ecco-il-rapporto-della-commissione-tecnico-scientifica-201cin-emilia-romagna-un-evento-senza-precedenti-nella-storia-osservata201d
[1] https://www.legambiente.emiliaromagna.it/2022/08/30/linarrestabile-avanzata-del-cemento-decuplicano-gli-ettari-di-consumo-di-suolo/
[2]https://territorio.regione.emilia-romagna.it/urbanistica/notizia/legge-urbanistica-prorogati-di-un-anno-i-termini-del-periodo-transitorio
[3] https://www.legambiente.emiliaromagna.it/wp-content/uploads/2023/06/Dossier_CONSUMO-di-SUOLO.pdf
[1] https://www.snpambiente.it/snpa/consumo-di-suolo-dinamiche-territoriali-e-servizi-ecosistemici-edizione-2023/
[2] https://webbook.arpae.it/indicatore/Consumo-di-suolo-00001/?id=ef258eb9-6369-11e5-bf2c-11c9866a0f33
[1] sprambiente.gov.it/it/istituto-informa/comunicati-stampa/anno-2022/dissesto-idrogeologico-quasi-il-94-dei-comuni-a-rischio-frane-alluvioni-ed-erosione-costiera
[2] https://www.openpolis.it/le-alluvioni-hanno-un-costo-umano-economico-e-ambientale/
[3] In quali
territori andranno i fondi del Pnrr contro il dissesto idrogeologico? https://openpnrr.it/misure/297/
[1] https://www.rainews.it/video/2023/05/rapporto-organizzazione-meteorologica-mondiale-il-mondo-verso-i-5-anni-piu-caldi-mai-registrati-7f42a4f7-eeef-4be4-9f34-92f5144ae822.html
[2] Secondo
l’OMM il 2023 è stato l’anno più caldo dall’inizio delle registrazioni, con una
temperatura media di +1,45° rispetto al periodo di riferimento 1850-1900. https://www.meteosvizzera.admin.ch/chi-siamo/meteosvizzera-blog/it/2024/04/rapporto-omm-stato-clima-globale-2023.html
[3] https://www.ilsole24ore.com/art/alluvione-emilia-romagna-danni-89-miliardi-AEXDSJiD
[4] Rapporto sulle
condizioni di pericolosità da alluvione in Italia e indicatori di rischio
associati:
[1] https://www.fanpage.it/innovazione/scienze/i-satelliti-mostrano-i-danni-delle-alluvioni-in-emilia-romagna-interi-laghi-sono-nati-in-poche-ore/