Luci della ribalta per Karim Franceschi, giovane militante di un centro sociale delle Marche, di ritorno dalla città curda di Kobane dove ha combattuto, armi in pugno, insieme agli altri guerriglieri dell’YPG (milizia curda o a grande maggioranza curda), per difenderla dagli attacchi dello Stato Islamico. Qui lo vediamo intervistato da Corrado Formigli a “Piazzapulita” dove ha presentato il suo libro, scritto per la verità in tempi assai brevi, dal titolo “Il combattente”. Storia dell’italiano che ha difeso Kobane dall’ISIS”, edito da Rizzoli, e qui da Roberto Saviano (che, per la verità, non si distingue per impegno antimperialista e antisionista) su Repubblica, più numerose altre interviste, a partire dal TG3 ( e altri) fino a magazine di costume, diciamo così, come Donna Moderna, Vanity Fair, Grazia e via discorrendo (non postiamo i link perché l’elenco sarebbe troppo lungo e chiunque può reperirli sulla rete).
Niente male – va riconosciuto – per coloro i quali, come i media di cui sopra, dell’ “internazionalismo proletario” hanno da sempre fatto una missione (ca va sans dire…) …
Ora, la premessa è che si deve sempre il massimo del rispetto per tutti quelli che, come Karim, hanno scelto di combattere e di mettere a repentaglio la loro stessa vita per un ideale, o comunque per quello che loro considerano tale.
Tuttavia, con tutto l’affetto e la simpatia che può suscitare una figura come la sua, qualche perplessità sorge spontanea, non sulla buona fede e sull’autenticità della sua scelta, che non mettiamo in discussione , ma nel merito delle cose.
Insomma Karim, comunista dichiarato nonché militante di un centro sociale cosiddetto “antagonista”, torna da Kobane, dove sembrerebbe essere in corso quello che viene da lui stesso definito come un esperimento di “confederalismo democratico ecologista e femminista” , e viene accolto e celebrato dai media al suo ritorno come un eroe. I conti non tornano. Vero è che è andato a combattere contro lo Stato Islamico, cioè il nuovo “male assoluto” del momento (sia i media che Karim in tutte le sue interviste, omettono però di spiegare che si tratta di un “male assoluto” prodotto dai più fedeli alleati dell’Occidente, cioè l’Arabia Saudita wahabita, la Turchia e il Qatar, con il silenzio-assenso e forse anche qualcosa di più da parte di Israele…), tuttavia tanta attenzione mediatica non può non far pensare, specie se partiamo dal presupposto, ironia a parte, che i media di regime accendono i riflettori solo su chi e cosa ritengono possa portare dei vantaggi al sistema di cui sono fedeli servitori e all’interno del quale giocano un ruolo fondamentale. Se la logica non è acqua, ne dovremmo dedurre che l’ “esperimento confederalista democratico, ecologista e femminista” dei curdi del Rojava non è evidentemente considerato particolarmente sovversivo né pericoloso dal sistema capitalista (e imperialista) occidentale e dal suo apparato mediatico, e forse gli è addirittura simpatico per diverse ragioni di ordine “geopolitico”, come si suol dire.
E’ doveroso ricordare, mutatis mutandis, che nell’ormai lontano 1980 lo storico leader dei Comitati Autonomi Operai, Daniele Pifano, fu arrestato e condannato a sette anni di reclusione (che scontò tutti o quasi) insieme ad altri suoi compagni dell’Autonomia Operaia romana, mentre trasportava, sul territorio italiano, un lanciarazzi antiaereo destinato al Fronte Popolare di Liberazione della Palestina. Il FPLP, peraltro, rivendicò ufficialmente la proprietà dell’arma, scagionando di fatto gli accusati da ogni responsabilità. Ma fu tutto inutile perché il vero obiettivo era quello di arrivare ad una sentenza politica, con la duplice finalità di mandare un messaggio alle organizzazioni più radicali dell’OLP e contestualmente tagliare la testa al movimento del ’77 in Italia. Anche Pifano finì sui giornali, non come un eroe bensì come un pericoloso estremista e terrorista. Nessuna casa editrice, tanto più del calibro della Rizzoli, si fece avanti per pubblicare la possibile storia di un “comunista (non di un italiano) che voleva aiutare il popolo palestinese a difendersi dall’aggressione neocolonialista israeliana”…
L’operazione mediatica, dunque, è già in pieno svolgimento. Qualche “guru” dell’industria editoriale e mediatica ha fiutato la possibile occasione e ha ritenuto (probabilmente anche in virtù di indagini di mercato svolte tra il primo viaggio di Karim e il secondo) che l’ “italiano” – non certo il comunista – “che ha difeso Kobane dall’ISIS” potesse fare audience e mercato, ed è per questo che la Rizzoli, “Grosse Bertha” del mondo editoriale nazionale, è scesa in campo.
Il risvolto politico è altrettanto evidente. I “confederalisti democratici, ecologisti e femministi” di Kobane sono considerati compatibili (e gestibili), a differenza, ad esempio, delle milizie di Hezbollah, troppo mussulmane, troppo filo iraniane e soprattutto troppo, troppo anti israeliane, nonostante a combattere l’Isis sul campo ci siano anche e soprattutto loro (come dimostra l’attentato di Beirut da parte dello Stato Islamico).
Ma andiamo a vedere cosa dice Karim nella sua intervista a “Piazzapulita”. Al minuto 1,12 dice:”A Kobane si combatteva per la democrazia, per la libertà, per un mondo più giusto, e dall’altra parte c’era l’Isis che è l’aberrazione della libertà e della democrazia”. Al che Formigli gli chiede:”Quindi è davvero una battaglia tra il Bene e il Male, in cui una volta tanto il Male è davvero il Male?”. E lui risponde:”Bè, l’Isis si avvicina molto a quello che possiamo definire come il Male”.
Ora, in tutta franchezza, da chi si definisce comunista e che dovrebbe essere provvisto di ben altre categorie interpretative del reale, ci si aspetterebbe una risposta quanto meno un pochino più articolata. Non nella forma (che ci interessa poco se non per nulla), sia chiaro, ma nei contenuti. Perché detta così , come l’ha detta lui, sembra appunto che la dialettica politica che sconvolge l’intera regione mediorientale possa essere ridotta al “Male”, l’Isis, da una parte, e al Bene, la Coalizione che sostiene di combatterlo sia pure a corrente alternata (cioè gli USA, la NATO e i suoi alleati, Israele in testa, che da un lato fanno finta di combatterlo e dall’altro lo foraggiano e lo armano), dall’altra. Non penso di bestemmiare se dico che mi sarei aspettato una risposta un po’ più politica, in grado di spiegare la “complessità” della vicenda e di andare oltre le categorie meta politiche del Bene e del Male. Non una parola che è una sul ruolo e le responsabilità degli attori in campo che hanno generato tale situazione, cioè le potenze regionali in competizione fra loro per la spartizione e l’egemonia in Medio Oriente, sul ruolo delle potenze imperialiste e degli USA e dell’UE in particolare (Francia in testa), così come sulle guerre, gli embarghi criminali, i bombardamenti e le occupazioni militari da parte degli eserciti della NATO in Irak e Afghanistan che hanno causato centinaia di migliaia di vittime , le destabilizzazioni violente della Libia e della Siria ad opera delle bande jihadiste e dell’IS sostenute da quella stessa “Coalizione” che dice di combatterle, sul colonialismo di cui sono vittime i popoli arabi e mussulmani fin dai tempi dell’accordo Sikes-Picot con cui Francia e Gran Bretagna si spartirono l’area prima di passare il testimone a USA e Israele, e non una parola neanche sulla natura e le origini ideologiche e politiche dello Stato islamico che si ispira al wahabismo, cioè una sorta di “creatura ideologica” scaturita dall’ “incontro” fra il colonialismo britannico e una corrente degenerata dell’Islam (e da esso ripudiata).
Nulla di nulla. L’imperialismo, il colonialismo, la competizione fra potenze imperialiste, l’utilizzo delle organizzazioni terroriste da parte dei burattinai della “geopolitica” mondiale, le contraddizioni generate dal sistema capitalista, una parvenza di approccio ai fatti non dico marxista ma semplicemente razionale, quella che qualsiasi analista lucido sarebbe in grado di fare, vanno a farsi benedire. In campo restano solo il Male, l’Isis, e il Bene, la Coalizione che lo combatte, naturalmente a seconda delle necessità e delle opportunità. Anche un giornalista allineato e coperto al mainstream ideologico , penso a qualcuno di Limes ad esempio (rivista di politica internazionale molto seria che potremmo definire di area “liberal”…) o a un Sergio Romano, avrebbe fornito, se non altro per competenza e serietà professionale, un’interpretazione un po’ meno manichea e un po’ più politica della situazione, non riducendo il tutto ad una lotta fra il Bene e il Male, fra la democrazia e la barbarie.
Ma l’apice lo tocchiamo al minuto 5,15 quando Formigli chiede a Karim:”Ad un certo punto voi venite salvati da un bombardamento americano; questo significa che la guerra all’Isis non si può vincere senza l’aiuto delle bombe dal cielo (tradotto, senza l’intervento della NATO)?”. Risponde Karim:”No, la guerra all’Isis non si può vincere se non ci uniamo tutti per sconfiggerli. Abbiamo liberato Kobane e non l’abbiamo fatto da soli, c’era una coalizione dietro, che sfortunatamente oggi sta vacillando,perdendo concentrazione. La verità è che dobbiamo unirci tutti, tutti i popoli, le nazioni, i gruppi, che credono nella democrazia e nella libertà si devono unire per debellare questo grande male che sta crescendo oggi”.
Quindi il mondo sarebbe diviso fra le nazioni e i popoli che credono nella democrazia e nella libertà da una parte, e l’IS, dall’altra? Forse una nuova categoria interpretativa? Quindi in quella parte di mondo che crede nella democrazia e nella libertà c’è anche la dittatura saudita (che dice di combattere l’IS) e Israele che occupa la Palestina da più di mezzo secolo? Tanto per capire…
Francamente, lo dico anche con un certo rammarico, ha detto cose molto più di sinistra, come si suol dire, Massimo D’Alema in questa recente intervista al Corriere della Sera in cui, fra le altre cose, focalizza l’attenzione sul ruolo nefasto di Israele, individuandolo come un “problema”, piuttosto che Karim. Tutto ciò, indipendentemente dagli interessi e dalle “opportunità” politiche che hanno spinto un leader politico come D’Alema ad assumere determinate posizioni.
Ora, è bene ribadire un fatto. Il coraggio, l’audacia, lo slancio ideale, la buona fede e la nobiltà d’animo di Karim Franceschi sono indiscutibili. Resta il fatto che le sue posizioni contengono delle contraddizioni clamorose, per lo meno per chi si dichiara essere un “antagonista”. E non possono essere fatti, a mò di giustificazione politica, riferimenti storici al passato. La guerra civile spagnola e l’opposizione al franchismo così come la Resistenza antifascista in Italia (ma vale anche per l’alleanza fra i comunisti cinesi e il Kuomintang in funzione antigiapponese), ad esempio, che pure hanno visto le forze socialiste e comuniste stipulare dei patti di unità d’azione con le forze liberali e borghesi, si verificavano in un contesto storico e politico completamente diverso da quello mediorientale attuale. E in ogni caso c’era estrema chiarezza su quello che si stava facendo da parte di entrambi i contraenti quelle passeggere e contingenti alleanze. Mi pare che la stessa chiarezza non ci sia in tutte le numerose interviste rilasciate da Karim. E siccome il problema, come ho ampiamente ripetuto, è di natura politica e non certo personale, quello che vorrei capire è se le posizioni da lui assunte riguardano lui e soltanto lui (magari sull’onda del legittimo e comprensibilissimo entusiasmo), oppure, come purtroppo temo, rappresentano la “sensibilità” e l’orientamento politico di tanta parte della sinistra, anche di quella cosiddetta “antagonista”, all’interno della quale lo stesso Karim è cresciuto.
Se così fosse, credo sia doveroso aprire una riflessione, con l’obiettivo di fare chiarezza, confrontarsi nel merito, approfondire, sciogliere alcuni nodi fondamentali, ed eventualmente giungere alla conclusione che si hanno approcci,analisi, interpretazioni e forse anche orizzonti diversi (cosa del tutto legittima… ), e non certo per mettere sulla graticola nessuno, tanto meno Karim, il cui slancio ideale, in tempi come questi, non può che essere elogiato e portato ad esempio.