Dico la mia sulle elezioni del 25 settembre e sul difficile quadro delle alleanze e delle proposte politiche alternative alle due destre.
Parafrasando Schopenhauer, il sistema politico italiano è ormai un pendolo che oscilla tra la conservazione e la reazione; ma arrivando, ad ogni oscillazione, un passo più vicino al punto di rottura.
Proprio per questa ragione (alla quale si aggiunge il quadro internazionale) esisterebbe oggi, a mio avviso, la possibilità di mettere un tassello non meramente elettoralistico per ricostruire, su basi adeguate ai tempi, un partito dei Lavoratori non politicamente marginale, unendo le forze che si sono consapevolmente – e coerentemente! – opposte all’agenda Draghi, alla guerra, alle politiche neoliberali di macelleria sociale.
Occorre strategicamente dare corpo a un partito dei Lavoratori con una massa critica, oggi del tutto assente dall’offerta politica maggiore italiana. Non sono, infatti, certamente tali né il cosiddetto centro-destra, né il PD con i suoi satelliti, partito delle élite, del Jobs act, delle politiche antisindacali, delle ricette neoliberiste e, da ultimo, non senza una certa coerenza in effetti, della guerra e architrave dell’agenda Draghi, al punto che è veramente difficile stabilire quale delle due destre abbia coltivato il maggiore disprezzo dei Lavoratori. Ovviamente si può anche descrivere il PD come una sinistra di sistema, globalista, mercatista, liberal-liberista ed elitista. Il senso non cambia.
La possibilità di ottenere il 25 settembre un risultato tale da dare qualche grattacapo alle due destre dipende dalla capacità di fare un passo anche parziale, ma tangibile nella direzione giusta.
Ricostruire un partito dei Lavoratori adeguato ai tempi richiede un grande sforzo, perché è necessario mettere da parte le sigle e i personalismi. Serve prima un grande programma condiviso che sia il risultato non di una mera “piattaforma” o di una convergenza elettoralistica su pochi punti programmatici, bensì di una analisi approfondita della fase attuale e dei nodi strutturali irrisolti che l’hanno prodotta. Le soluzioni non sono affatto impossibili, ma non può bastare affidarsi a personalità aggreganti o alla buona volontà. Con questo, non sto dicendo che i simboli debbano sparire, al contrario credo debbano essere riconoscibili all’interno di una alleanza il cui collante sia del tutto diverso da quello del campo largo “progressista”, dissodato dai nostri avversari. Penso, però, che debbano essere le diverse formazioni che si riconoscano nel progetto a doversi aggregare attorno ad esso, facendo insieme il lavoro di analisi, e dopo di sintesi, necessario per elaborare e comunicare un progetto per il Paese nettamente alternativo alle due destre.
In primo luogo, un partito dei Lavoratori deve muovere dalla consapevolezza che il Lavoro è cambiato, perché il conflitto tra Capitale e Lavoro si è spostato. Nel pieno della Quarta rivoluzione industriale, “Lavoratori” non è più sinonimo di “Operai”, ma anche di riders, precari del mondo della cultura, piccoli esercenti e artigiani, partite iva, operatori di call center, raccoglitori stagionali. Giovani precari e cinquantenni espulsi dal mondo del lavoro “stabile”; italiani e immigrati. Si tratta di una sorta di “Terzo Stato” piuttosto variegato, ma ben lontano dall’aver acquisito una coscienza di classe.
Il comunista “anomalo” Di Vittorio, nel suo primo discorso in Parlamento, disse che lo aveva guidato fin lì il sogno di unificare le lotte degli operai del Nord e quelle dei contadini del Sud “perché il padrone è lo stesso dappertutto”.
Noi dovremmo ambire a fare oggi in fondo la stessa cosa. Per tutte le suddette ragioni, una proposta politica che non abbia una prospettiva di classe e, quindi, una chiara e riconoscibile connotazione socialista (non solo genericamente “popolare”, ma specificamente socialista!) è destinata a ripercorrere strade già note, già battute e che già si sono dimostrate cieche; e che, in questo caso, non supereranno il 25 settembre.
Oggi l’atto di responsabilità vero dovrebbe essere l’alleanza delle forze realmente alternative alle due destre, non certo i campi larghi o i “fronti repubblicani” (già ampiamente fallito nel 2018), la cui terminologia riflette una partita che si gioca interamente nella metà campo della destra. Ogni generico appello all’”unità della sinistra” sortirebbe ovviamente lo stesso effetto. Se questo atto di responsabilità non ci sarà, non avremo nemmeno provato ad evitare il corso degli eventi e potremo essere sicuri che il futuro governo, espressione di una delle due destre (dopo che le urne avranno probabilmente restituito un verdetto di ingovernabilità), farà ricadere i costi della guerra sulle fasce sociali più deboli, mentre assisteremo alla recrudescenza della macelleria sociale.
Questa responsabilità comune deve riflettersi nell’impegno per un’alleanza per i Lavoratori che, avendo una reale base di elaborazione, se non ancora aggregativa dei suoi segmenti sociali di riferimento; e sapendo trasmettere almeno il senso di un percorso in via di definizione, ma con un programma chiaro e radicale di riforme strutturali (conferma del reddito di cittadinanza ma abbinato a politiche di difesa dei salari, progressività delle imposte, patrimoniale, tassazione delle transazioni del grande capitale, fine immediata della partecipazione dell’Italia alla guerra Russia-Nato in corso di svolgimento e ripartizione dei suoi costi improntata all’equità sociale) restituirebbe, rispondendo ad esigenze diffuse ed essenziali, un riscontro elettorale certamente superiore rispetto al 2-3% delle proposte elettoralistiche meramente sommative fin qui viste, e che senza un punto di incontro e un atto di responsabilità rischiamo di vedere ancora.
Esiste ampio spazio per una proposta di questo tipo.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una infame campagna mediatica contro il reddito di cittadinanza attuata dai giornali al servizio degli interessi confindustriali e padronali. È infatti del tutto chiaro che se non si difendono i redditi da lavoro, essi vanno in concorrenza con il reddito di cittadinanza. Ma questi organi di stampa hanno in ogni modo cercato di far credere che la concorrenza derivi dal reddito di cittadinanza, e non dell’insufficienza dei redditi da lavoro! Naturalmente in questo modo affermano il contrario della verità. Né sorprende in alcun modo che la guerra al reddito di cittadinanza, che è un ammortizzatore sociale, sia andata di pari passo alle continue “notizie” di imprenditori disperati perché non trovano nessuno disposto a lavorare, preferendo bighellonare mentre percepisce il reddito di cittadinanza. L’obiettivo di fondo dietro a questa offensiva sta dunque nella difesa a oltranza della precarizzazione e dei diritti delle grandi imprese di continuare ad avvalersi di una manodopera “flessibile”, e cioè precaria e malpagata.
Ovviamente bisogna essere chiari e distinguere con cura, parlando appunto di grandi imprese e di interessi padronali, perché le piccole imprese, gli esercenti, i commercianti, le partite iva sono parte integrante di quell’ampio spettro sociale che deve essere rappresentato e difeso da un partito dei Lavoratori. Non vale in contrario a ciò l’osservazione che esistono esercenti che “ci marciano” e aggirano le regole. Questo è empiricamente vero e ovviamente esistono come sempre anche i disonesti e i furbi. Tuttavia, in un numero elevato di casi, il quadro complessivo, sul piano economico, macroeconomico, fiscale e normativo pone innumerevoli ostacoli ai piccoli esercizi e alle piccole partite iva. Disfunzioni e infrazioni devono essere affrontate sul piano dei controlli. In ogni caso, nessuno dei rilievi che si potrebbero muovere al riguardo può escludere che un partito dei Lavoratori debba rappresentare oggi tutti i lavoratori e non soltanto alcune “categorie”, come conseguenza di una analisi puntuale della fase attuale del capitalismo in piena egemonia del Capitalismo digitale. Richiamarsi al Lavoro è infatti facile (come è accaduto nel caso di Articolo Uno, presto tornato a farsi attrarre dalla casa madre PD), più difficile porsi coerentemente in rappresentanza di tutti i Lavoratori, quando la suddetta necessaria analisi è assente.
Esistono alcuni punti qualificanti che una alleanza che intendesse muoversi in questa direzione non potrebbe non far propri:
Protezione dei salari e dei redditi da lavoro, con i necessari adeguamenti
Reddito di cittadinanza
Rilancio della contrattazione collettiva
Salario minimo
Progressività delle imposte
Patrimoniale
Tassazione delle transazioni del grande capitale
Rinazionalizzazione della sanità
Opposizione alle logiche di privatizzazione della scuola pubblica
Questione ambientale come subordinata alla questione sociale, e comunque strettamente legata ad essa
Fine immediata della partecipazione dell’Italia alla guerra Russia-Nato a guida statunitense in corso di svolgimento
Avvio di un corso di politica estera basato sul multilateralismo
Ovviamente, poiché il Lavoro è un meta-diritto (piano Beveridge, Di Vittorio), rappresentare i Lavoratori significa rappresentare anche le molte e variegate tipologie di lavoratori precari, nonché quanti un lavoro non ce l’hanno oppure lo hanno perso. Così come occorre estendere tutele e garanzie anche al lavoro a distanza (chi vuole togliere diritti e tutele preferisce chiamarlo “smart”).
Su questi punti, che definiscono un progetto strutturato di società nettamente alternativo alle due destre, occorre che si uniscano tutte le forze che vi si riconoscono in un comune sforzo di articolazione. Questo lavoro non può essere terminato in tempo per le elezioni né, men che mai, per la presentazione delle liste. Tuttavia, ogni passo sicuro e percepibile in questa direzione non può che favorire il miglior risultato.