A circa un mese dall’inizio della quarantena, è doveroso aprire una breve ma necessaria riflessione.
Il Covid-19 non è un’invenzione ma un fatto, purtroppo, reale e drammatico, e quindi le misure adottate per combattere l’infezione si sono rese necessarie e vanno rispettate.
Fatta questa premessa è bene però cominciare ad allertare le antenne perché – come recita un vecchio detto – è meglio prevenire che soccombere.
Le misure di contenimento che, necessariamente, in una fase di emergenza, vengono assunte, possono diventare e spesso diventano di fatto delle misure restrittive delle libertà fondamentali dei cittadini e delle persone. Possono e debbono essere accettate per un periodo limitato di tempo ma debbono immediatamente essere ritirate una volta superata l’emergenza.
Non solo. I diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione devono essere garantiti, anche in una fase emergenziale. Il diritto di sciopero (naturalmente, in una fase di emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo, senza dare vita a manifestazioni, cortei o concentramenti di persone), ad esempio, deve essere garantito, così come il diritto alla libera espressione del pensiero.
In questi giorni stiamo assistendo ad una campagna pubblicitaria che punta a gettare discredito sull’informazione “alternativa”, cioè blog, siti e giornali online presenti sui social, invitando a seguire soltanto quella dei “professionisti”, “certificata”, in altre parole quella dei grandi media “ufficiali” che sarebbero gli unici a fornire informazioni “certe” e garantite.
Questa è una offensiva in atto già da tempo ma che l’emergenza Coronavirus sta accentuando in modo pericoloso.
Innanzitutto resta da vedere quanto, in quale modo e in quale misura delle testate giornalistiche che alle spalle hanno grandi gruppi di interesse economico e finanziario nazionale e internazionale, possano fornire una informazione realmente libera e indipendente. Ricordo – solo per fare degli esempi – che la guerra in Iraq fu supportata da una campagna mediatica che sosteneva che quel paese fosse in possesso di armi di distruzione di massa; notizia rivelatasi poi clamorosamente falsa. Stesso discorso per l’aggressione alla Libia dove si parlò di bombardamenti indiscriminati sui civili da parte delle truppe fedeli a Gheddafi e di stupri di massa, rivelatisi del tutto infondati. E ancora, le famose fosse comuni di Timisoara dove si diceva (e si scriveva) che centinaia di oppositori fossero stati gettati dopo essere stati passati per le armi; tutto infondato anche in questo caso. Tornando indietro nel tempo ricordo perfettamente la campagna di criminalizzazione a cui per anni furono sottoposti gli anarchici (accusati delle stragi avvenute in quel periodo) durante la strategia della tensione (teorizzata e praticata da settori, cosiddetti “deviati”, dello stato più manovalanza neofascista collusa con quegli stessi settori e con la NATO), in particolare dalle principali testate giornalistiche. In prima fila, all’epoca, c’erano quotidiani come Il Corriere della Sera, La Stampa e Il Giorno (i giornali padronali per eccellenza, all’epoca e, in larga parte, anche oggi).
Ma, come ripeto, sono degli esempi tra i tantissimi che potrei portare.
Questa campagna di denigrazione dell’informazione non allineata e “controcorrente” rispetto al mainstream ideologico dominante si fonda sul fenomeno delle famose “fake news” che girerebbero (e in effetti girano) sui social. Ora, che esista il fenomeno delle fake news” nessuno lo mette in dubbio, a patto di riconoscere che, molto spesso, queste “fake” sono proprio distribuite dai media “ufficiali”, proprio a partire dai più grandi. L’intento è chiaro. Si vuole gettare discredito su tutta la pubblicistica non allineata e far passare l’idea in base alla quale la sola informazione professionalmente corretta e attendibile sia quella dei media ufficiali. Si tratta, ovviamente, di una forzatura e di una deformazione della realtà con evidenti finalità politiche. Non c’è dubbio che sui social ci siano blog o testate poco o per nulla serie, ma non c’è altrettanto dubbio che ne esistano molte altre assolutamente serie in grado – proprio perché assolutamente libere, indipendenti e senza nessun padrone alle spalle – di fornire una informazione seria, autorevole e credibile.
Ciò che voglio dire è che lo stato di emergenza in cui ci troviamo non deve farci abbassare la guardia. Al contrario, proprio durante queste fasi è necessario tenere orecchie e occhi ben aperti e aumentare la vigilanza. Perché è proprio durante e dopo queste fasi che tendono a prendere corpo quelle tendenze a soluzioni autoritarie, non necessariamente in modo esplicito. Quello che bisogna capire è che le classi sociali dominanti tendono sempre a sfruttare a loro vantaggio le situazioni che di volta in volta vengono a presentarsi. L’emergenza in corso avrà ripercussioni enormi dal punto di vista economico, sociale e geopolitico che ancora è difficile prevedere. Anche in seno ai gruppi sociali dominanti ci saranno posizioni diverse sulla risposta da dare sia in termini politici che di politiche economiche. Ci sarà chi vorrà fare finta di nulla e mantenere il paradigma neoliberista rendendo ancora più rigido il controllo sociale (magari estendendo la tracciabilità ben oltre la sfera sanitaria e/o limitando ancor più gli spazi di agibilità politica e sindacale) e chi invece spingerà per soluzioni “keynesiane”, fermo restando che, se le cose andranno bene (per il capitale), gli utili saranno dei privati, se andranno male, sarà un problema dello stato… Tutto ciò sarà condizionato – come dicevo prima – anche dalle conseguenze geopolitiche, cioè dal possibile mutamento delle relazioni fra gli stati dovuto agli effetti della crisi provocata dal coronavirus che potrebbe modificare assetti e strategie su scala mondiale.
In conclusione, l’invito è a mantenere più che mai alta l’attenzione e la vigilanza.