La politica dello spettacolo, quella organizzata a uso e consumo di cittadini ormai spoliticizzati ha un preciso compito: quello di allettare la platea alla rappresentazione di uno scontro artefatto e mistificatorio. Il consenso delle forze politiche – che vivono di una campagna elettorale perenne – si misura sul sondaggio, una sorta di auditel che ha bisogno di essere aggiornato giorno per giorno. Il sistema deve essere condito dagli storytelling, narrazioni sui politici, eletti al ruolo di personaggi, che devono far appassionare i cittadini ormai immiseriti nel ruolo di consumatori.
Nell’era della spoliticizzazione e della dittatura della tecnica – dove gli apriorismi economici che devono risultare indiscutibili – il marketing elettorale si rivolge alle fasce della popolazione che sarebbero naturalmente disinteressate alla lotta politica. Dovranno appassionarsi allo Spettacolo confezionato a loro misura. La creazione di fasulle contrapposizioni mediatiche diventa lo stratagemma ideale per nascondere il vero conflitto del sistema capitalista, quello tra capitale e lavoro. La contrapposizione spettacolarizzata impone delle regole e si connota per delimitare gli schieramenti che devono dotarsi di elementi stilistici nettamente distinti. I supporters devono tifare e immedesimarsi attraverso simbologie impolitiche: la Civiltà, la Bontà, l’Educazione, il Look.
L’architrave su cui è stata edificata la Seconda Repubblica possiede questo imperativo: presentare discussioni artefatte atte a distogliere l’interesse del pubblico dalle reali contraddizioni del sistema neoliberale. In questo contesto nessuno si sognerà mai di mettere in discussione l’intero impianto. Si pensi al cosiddetto popolo della sinistra.
Anche oggi i suoi adepti si affrettano a fornire una bizzarra rappresentazione della realtà nel momento in cui criticano i cittadini che osano disquisire di economia. Appunto l’economia non deve essere oggetto dello scontro, viene relegata a materia da “esperti” e l’esperto è presentato come tale proprio dallo Spettacolo. Si cerca in questo modo di ridicolizzare una ri-politicizzazione della società e di mettere all’indice chi osa riaprire lo spazio di discussione. Quel popolo è stato educato nel tempo al disinteresse. L’accettazione acritica delle misure economiche deve trasformarsi in segno di Civiltà.
Nella rappresentazione artefatta dello scontro i “cattivi” devono dar l’idea di contrapporsi al sistema dominante. Negli ultimi anni la Lega ha proposto un proprio brand di facile consumo: l’antieuropeismo. Ma questo antieuropeismo è autentico? Oppure è pubblicizzato proprio perché il dissenso possa essere facilmente inserito nei meccanismi di comando del neo-liberalismo? Per rispondere a questi dilemmi si dovrebbe ricordare il ruolo storico della Lega.
La Lega – insieme al PD – è il partito che ha attivamente edificato la Seconda Repubblica. Ne costituisce un pilastro fondamentale. Ma la Seconda Repubblica è nata proprio per assecondare i diktat sovranazionali tendenti alla liberalizzazione dei mercati e alla spoliticizzazione dell’economia. Ha concepito una società priva di corpi intermedi e delle istituzioni verticalizzate che operano senza controlli per legittimare l’interesse privato a norma fondante.
La Lega nasce proprio per assecondare l’ideologia ordo-liberista. La contestazione al modello sociale dello Stato delineato dalla nostra Costituzione ha rappresentato il suo tratto distintivo durante la fine della Prima Repubblica. Negli anni di Mani Pulite fu decisiva per dare la spallata finale al sistema dei Partiti e della società salariale. L’ordo-liberismo dei Trattati era perfettamente congeniale al suo elettorato di riferimento, quello dei piccoli produttori del nordest. L’ordo-liberismo tedesco difatti assegna allo Stato il compito fondamentale di proteggere la libera concorrenza e di creare mercati. La società a cui facevano riferimento i teorici ordoliberali era proprio quella delle piccole comunità tedesche che si immaginavano pacificate. Il cittadino che può godere dei diritti politici è il produttore e il fine ultimo dell’esistenza è quello di diventare un produttore. Nel mondo composto da produttori scompare il conflitto di classe perché l’interesse che muove la società è personale e lo Stato si spoglia della suoi compiti sociali.
Insomma i Trattati istitutivi dalla UE si adattano perfettamente al popolo della Lega. Ciò che la Lega contesta oggi non è quell’impalcatura ideologica bensì le conseguenze monopolistiche della globalizzazione. La concentrazione del capitale nelle mani di pochi in ossequio a quello che è stato definito l’anticapitalismo di destra. Ma quell’anticapitalismo che affonda le sue radici nel mito della frontiera americano, non contesta le logiche di sfruttamento di quel sistema, si limita a opporsi alle ingerenze della grande burocrazia, alla finanziarizzazione dell’economia e agli interessi usurai delle Banche. L’opposizione alla UE della Lega non si richiama ai valori costituzionali bensì alla corretta interpretazione dei Trattati. Il vero pericolo per la Lega quindi resta la Costituzione e il modello sociale a cui si ispira.
Difatti nei primi anni della Seconda Repubblica la Lega e la Sinistra (tutta) si sono accreditate come le parti politiche più europeiste. Insieme hanno costruito quel modello e ancora oggi sembrano difenderlo strenuamente, al di là della rappresentazione conflittuale spettacolarizzata. Dall’inizio della Legislatura sembrano lavorare per un ritorno a un perfetto bipolarismo che impedirebbe una reale ri-politicizzazione della società. Nei momenti decisivi viene alla luce un’alleanza di fondo per impedire che gli interessi delle classi deboli trovino una rappresentazione istituzionale. Se sin dal principio fu la Lega che disinnescò la candidatura a Ministro dell’Economia di Paolo Savona, anche in questi giorni i due contendenti sembrano lavorare da sponde diverse per indebolire il Presidente del Consiglio nella trattativa europea. Da un lato Il PD lo sfianca facendo apparire l’atteggiamento di fermezza di Conte come innocuo all’interno della stanza dei bottoni, dall’altro la Lega lo depotenzia – assecondando le manovre del PD – agli occhi dell’opinione pubblica. La rabbia del popolo dovrà concentrarsi su Conte e non sulle strutture sovranazionali che impongono la consueta macelleria sociale.
Le due parti così si alimentano a vicenda e si legittimano l’una con l’altra nei rispettivi ruoli che la rappresentazione spettacolarizzata della politica post-democratica gli ha assegnato.
Fonte foto: Huffington Post (da Google)