Gratitudine

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

Anni e anni fa, una signora milanese scrisse una lettera al cardinale Martini. In questa lettera c’era una domanda. E questa domanda era  : “quando sarò in cielo, potrò rivedere mio marito ?”.

Non conosco la risposta. Ma non riesco a pensare che questa sia stata negativa. Perché se lo fosse stata, la nostra esistenza e il mondo in cui viviamo  non avrebbero alcun senso.

Personalmente credo nel “mondo che verrà”. E che questo sia il compimento di un disegno collettivo in cui non si vive e si muore da soli; ma in cui la nostra personale esistenza è legata con infiniti fili a quella degli altri e alla  generazione presente e a quelle che ci hanno preceduto. In quel mondo non ci saranno più  vincenti e perdenti, fortunati o miserabili, felici o infelici, ricordati o dimenticati: perché tutto verrà riportato alla luce e rimesso al suo posto. E nessuno sarà solo; mai. Una scommessa, certo; ma anche l’unica che dia un senso alla nostra vita.

E mi fermo qui. Perché non intendevo assolutamente approfittare di questa circostanza per aprire un “dibbattito”. Ma solo esprimere un’emozione. Anzi un grande senso di gratitudine.

Nel corso della mia lunga vita ho avuto quasi sempre accanto a me molte altre persone. Senza di loro sarei rimasto quello che ero potenzialmente: quel vecchio accademico raccontato da Cechov che all’appello della figlioccia, fuggita di casa con il solito cialtrone di turno e che, rimasta sola in un albergo sperduto  e che gli chiede consiglio e aiuto, risponde: “non so cosa dirti; ho solo idee generali”. Oppure come il padre di Disraeli, sempre chiuso in biblioteca; e magari con la scritta “do not disturb”.

Persone del genere non possono fare niente da soli. Da soli, posso testimoniarlo, non possono né andare al cinema né prendere un caffè. E da soli, posso ancora testimoniarlo, al minimo ostacolo serio o davanti alla prima scelta difficile, precipitano senza essere in grado di risalire da soli.

La mia sorte è stata invece di vivere costantemente in un ambiente  che mi coccolava e mi proteggeva. Era quello dei libri: i cui personaggi e le cui vicende mi porto sempre dentro. Era quello di un mondo forse inconsistente ma bellissimo. In cui non si parlava  mai né di cibo, né di danaro, né di odi nè passioni, né di sesso, né di potere; e in cui non c’erano buoni e cattivi, amici e nemici, ma solo di persone simpatiche  o antipatiche, “autentiche”o “cerebrali”. In questo mondo non c’erano problemi che non potessero essere superati né vicende personali che non potessero risolte con la parola.

La mia sorte? Adesso posso dire la mia fortuna. Perché la forte tensione etica che lo percorreva e, insieme, il bisogno di comunità, mi hanno portato al socialismo. Perché nella sua cultura il successo non era la misura dell’esistenza; il che mi ha consentito di vivere il presente e di guardare al passato con la dovuta serenità, con i dovuti rimorsi ma senza inutili rimpianti. Perché le esperienze che ho vissuto e le cose che ho fatto sono avvenute, sempre, con persone amiche che mi stavano intorno. E, infine, e soprattutto, perché, guardando al passato e al presente ricordo  con esattezza tutti, dico tutti, gli atti di gentilezza e di amicizia di cui sono stato oggetto; mentre di offese, odi, rancori non ho alcun ricordo.

Debbo, dunque, a tanti, tanta gratitudine e non finirò mai di manifestarla. Questa varrà per un anno. Poi ci risentiremo. Da Vedova scaltra e con gli opportuni contatti, ho saputo da Chi di dovere che potrò vivere sino a quando: 1) vedrò crescere uno o più dei miei quattro nipoti così da rimanere nella loro memoria e da intuire cosa faranno nella vita; 2) rinascerà, in Italia e nel mondo, una forza socialista degna di questo nome, 3) la Roma vincerà lo scudetto. Più d’una di queste tre cose. Vedova scaltra sì; aspirante a vivere per sempre no.

Un abbraccio a tutti

Old friends, two senior african american men meeting and hugging ...

 

 

 

 

 

 

 

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