L’altro giorno ho partecipato ad una conferenza, nello spazio di “città dell’altra economia” a Testaccio (storico ex quartiere popolare di Roma), avente per titolo “Le ragioni dei pastori sardi”.
Dopo una breve introduzione sui vari aspetti economico-sociali e sulla particolarità della regione Sardegna rispetto alla questione, curata da rappresentanti di una associazione culturale, l’Acrae, e da alcuni pastori stessi intervenuti alla serata, è stato proiettato il film “Capo e Croce”, un vero e proprio documentario di oltre un’ora e mezza, girato tra il 2010 e il 2013 da Marco Antonio Peri e Paolo Carboni, anch’essi presenti in sala.
La visione mi ha riportato immediatamente indietro di qualche anno, il 2012 per esattezza, quando uscì nelle sale italiane “Diaz”, uno dei film sui fatti di Genova del 2001.
I due casi, inizialmente , potrebbero sembrare distanti, vuoi per la dimensione politica dei fatti (uno un qualcosa di rilevanza mondiale, considerando che la sigla g8 indica gli 8 paesi più industrializzati al mondo, e tra questi ci sono ovviamente USA, e poi Giappone, Canada, Russia oltre a Germania ,Francia Italia e Regno Unito, l’altro un fatto legato ad una singola regione di uno stato), vuoi per per il numero di partecipanti (in un caso parliamo di centinaia di migliaia di persone intervenute da tutto il mondo, nell’altro non arriviamo che a 2 o 3 migliaia di persone, tutti sardi), e infine mediaticamente, dove nel primo caso ci sono tv di tutto il mondo, in particolare ovviamente in Italia ed Europa, nell’altro poche parole di qualche tg e altrettante nella carta stampata.
Eppure, quel che penso, è che ogni qualvolta ci sia un qualcuno, o dieci, o centomila, che si mette di traverso al sistema precostituito, bene, coloro non la passeranno liscia. Questo “Stato… di cose” prevede sì il dissenso, ma fino ad un certo punto. La Democrazia, quella con la D maiuscola che identificherebbe gli Stati di Diritto, in certi momenti può essere momentaneamente sospesa, evidentemente.
Il docufilm è un continuo alternarsi tra la vita di tutti i giorni dei pastori, un lavoro duro, in tutte le condizioni climatiche possibili, con difficoltà oggettive sempre crescenti, e il tentativo di far riconoscere nei luoghi deputati l’impossibilità economica sopraggiunta da una quindicina di anni a questa parte, di sostenere questo lavoro. Lavoro di una vita, e che diventa, effettivamente tutt’uno con la vita stessa. Essere pastori è una cultura millenaria, prima di essere un lavoro. La pastorizia è un presidio sano del territorio. Ma gli animali, i sementi, le attrezzature, costano…oltre alla fatica. Ed allora se qualcuno decide che a partire dal latte, e poi il formaggio, prodotti in quel modo, possano avere soltanto un prezzo “di mercato” definito a migliaia di Km dal luogo di produzione, da persone che di quella vita, di quella cultura, di quel lavoro, non ne sanno e non ne vogliono sapere, ecco che tutto ciò inizia a creare problemi. I pastori iniziano a parlare tra di loro. E poi altri pastori delle zone vicine…E si inizia ad andare a Sassari e a Cagliari, sede della Regione. Prime cariche della polizia. Regione non pervenuta. I pastori, da soli, continuano a parlare, mentre lavorano, e allora decidono di andare a Roma, sede del Governo. Ma la polizia li aspetta a Civitavecchia, preparati a dovere. E appena scendono dalla nave, dopo 12 ore e più di viaggio, giù con le cariche, con le manganellate, e con i fermi e gli arresti. Un pastore particolarmente “pericoloso” viene processato. Per sette anni interi. Alla fine, e di poco tempo fa la sentenza definitiva di Cassazione, verrà assolto…perché “non aveva fatto altro che manifestare un disagio, e in questo Paese è almeno ancora lecito…” Dopo 7 anni di processo però!
Gli interventi repressivi delle forze di polizia, di una durezza ingiustificata, contro persone che hanno la sola colpa di manifestare un disagio, sono figlie anche di un altro aspetto che, secondo il sottoscritto, cela il pensiero delle Istituzioni tutte, dalla Regione allo Stato centrale, ed è il seguente: il fatto che i manifestanti, in questo caso, non delegano a nessuno il proprio bisogno. Non ci sono partiti. Non ci sono Sindacati. Non ci sono Leghe nazionali…No, soltanto Movimento dei Pastori. Questi sono. I pastori hanno disagio. I pastori manifestano.
Perciò la chiusura diventa assoluta. Perciò le cariche. Perciò la repressione. Non è proprio consentito, in questo “stato di cose” la protesta in prima persona. Quella fa ancora più paura. Perché è una protesta autodeterminata. Con la piena coscienza dei soggetti interessati. Anche per questo la devono smettere. E devono essere repressi, se non mollano. E’ questo che preoccupa il Manovratore. E’ questo che incute, se non paura, fastidio.
E quindi le cariche, inaspettate, a Cagliari. E la carica, appena sbarcati, a Civitavecchia. Ed altre repressioni seguiranno.
A fine proiezione guardo i volti di questi “pericolosi” pastori. Pur se commossi, giurano di non mollare. Di andare avanti. Un riscatto sociale è possibile, quando è autodeterminato. Loro sono un esempio. Ad oggi hanno perso diverse battaglie, contro nemici enormemente più potenti. Ma hanno acquisito ancora più consapevolezza. Ed hanno dimostrato una dignità assoluta.