1. L’attuale sistema capitalistico ha del tutto superato la vecchia dicotomia politica che distingueva una volta la sinistra dalla destra.
Se prima del 1989 la sinistra contrapponeva alla destra un’idea di società fondata sull’eguaglianza e sulla pianificazione economica, oggi “destra” e “sinistra” competono per “amministrare” un sistema fondato strutturalmente sui valori e sulle logiche del capitalismo.. Lo scontro che opponeva socialismo e capitalismo è diventato uno scontro tutto interno al secondo. La destra ( pensiamo a uomini come Bush, Berlusconi o Aznar ) propone un capitalismo autoritario e neoliberista, mentre la sinistra (ormai ex) socialdemocratica occidentale ( da Zapatero a Tsipras ) si illude o finge di illudersi di poter democratizzare un sistema dominato da una concezione ultrasevaggia del capitalismo stesso.
Una delle cartine al tornasole del paradigma di cui sopra è proprio la politica internazionale: è evidente ad esempio che né la Merkel né i socialdemocratici si sognano di difendere la sovranità popolare e l’indipendenza nazionale rivendicando l’uscita dalla NATO. Così come nessun esponente socialdemocratico ha mai messo in discussione la politica estera statunitense ed il suo crescente militarismo, riconoscendo il sacrosanto diritto dei popoli ad autodeterminarsi. In Italia, l’atteggiamento dell’allora segretario di Rifondazione Comunista, Bertinotti nei confronti della Resistenza irakena è stato emblematico e ha segnato uno dei punti più bassi del processo involutivo di quello schieramento politico che invece, decenni indietro, denunciò con forza le politiche imperialiste statunitensi e sioniste, schierandosi – ad esempio – dalla parte del movimento di resistenza algerino contro lo stesso occidente.
In sintesi: nessun socialdemocratico ( al pari dei conservatori ) – da Vendola a Tsipras – manifesta oggi la benché minima intenzione di denunciare la vergognosa impunità di cui gode Israele, i suoi crimini ( così definiti da grandi giornalisti progressisti come James Petras o Gideon Levy ) contro il popolo palestinese e l’influenza delle lobby sioniste sulla politica occidentale ( prontamente denunciata da studiosi come Garaudy, Petras e l’italiano Mauro Manno ).
Veniamo ora proprio ad Israele. Se c’è un contesto in cui la dicotomia fra destra e sinistra è ridotta ad una gigantesca finzione è proprio quello dello Stato ebraico. Vediamo in che modo.
2. La sinistra israeliana fino al 1967 aveva un grande problema: coniugare gli ideali di giustizia sociale in presenza di uno Stato colono (per usare le parole dello storico israeliano, Ilan Pappe ) fondato di fatto sulla pulizia etnica, ossia sui massacri dell’Irgun e di altri gruppi di estrema destra.
Dopo il 1967, in seguito all’espulsione di oltre 350.000 palestinesi dai territori della Cisgiordania, cominciò a prendere corpo una sorta di nuova finzione politica: la sinistra sionista contrappone il “fuori”, la realtà dei coloni e dell’intero sistema degli insediamenti coloniali , al “dentro”, cioè la società civile israeliana organizzata sul modello democratico occidentale. Su questa oggettiva contraddizione sono cresciute la società e lo stato israeliano.
Una contraddizione che si è sempre tradotta nella brutalità dell’occupazione coloniale che riflette, alla perfezione, la sostanziale anti-democraticità di Israele, stato fondato su una concezione di tipo esclusivistico su base etnico-confessionale. Sono di Ben Gurion le dichiarazioni che definiscono il neonato Stato ebraico uno Stato “etnicamente omogeneo” ( al pari della Germania nazista?… ). E ancora, non fu sempre il laburista Ben Gurion, a dire che Israele doveva essere uno Stato dinamico in continua espansione?
L’espansione coloniale ininterrotta (con relativo carico di violenza esercitata dai coloni) è la vera ragion d’essere dello stato israeliano, impunito e coperto nella sua fase di espansione imperialistica, proprio perché Israele ( non dimentichiamo, potenza capitalistica fortissima ) ha collocato i suoi migliori tecnici ai vertici delle organizzazioni sovranazionali che regolano il così detto diritto internazionale.
Molti critici del sionismo di “destra” ritengono di poter fare riferimento agli insegnamenti della Torah ma sono in errore. L’insegnamento obbligatorio della religione ebraica nelle scuole è stato imposto proprio da Ben Gurion e Golda Meir, non dal fascista ( e fu fascista veramente, questo non è un verbalismo ! ) Begin. I governi sionisti si rifanno non tanto alla Torah ( quella la lasciano agli haredim ) ma al Talmud. Gli sproloqui talmudici sono noti a tutti gli esperti dell’ebraismo: si stabilisce la differenza fra ebrei e goy ( non ebrei ) di fatto elevando una forma di razzismo a religione di Stato.
In Israele politica e religione sono in simbiosi; Israele presenta, facendo del Talmud la base del suo sistema legislativo, le caratteristiche proprie di un regime teocratico e intrinsecamente anti-democratico.
E’ evidente come la distinzione fra destra e sinistra, a partire da questi presupposti, tenda necessariamente a scemare. In questo quadro i due principali partiti si trovano a competere con il partito para-fascista Likud e a rincorrerlo sul suo stesso terreno, che è quello della repressione sistematica e brutale dei palestinesi. La dialettica politica interna in Israele si riduce in ultima analisi a questo.
E’ necessario chiarire un aspetto importante: la società israeliana presenta delle contraddizioni e delle ingiustizie sociali enormi. Tutto ciò non per delle politiche sbagliate o solo per l’adozione di un modello capitalista neoliberista ispirato al modello tecnocratico europeo. E’ la stessa la logica di Ben Gurion, quella cioè dello Stato ebraico in continua espansione, che ha portato inevitabilmente alla demolizione sistematiica dello Stato sociale e di tutto ciò che in qualche modo ha a che vedere con esso. Non si può costruire uno Stato sociale e democratico avendo come fondamento l’espansionismo militarista e il razzismo. La logica stessa del sionismo, dal 1948 in poi, ha spianato la strada a quello che Gideon Levy ha definito il “miserabile stato ebraico”.
Cediamo la parola al coraggioso giornalista israeliano:
“La massa ha interiorizzato il vero significato : uno Stato ebraico è uno Stato nel quale vi è posto solo per gli ebrei. La sorte degli africani è di essere spediti al centro di detenzione di Holot nel Neguev e quella dei palestinesi è di subire i pogrom. In uno Stato ebraico la presidente dell’Assemblea della Knesset, Ruth Calderon, taglia la parola al deputato arabo Ahmed Tibi appena tornato, sconvolto, dalla visita alla famiglia di Shoafat, il giovane arabo che è stato massacrato, e gli fa una cinica predica sul fatto che deve anche parlare dei tre giovani ebrei uccisi (allorchè Tibi lo aveva appena fatto)’.
Che razza di democrazia è questa e che spazio può avere la sinistra in un paese dove il razzismo diventa religione di Stato ? E che sinistra era quella che ha accettato la costruzione di uno Stato “etnicamente omogeneo” ? Una sinistra virtuale per un proletariato virtuale, forse !
Il compito di un giornalista è cercare il vero ed esprimere la propria opinione in qualsiasi circostanza: Ben Gurion e Golda Meir si collocano alla stessa stregua dei socialdemocratici che commissionarono l’assassinio di Rosa Luxemburg; da lì a poco, in Germania, Hitler prese il potere. Israele, in forme diverse, è consapevole del “suo” fascismo; una nuova tipologia di fascismo che, purtroppo per tutti, non vuole finire.