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Una volta San Lorenzo stava alla Sinistra come Sesto San Giovanni, la cittadella rossa alle porte di Milano, stava al Movimento Operaio Italiano.
San Lorenzo, storico quartiere proletario romano, da sempre roccaforte comunista. Un quartiere dove i fascisti fin dal primissimo dopoguerra non si azzardavano neanche a mettere il piede. Se passavano da quelle parti per qualsiasi ragione, anche personale, facevano un largo giro per evitare di attraversarlo anche a costo di allungare la strada di molto…
Ce ne erano tanti a Roma fino ad una quarantina di anni fa, di quartieri simili, Garbatella il più famoso, a seguire San Basilio, Centocelle, il Trullo, il Tufello, Primavalle e diversi altri. Luoghi storici di lotte sociali, occupazioni di case, scontri, anche molto violenti, con le forze dello Stato, per difendere diritti e spazi. Ma San Lorenzo era senza dubbio il quartiere simbolo della Sinistra romana, appunto come Sesto San Giovanni era la città simbolo del Movimento Operaio Italiano e soprattutto del suo settore più forte, combattivo, organizzato e politicizzato: i metalmeccanici.
A San Lorenzo c’erano, ovviamente, le sezioni del PCI e del PSI e poi, dai primissimi anni ’70 in poi (ma anche prima), le sedi di tutti le formazioni della sinistra extraparlamentare. In particolare c’era la sede dei Comitati Autonomi Operai, meglio conosciuta come Autonomia Operaia, sita al famoso numero 32 di Via dei Volsci. Proprio adiacenti a San Lorenzo c’erano e ci sono ancora la Casa dello Studente (luogo storico del Movimento Studentesco) e il Policlinico Umberto I, che era uno dei luoghi di lavoro più politicizzati e sindacalizzati di tutto il Paese, indubbiamente un’avanguardia del Movimento Operaio Romano e nazionale il cui comitato di base sindacale era un mattone fondamentale, appunto, dell’Autonomia Operaia romana.
Oggi, da molti anni ormai, quella storica sede di Via dei Volsci – il cui solo pronunciare il nome faceva tremare le gambe agli avversari politici (e ne avevano ben donde…) – è occupata da gruppi di ultrà romanisti e fascisti e ambienti di delinquenza comune legata allo spaccio di droga e alla varia fascisteria. Tempo fa proprio in quella via un extracomunitario di colore è stato massacrato di botte da un gruppo di fascisti che uscivano proprio dal 32. Sembra incredibile, impensabile, ma è così.
Il quartiere, una volta abitato prevalentemente da famiglie di operai impiegati nell’edilizia e da piccoli artigiani, è stato “gentrificato”, come si suol dire. La gran parte dei vecchi abitanti se ne è andata, di fatto espulsa o comunque allontanata, come già accaduto ormai molto tempo fa a Trastevere, Rione Monti e Campo de’ Fiori e più recentemente a Testaccio, altri storici quartieri popolari (e rossi) romani, oggi luoghi di movida, di svago notturno per i turisti, dove abitano attori, attrici, cantanti, personaggi vari del cinema e della televisione e guitti vari.
San Lorenzo ha resistito per parecchio tempo, proprio in virtù della sua storia; è stato l’ultimo a cadere sotto i colpi del processo di gentrificazione e di mercificazione selvaggia. Ma alla fine ha ceduto, né poteva essere altrimenti.
Oggi San Lorenzo non è più niente. E’ un luogo come tanti altri, simile a tanti altri di tutte le città del mondo, dove decine di migliaia di persone, per lo più giovani, vanno la sera a bere, a ubriacarsi e a cercare droga, leggera o pesante che sia, per potersi “sballare”. Un luogo di spaccio, insomma, e di “svacco”, diciamo pure di degrado. I pochi residenti sopravvissuti” al processo di “gentrificazione” sono in conflitto costante con la massa di giovani che bivaccano, schiamazzano, si ubriacano, si sballano e vomitano sotto le loro case tutto quello che si sono ingurgitati nel corso della nottata. Non so se drogarsi e ubriacarsi possa essere considerato divertimento, ma tant’è. Ovviamente proliferano i trafficanti di droga, sia extracomunitari che autoctoni.
Naturalmente, il declino-degrado di uno storico rione come San Lorenzo non è certo casuale. Corrisponde al declino e al degrado di una realtà sociale distrutta dal processo di mercificazione capitalista e all’esaurirsi di una Storia, una Storia sconfitta di cui oggi non restano neanche le vestigia. Troppo lungo e complesso indagarne ora le ragioni (del resto, lo facciamo costantemente su questo giornale).
Quando, come, dove e chi sarà in grado di riannodare quei fili per proiettarli nel futuro, non ci è dato saperlo. Noi, per quelle che sono le nostre modestissime possibilità, cerchiamo di gettare dei semi.
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