L’ articolo di Renato Caputo 1) è importante perché individua, senza mezzi termini, il problema chiave per un conflitto che abbia un minimo di credibilità politica contro l’imperialismo nostrano e contro gli imperialismi globali. Il problema chiave per chi si definisce comunista e voglia veramente agire da comunista.
Viviamo in tempi in cui il termine “comunista” è visto con sospetto anche da forze che si dichiarano di sinistra antagonista, di sinistra antimperialista, dato il discredito che è stato ampiamente creato dalle classi dominanti che hanno saputo, con i loro spin doctors, con i loro strateghi della comunicazione, valorizzato ampiamente in termini negativi i molti errori, le mille inadempienze che hanno gravato in modo funesto nella costruzione degli stati socialisti, e hanno saputo, soprattutto, minimizzare o addirittura cancellare dalla memoria storica gli accerchiamenti imperialisti che hanno causato la morte di milioni di militanti e allo stesso tempo impedito il realizzarsi di una compiuta democrazia proletaria.
Tali modelli, ad iniziare da quello russo e quello cinese, vanno posti sotto critica severa e spietata, senza cadere ingenuamente nelle tante false ricostruzioni, nelle tante fake news diffuse ad ampio raggio sulle prime esperienze socialiste, fake news che hanno fatto breccia anche nei movimenti antimperialisti. Ma non è a questi modelli, come si sono realizzati compiutamente, che bisogna riportarsi ora, ai nostri tempi.
Ciò cui dobbiamo aspirare attualmente, facendo tesoro delle passate esperienze degli Stati e dei movimenti comunisti, caratterizzati sì da errori ma soprattutto da grande capacità di sacrificio, di eroismo quotidiano, di abnegazione, oltre che di costruzioni teoriche geniali che hanno fatto seguito al monumentale pensiero di Karl Marx e di Friedrich Engels è un modello teorico fondato sull’attuale formazione sociale imperialista come si è costituita nell’Occidente e nei suoi vasti domini coloniali in Asia, in Africa e nelle Americhe latine, il che richiede uno studio sempre più accurato delle forme di dominio dell’apparato politico/militare/finanziario oggi vigente a livello planetario.
Lenin, forte dell’esperienza tragica della Comune del 1870, nonché degli esiti infausti dell’anarchismo russo e molto dolorosi anche sul piano affettivo (morte per impiccagione del fratello), aveva realizzato che solo un’organizzazione molto compatta e articolata, in particolar modo nelle aree operaie, avrebbe avuto la possibilità di resistere all’assedio delle forze reazionarie e a rispondere con successo: un partito d’acciaio appunto, il partito leninista.
Il partito e la disciplina di partito costituivano per Vladimir Ilich Lenin la questione chiave, l’elemento costitutivo fondamentale per una elaborazione concettuale marxista e per la prassi politica militante. Oggi si tratta di “inventare” una forma di partito che rispondendo positivamente agli obiettivi che si prefiggeva Lenin, eviti verticismi e burocratismi che possono maturare all’interno di un’organizzazione fortemente centralizzata (esiti di cui Lenin era profondamente cosciente).
Non è questa, certo, la sede in cui il sottoscritto possa esprimere le sue opinioni. Qui mi interessa solo affermare che di fronte alla macchina formidabile di guerra del Capitale, la rimozione dalla lotta politica di un partito responsabile dei suoi fini, disciplinato, culturalmente attrezzato per affrontare i suoi avversari, conduce qualsiasi avanguardia alla sconfitta, all’emarginazione, alla scomparsa 2)
le tante lotte che avverranno nell’immediato futuro, data la marcia obbligata del Capitale verso la pauperizzazione, la distruzione dell’ambiente e la dissoluzione della democrazia anche formale, costituiranno solo delle punzecchiature di spillo, qualora non siano coordinate da un forte partito e risulteranno solo delle formidabili testimonianze di resistenza.
NOTE
1) Antonio Caputo “Unità di classe vs settarismo” in Ancora fischia il vento 18/7/19
2) Ho rispetto per i vari tentativi di costruzione di un partito di classe compiuti in Italia. Da alcuni mi sento molto lontano, da altri divergo proprio sull’analisi della formazione sociale oggi dominante. Comunque tutti, complessivamente, non sono riusciti nell’impresa di avere un’avanguardia che sapesse essere “come pesci nell’acqua” e di riuscire dunque a smuovere più di tanto “la montagna”…penso dunque che debbano riconoscere il loro fallimento…e ricercare nuove strade