Che l’indipendenza della magistratura sia stata, in questi ultimi decenni, stravolta è cosa ben nota. Gli ultimi avvenimenti confermano il degrado dei rapporti di dipendenza tra esecutivo e magistratura e i mass media ne hanno parlato con dovizia di particolari.
Ma poco ci si è intrattenuti sull’evento che a me pare il più grave in assoluto: l’espulsione del PM Di Matteo dal pool “stragi e mandanti esterni”
L’accusa da parte del Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho consisterebbe nell’avere il Di Matteo interrotto “il rapporto di fiducia con il gruppo e con le Direzioni distrettuali antimafia” a causa di una intervista televisiva in cui in effetti aveva trattato di fatti e di prove già acquisite dalla stampa nazionale, dall’ opinione pubblica, quali l’indagine di Falcone sull’associazione terrorista Gladio, il biglietto di un agente segreto nel luogo dove persero la vita Giovanni Falcone e la moglie, il furto del computer dello stesso Giovanni Falcone…
Il PM Antonino Di Matteo indaga da ormai più di venti anni, sulla scia delle esperienze di Giovanni Falcone, sulle trattative stato-mafia che ebbero una loro concretizzazione dopo le stragi dei primi anni ’90, a mio giudizio non casualmente dopo il crollo dell’Unione Sovietica e che videro protagonisti, come emerge dalle dichiarazioni di molti pentiti, da una parte personaggi illustri come Nicola Mancino e dall’altra boss di grande rilievo come Vito Ciancimino.
Perché le stragi? Presumibilmente perché Cosa Nostra voleva azzerare la vecchia classe dirigente democristiana che non appariva più all’altezza dei programmi e delle ambizioni della Mafia.
Con le trattative, soprattutto il Capo dei Capi Totò Riina aveva l’intenzione di imporre le sue volontà allo Stato, con il suo “famoso” papello. Le trattative, come è noto, andarono per le lunghe. Il papello, se accolto, avrebbe annichilito le prerogative dello stato. Più abbordabile il contro-papello di Provenzano che conteneva richieste più miti. Ma Provenzano non aveva il potere assoluto di cui disponeva Riina. Perciò, in teoria, qualche passo in avanti poteva essere possibile con l’arresto di Riina, il cui casolare era a conoscenza da molto tempo dalle forze dell’ordine…gli eventi successivi sono noti e non sto ora a rammentarli.
Mi limito ad alcune osservazioni. L’indagine giudiziaria, nota come “mani pulite” sui rapporti di corruzione tra classe politica e imprenditoria ebbe inizio “ufficialmente” con il fascicolo aperto dal PM Antonio Di Pietro presso la Procura di Milano nel 1991. Il primo arresto fu clamoroso perché riguardava l’aspirante sindaco di Milano, il socialista Mario Chiesa.
Negli stessi anni, stragi e Mani Pulite. Una coincidenza? Era solo Cosa Nostra che voleva azzerare la Democrazia Cristiana e il PSI? O c’erano anche altra forze, come supponeva Falcone in riferimento alle stragi. Personalmente ipotizzo che i due eventi godessero della partecipazione attiva, indipendentemente o meno dalla consapevolezza dei protagonisti, dei servizi segreti dell’estrema destra terrorista, delle iper-logge massoniche. Giovanni Falcone era andato troppo avanti non solo sulla criminalità di Cosa Nostra ma anche su quella delle segrete stanze dello stato. E’ risaputo infatti il suo interesse giudiziario per Gladio, di cui si può presumere che avesse delle informazioni “scottanti”. Anche per tale motivo si può spiegare la scomparsa del computer dagli uffici del ministero di Grazia e Giustizia allora presieduto dal socialista Claudio Martelli.
Certo è che stragi e Mani Pulite diedero il colpo finale alla prima repubblica, Ed è certo che non è avvenuta per una presa sia pure tardiva di coscienza e di consapevolezza di popolo. Sulle ceneri degli antichi dominatori nasce la seconda repubblica con la benedizione di Cosa Nostra ( e di altre forze di cui ho detto) che darà l’avvio ad una nuova forza politica che avrà presumibilmente in Dell’Utri il suo garante ideologico e nell’imprenditore Silvio Berlusconi il suo regista…
Il lavoro di Di Matteo, magistrato gravemente a rischio, potrebbe portare, assieme ad altri suoi colleghi come Teresi, Del Bene, Tartaglia, ad esiti clamorosi non solo sui rapporti ambigui diretti e indiretti tra le più alte autorità dello stato e gli uomini della Mafia ma anche a svelarci connivenze ancora più gravide con la criminalità degli stati profondi della Grande finanza e delle iper logge massoniche.
L’espulsione di Antonino Di Matteo dal pool getta, a mio modo di vedere, un’ombra sulle reali intenzioni degli apparati istituzionali di potere sulla volontà di chiarire i tanti misteri che gravano sul Bel Paese. Falcone, come anche Borsellino, sapeva troppo. Erano perfettamente consapevoli che potevano essere assassinati, che gli agenti in loro difesa (assassinati anch’essi) non potevano dare garanzie credibili contro l’accerchiamento da parti rilevanti dello stato e delle cosche mafiose.
Si vuole ora isolare Antonino di Matteo, come è accaduto per Falcone, per Borsellino e per i molti altri giudici che hanno sfidato la ferocia delle Istituzioni e della Mafia e che hanno pagato con la morte? Sarebbe bene che le vere opposizioni al mal governo dall’Unione Europea e del Bel Paese dessero maggiori attenzioni alla “questione Di Matteo” perché è una questione esiziale per il futuro della fragile terza repubblica.