Dai primi anni cinquanta in poi la mia vita attiva, politica e intellettuale, si è svolta nel cono d’ombra (o di luce ?) che separa e insieme unisce socialisti e radicali: Ugi, referendum su divorzio e aborto, battaglie libertarie, garantiste e ambientaliste degli anni settanta e ottanta, sino all’esperienza della Rosa nel pugno, vissuta e difesa sino all’ultimo.
Normale, dunque, l’essere oggetto di successive sollecitazioni, sino alla richiesta di adesione all’appello per l’eutanasia. Adesione peraltro da me sempre rifiutata; ma con la formula del silenzio/dissenso. Era forse il desiderio di non prendere di petto i miei amici e interlocutori, o magari la quasi certezza che le mie ragioni non sarebbero state capite. O ancora l’irritazione che provavo di fronte agli argomenti usati per rassicurarmi: “Guarda che il 70% degli italiani è per l’eutanasia”; “Guarda che in Chiesa ci va sempre meno gente” (come se fosse questione di sondaggi; o che la mia riluttanza fosse dovuta ad una, magari inconscia, adesione all’ordine costituito o a verità rivelate). Sento però, ora, il bisogno di spiegarmi. E non per pontificare. O proporre soluzioni. Non sono, per inciso, cantore del valore intrinseco della sofferenza. Mi immedesimo, di più, con quella che porta e porterà tante persone a desiderare la morte per uscire da una situazione insostenibile; perché non so, francamente, cosa farei se fossi al loro posto.
Ben vengano, dunque, soluzioni legislative, anche rabberciate, che affrontino la questione del “fine vita” (dal testamento biologico ai limiti all’accanimento terapeutico).
E però, giratela come vi pare, l’eutanasia è un’altra cosa. E’ il diritto alla “dolce morte”, leggi al suicidio assistito, garantito, almeno il linea di principio, a tutti coloro che lo richiedano. Anche se ci sarà una legge, con la relativa casistica a delimitarne opportunamente i confini. (Ma di questo non vorrei parlare: perché le casistiche, in materie come questa, mi fanno un po’ senso; e perché questa casistica, come avviene nel caso olandese, si allargherebbe fatalmente al diritto di “dare la morte ”a persone ritenute “senza speranza”, anche senza il consenso degli interessati ). Ma è anche, in prospettiva, l’idea che la vita vada tutelata e difesa solo in quanto “degna di essere vissuta” (nella percezione dei diretti interessati ma anche dell’ambiente che li circonda); respingendo, pregiudizialmente, come “roba da medioevo” l’idea della sua sacralità.
Personalmente penso, anzi credo, contro ogni possibile evidenza, che la vita sia sacra. Di più, che abbia uguale dignità e uguale “senso” sia che si tratti di un vip di ogni ordine e grado che di un vecchio abbandonato, tra la vita e la morte, in qualche ospizio. Perché senza questa convinzione fondante, la storia dell’umanità non avrebbe né significato né futuro. Se non quello di una tendenziale rovina.
Già oggi, del resto, se ne possono cogliere i primi segni. E proprio in quella società occidentale, costruita, appena due secoli fa, sulla base dei diritti naturali e inalienabili dell’uomo e del cittadino. E nella prospettiva dell’uguaglianza e della democrazia.
E’ il culto per i vincitori e la cancellazione dei vinti. E’ la corona d’alloro per i ricchi e per coloro che “danno lavoro” e la colpevolizzazione automatica per quelli che non ce l’hanno e per i poveri in generale. E’ lo strabismo intellettuale e morale per cui i “nostri morti” hanno diritto a un nome e a una narrazione e quelli degli altri (in particolare per mano nostra) a un numero in una nota d’agenzia. E in nome del quale i “diritti umani” nel mondo esterno al nostro vengono automaticamente identificati con il diritto a manifestare di quelli che la pensano come noi e non invece, come dovrebbe essere, con quello di non essere uccisi o chiusi per sempre in un orizzonte di miseria e di persecuzione.
Ma è, soprattutto, almeno in prospettiva, la crescente insofferenza del “mondo che lavora e produce” verso i “pesi morti” oltre tutto dal costo sociale crescente e, potenzialmente, dichiarato insostenibile: pensionati attaccati oltre misura alla vita, disoccupati cronici ma anche malati cronici, non autosufficienti, vittime dell’Alzheimer e così via. Il che porterà la pubblica opinione a guardare con simpatia crescente ai sostenitori dell’eutanasia e a coloro che la praticheranno in proprio, magari senza il consenso degli interessati.
Loro, dunque, il futuro. Ma per ragioni che con la libertà e la dignità dell’uomo e con le meravigliose sorti e progressive della società non hanno nulla a che fare; quanto basta per rispondere di no, e a piena voce, ai loro appelli.