Molti compagni rimangono perplessi di fronte al nostro nome. E, dati i precedenti, hanno tutto il diritto di esserlo. Perché, da qualche tempo in qua, le varie aggiunte proposte al termine “socialismo” o “socialista” ( “riformista”, “liberale”, “del XXI secolo”, “social-ismo”, “moderno”) hanno lo scopo, che è proprio di quasi tutte le aggettivazioni politichesi, di sminuire o di snaturare il valore del sostantivo.
Nel nostro caso però l’ordine è ribaltato. Niente, “Socialismo risorgimentale ( ci mancherebbe altro…) ma Risorgimento socialista. Dove il valore aggiunto, il termine rafforzativo sta proprio nel primo dei due sostantivi.
Nessuna questione nominalistica. Non credo che dai nomi nascano le cose. O che ripeterli ossessivamente ( come il suono di trombe nel caso delle mura di Gerico; lì, a dare una mano per farle cadere c’era Geova in persona) valga ad ottenere l’effetto desiderato.
Nel nostro caso è esattamente il contrario. Se abbiamo, qui ed oggi, circa quaranta sigle che si richiamano al socialismo come parola e senza nemmeno proporsi lontanamente di poter aggregare le altre è perché in Italia non esiste la cosa. O, più esplicitamente e brutalmente, perché il socialismo è stato cancellato: nella politica, nella cultura, nell’azione sociale e, quindi, anche nel sogno collettivo di coloro che ne hanno bisogno ma non riescono a vederlo nell’orizzonte della loro vita quotidiana.
Per questo abbiamo scelto di chiamarci Risorgimento Socialista. Perché vogliamo riportare il socialismo all’ordine del giorno. Nella pratica quotidiana e nella coscienza delle persone.
Una sfida, una scommessa di enorme ambizione. E il cui successo è tutt’altro che scontato. E che vede il suo principale ostacolo proprio nel campo di quella che si chiama abusivamente sinistra.
Ma anche un impegno intellettuale e morale cui non dobbiamo venir meno. Il nostro congresso ( dico nostro a nome degli Amici di Risorgimento Socialista, associazione che ho fondato a casa mia e di cui mi sono autonominato presidente; “Padre nobile” è gentile ma, come dire, passatista; “Padre fondatore” è corretto ma pomposo. Ambedue mi collocano nel passato; mentre l’amicizia è, come il diamante, per sempre) è stato una manifestazione, per certi aspetti commovente, di questo impegno: l’essere socialisti, e non a parole, nel presente; per quello che pensiamo e che vogliamo; e per le lotte che intendiamo condurre d’ora in poi. Insomma, non solo il nome ma anche la cosa.
Abbiamo definito chi siamo. E questo ci ha portato a marcare, con assoluto rigore, la nostra differenza. Ma ora si tratta di realizzare quello che vogliamo: fare del socialismo la cultura di una sinistra degna di queste. E qui le dispute ideologiche, l’esaltazione delle differenze non aiutano; anzi portano a nuove scissioni dell’atomo. E nel disinteresse generale. Dovremmo, allora, da oggi in poi non proporre “dibbbattiti e accordini di verticini” ma chiamare gli altri ad azioni comuni: a difesa della pace, minacciata in tutto e ovunque; a difesa, non del governo, ma della sovranità nazionale, a difesa dei pubblico; a difesa del lavoro e contro le delocalizzazioni, per citarne solo alcune. E questo perché il risorgimento del socialismo nel nostro paese ci impegna ma non ci appartiene.
E, badate bene, questo vale anche per Potere al Popolo. Non un partito ma un contenitore che dobbiamo difendere ad ogni costo, e dalla propensione al suicidio e da attacchi esterni. E proprio perché viviamo in una situazione in cui il popolo non ha alcun potere. E ha disimparato a ragionare sul perché di questa situazione; e sulle modalità del suo possibile superamento. A partire dal basso e dalle periferie. In questo senso la vicenda di Santa Sofia è assolutamente illuminante; non foss’altro per l’eco che ha suscitato e che per le indicazioni che ci offre.
“Potere al Popolo”; un bellissimo nome. Perché non è una qualifica. Ma un impegno. Esattamente come Risorgimento socialista.
Fonte foto: Il Vibonese (da Google)