A giudicare dai commenti, nessuno ha capito bene perché il M5S abbia registrato, e in così poco tempo, una caduta così rovinosa; e tanto meno i diretti interessati. Ma, tra tutte, la reazione politicamente più incomprensibile è stata quella di Zingaretti. Una reazione, che dico un giudizio politico, riassumibile nel “siamo arrivati secondi; ora è finalmente aperta la strada per arrivare primi”.
Evidentemente la gioia di veder toccare la polvere all’Avversario anzi al Nemico principale del Pd ha appannato la vista al suo segretario. Al punto di non chiedersi minimamente perché ciò sia avvenuto. E soprattutto di renderlo del tutto incapace di dare la minima indicazione sul come un partito che ha raggiunto il 23% facendo il vuoto intorno a sé possa nel futuro prevedibile colmare il distacco con uno schieramento di centro- destra che ha raggiunto, per la prima volta nella storia della seconda repubblica, il 50% dei consensi.
In realtà, se il Nostro dichiarasse un po’ meno e pensasse un po’ di più, si renderebbe conto che la sconfitta del M5S e, soprattutto, le ragioni che l’hanno determinata rendono la “remontada”molto più difficile di prima.
I grillini hanno perso per una serie di ragioni, di cui diremo brevemente tra poco. Ma non hanno perso per colpa del Sud. E’ vero che l’alto livello di astensione gli ha nuociuto. Ma è anche vero che, dal Molise in giù hanno retto molto meglio: primo partito in tutte le regioni, salvo la Sardegna e con un calo di punti percentuali di circa un terzo a fronte di quasi il 50% nel resto del paese.
Non siamo quindi di fronte al vecchio film delle aspettative tradite ( salvo il caso clamoroso di Roma); anche perché molte delle promesse fatte sono state, sia pur malamente, realizzate. Siamo piuttosto davanti al fatto che elementi fondativi della identità politica del Movimento- “né di destra né di sinistra”, retorica antisistema, “onestà onestà”, giustizialismo, politica redistributiva simboleggiata dal reddito di citttadinanzai- non fanno più breccia nell’immaginario collettivo e soprattutto in quello del Centro-Nord.
Abbiamo parlato di immaginario collettivo; e non a caso. Stiamo parlando di un universo elettorale in cui il voto di opinione fa premio non solo, com’è ovvio, su quello di appartenenza ma anche su quello di scambio ( inteso, naturalmente, in una dimensione collettiva). In questo quadro vince chi detta l’agenda. Agenda che, nel caso italiano, è stata quasi interamente dettata dalla Lega: che si trattasse di sovranismo o di economia, di sicurezza o di migranti, di riduzione del ruolo del pubblico o di autonomia differenziata, di grandi opere o di sgravi fiscali.
Ora, questa agenda è quella del Nord. Lo è sempre stata, sin dalla controrivoluzione di Mani pulite. E lo è sempre stata perché coincide in tutto e per tutto con l’ideologia fondante della seconda repubblica e degli indirizzi che ne hanno segnato il percorso. Salvo a diventare attacco frontale agli interessi del Mezzogiorno quando, dopo la grande crisi del 2007/2008 si è aperta la lotta per l’utilizzo di risorse pubbliche sempre più scarse. Trovando, allora come oggi, una resistenza Pd fortissima sul piano dello stile ma pressoché nulla sul piano delle scelte.
Nulla ci indica, purtroppo, che questo quadro possa mutare nel futuro prevedibile. Il M5S sa benissimo che sarà, prima o poi, soffocato dall’abbraccio amorevole di Salvini; ma l’alternativa è il salto nel vuoto senza paracadute. Il Pd dovrebbe sapere che, per lottare contro il centro-destra al 50%, occorrerebbe proporre al paese un’agenda alternativa; ma anni di subalternità politica e culturale gli impediscono di formularla; mentre, nel frattempo continuerà ad affidarsi a mamma Europa e a papà Spread. Il Mezzogiorno ha rifiutato per ben tre volte ( referendum del 2016, politiche del 2013 e del 2018) il modello nordista, senza cavare un ragno dal buco; ma da un secolo e mezzo ha sempre rifiutato di “farsi partito” e continuerà, allora, ad aspettare un soccorso esterno che da trent’anni a questa parte non si è mai manifestato.
Fonte foto: Siracusa – GdS (da Google)