Si parla tanto del problema della corretta gestione della tecnica in rapporto ad una democrazia che sembra attraversare una deriva senza precedenti, incomparabile ormai con quel sistema assai vitale e propulsivo che aveva preso le mosse a partire almeno dal secondo dopoguerra.
Bisogna ripensare – si afferma – i meccanismi del sistema rappresentativo. Si dice, altresì, che occorra una severa quanto rapida regolamentazione del web: fake news, truffe online, informazione migliore, rispetto dei dati personali ed esclusione della vita individuale dal contesto del marketing globale.
Non c’è dubbio che queste esigenze siano vere quanto impellenti. Si parla molto meno di altre esigenze, però, a mio parere ancora più importanti e improcrastinabili. Si tratta, anzi, del problema che sta a monte di tutto ciò. E’ una questione di formazione della soggettività e della psico-sfera sociale. E’ una realtà che riguarda, anzitutto e perlopiù, l’antropologia e l’ontologia dell’uomo in questa precisa fase storica. E dunque, io credo che occorra anzitutto affrontare il problema della incapacità critica degli individui a gestire l’impatto della tecnologia e dei media, cartacei o elettronici, sulla nostra vita. Essere riempiti di dati e di emozioni. Apparire del tutto incapaci di legare gli innumerevoli “frame” che si vanno incessantemente accumulando nella nostra mente. Frammentare la nostra esistenza, privi della volontà e delle capacità per farne una narrazione identitaria. Buttare nell’abisso dell’insignificanza il proprio passato sotto la pressione di un presente dispotico, proprio mentre ci mostriamo del tutto incapaci di immaginare il futuro. Essere esposti come canne al vento al primo dato emozionale che dovesse co-involgere la nostra mente. Apparire costantemente connessi, pur essendo, tutti noi ormai, chi in una maniera chi in un’altra, inequivocabilmente sconnessi da noi stessi.
Per farla breve, l’incessante movimento della macchina che abbiamo costruito negli ultimi secoli, giunta ormai ad un livello di perfezione davvero preoccupante, al cui movimento nessun individuo (indipendentemente dal suo potere) ormai può opporsi, piuttosto che una modalità finalmente libera di colmare il vuoto e l’angoscia da cui ciascun essere umano è inesorabilmente quanto strutturalmente posseduto proprio in quanto essere umano, appare piuttosto come una maniera di scappare davanti a quella stessa angoscia – immemore ormai delle sue radici.
Al di là delle chiacchiere insulse di tanti giornalisti o di quelle (certamente più nobili) di tanti politologi, sembra a me che siano davvero questi i problemi davvero grossi ed urgenti della democrazia contemporanea.