Ci sono pezzi di storia che non si possono e potranno dimenticare, perché è indispensabile riportarli alla mente, anche se a volte la memoria è più aggressiva e crudele della realtà, e fissarli come bandiere sulla nostra strada.
Non dovrebbe essere solo un esercizio topografico indicando “i luoghi della memoria” composta di una vera carta geografica parlante e urlante composta di scuole, ospedali, strade, stazioni con più nessun treno che ritarda, fabbriche, televisioni, ambasciate, ponti, carceri e “umanitariamente”… uomini; tutti tiro al bersaglio per settantotto giorni nella primavera del 1999 dalle “bombe intelligenti”..,sganciate con 36.000 missioni aeree, senza risparmio, dai bombardieri dei paesi dalla NATO su tutto il territorio della “Repubblica Federale di Jugoslavia”, per farne sfacelo e deserto e sulla loro terra non più pane e lavoro e giochi e risate, ma solo vuoto e silenzio e nessuna impronta di vita ma solo scarpe nel sangue e solo odore di morte (oltre 1500 vittime civili, tra cui 500 bambini). “Madre Terra” subì orrende ferite con radiazioni che dureranno milioni di anni causate da 15 tonnellate di uranio, contenenti particelle di plutonio, con aumento di malattie leucemiche e tumorali.
Su quelle colline, dove un giorno hanno combattuto partigiani comunisti per fermare e alla fine sconfiggere i piani nazifascisti sui Balcani, i “nuovi barbari” si impegnarono a nasconderci il vero e darci il falso, scagliandoci addosso bombe ideologiche e informative creando un altra “strategia della tensione”, e costruire la scena, con un copione già visto, sul loro palcoscenico imperiale in Kosovo con balletti di cifre sui profughi, falsi massacri (nelle località di Orahovac con 430 bambini albanesi del Kosovo e Racak nel gennaio 1999 dove ai cadaveri ammucchiati, tutti appartenenti all’organizzazione terrorista UCK vennero cambiati gli abiti per farli passare come innocenti civili ) e per non far mancare all”opinione pubblica fosse comuni, poi risultate naturalmente inesistenti.
“Il nuovo ordine mondiale” sovrastó il cielo con nere nuvole “atlantiche”, perché la “Repubblica Federale Jugoslavia” era rimasto l’unico paese dell’area balcanica indipendente e con residui di “socialismo reale” e con una propria reale sovranità (“Il Presidente” Slobodan Milosevic non applicò “le ricette” del “libero mercato” dettate dal “Fondo Monetario Internazionale”), disponendo di una importante base industriale e di un grosso esercito: per questo il paese doveva essere distrutto e nuovamente ricolonizzato.
Massimo D’Alema, primo Presidente del Consiglio postcomunista d’Italia con Sergio Mattarella, attuale Presidente della Repubblica, “Ministro della difesa”, portò l’Italia repubblicana al suo primo e vero battesimo di fuoco e farlo diventare la più grande portaerei della Nato, vedi solo il dato che il 60% delle bombe sganciate sulla “Repubblica Federale di Jugoslavia” provenivano dalla base yankee di “Camp Darby”, situata in provincia di Pisa.
“Il Circolo Itinerante Proletariato Georges Politzer” condivendo socraticamente che “una vita senza ricerca non è degna per l’uomo di essere vissuta” si avvalerá per comporre ogni frammento, ogni tassello per completare il mosaico di questa aggressione imperialista della voce che diventerà testimonianza nel circolare dentro di noi di Andrea Martocchia, segretario di “Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia” e di delegati sindacali del sindacato di base “Slai Cobas” che racconteranno della solidarietà internazionalista proletaria fatta con i lavoratori della fabbrica automobilistica Zastava, anch’essa non risparmiata dai bombardamenti Nato.
Parole e immagini in movimento (stralci del documentario “Il caso Milosevic”) suggeriranno nella sera milanese del 10 aprile 2019 quello che la Nato ha lasciato: rabbia, sangue e tombe.
La somma delle nostre esperienze dovrà aiutarci a formare una cultura antimperialista, da mettere poi in primo piano sulla scena e sul “moto perpetuo” della Storia.
Stefano Contena Valsecchi
“Circolo Itinerante Proletario Georges Politzer”