Il 4 marzo ho votato M5S e non ho avuto eccessivi mal di pancia, quando il 1° giugno 2018 si è formato il governo Conte con l’accordo con la Lega. Credo altresì che le previsioni di Fabrizio Marchi in conclusione del suo articolo “Gli interessi convergenti di Lega, FI e PD”, su l’Interferenza, circa una probabile crisi di governo dopo le elezioni europee abbiano un buon grado di probabilità e soprattutto sia vero che alcune questioni di principio del M5S (autonomia differenziata, TAV, Venezuela) possano essere il vero oggetto di contesa.
Nel settembre 2009 nasce il M5S, nel 2013 entra in parlamento, nel 2018 è al governo con una percentuale assai simile a quella massima del PCI. E’ una guerra lampo, che ha visto una profonda sintonia tra principi molto radicali – ricordo che la teoria della decrescita alla base della politica economica del M5S è assai contro-intuitiva, detestata a destra come a sinistra; peccato sia vera – e sentire popolare. D’altra parte la Lega è il partito più vecchio della seconda repubblica, vivente già nella prima dal 1989 e, quindi, il più radicato, capace di percepire l’umore profondo, certo anche gretto, della popolazione che ora reclama sovranità nazionale. Nel convergere e nella gestione di pulsioni popolari è la base sociale dell’accordo giallo-verde. Si può essere d’accordo nel definire questa convergenza come “populismo”, non come ingiuria e invece per cercare di capire cosa ci sia sotto. Nel 1978 inizia il neoliberismo, che significa globalizzazione del movimento dei capitali e affievolimento degli strumenti di politica economica nazionale; l’esplosione della bolla finanziaria del 2008 è il termine del periodo drogato di un’economia in sovrapproduzione. Tuttavia in quel periodo si è affermata sempre più la subordinazione della politica all’economia. Non è dunque solo crisi di democrazia, di sistema di governo, ma di rottura del contratto sociale, la crisi dello Stato (come istituzione assoluta e territoriale). Il popolo non solo non si è più sentito “ascoltato” (democrazia) ma ora è “oppresso” da istituzioni invisibili e tiranniche più di quelle antiche e nazionali, e ha aperto una forma aperta di ribellione. Inoltre le date indicano episodi della lunga fase di transizione nella quale ci troviamo e dove, secondo la gramsciana formula, “nascono i mostri”. Non intendo però il fascismo, come pigramente pensa soprattutto la sinistra correct, ma il fenomeno di corruzione delle forme partitiche: la Lega è diventata nazionalista, il PD è la vera destra e FI è un residuo lentamente digeribile dal PD stesso. Insomma effettivamente che ci sia quella “convergenza anti M5S” di cui parla Fabrizio. Ciò comporta intanto la scomparsa di fatto, sottolineo di fatto, di destra/sinistra, nel senso della scomparsa dei riferimenti elettorali e dei raggruppamenti parlamentari come anche del tradizionale sentire popolare (Don Camillo vs Peppone). Il dibattito valoriale è altra cosa ma rischia, adesso, di apparire ozioso, accademico. Poi ci sono due aspetti importanti nella crescita spropositata, negli ultimi 6 mesi, della Lega: 1) succhia molti consensi al m5s attraverso una forte presenza simbolica, ciò è stato ampliamente rilevato; 2) sta però disintegrando la base popolare della destra liberista berlusconiana; tale operazione di “pulizia” pur evidente è meno analizzata. Infatti per far ciò la Lega ha bisogno della sponda “sociale” del M5S. E’ un matrimonio di interessi e un vincolo obbligato, a mio avviso ha una certa virtuosità per l’incremento di temi sociali del governo. La Lega ha dovuto digerire il reddito di cittadinanza, che nel merito può essere discutibile ma è senz’altro l’operazione economico-sociale più importante del governo Conte ed erode sempre più il forno di destra che può utilizzare la Lega contro il M5S. Le ricordate crisi di forme politiche nazionali con sullo sfondo la galoppante dissoluzione europea – da ultimo l’accordo Franco-tedesco – spingono le uniche forze politiche “reali”, cioè organicamente legate agli interessi sociali che rappresentano, a convergere sulla distruzione di involucri ideologici. Soprattutto per questa inevitabile pars-denstruens ho valutato positivamente la formazione del governo. Il gruppo dirigente della Lega non brilla per eticità e tuttavia non è tanto sprovveduto in pragmatismo da rompere a cuor leggero, ritrovandosi in una unità nazionale “tecnica” (prima o dopo eventuali elezioni) con Berlusconi e “Saponetta” Zingaretti e ritirare aspettative sociali alte, come ad es. quota 100. I tempi più lunghi invece lavorano a mio avviso per il M5S, anche se certo un passaggio obbligato e a breve – qui condivido la previsione di Fabrizio – è No-TAV che è la fondamentale semplificazione “simbolica” della sua strategia della politica economica anti grandi opere. Anche qui però la soluzione “tela di Penelope” dei “bandi senza gara” del 9 marzo, paiono riproporre la misteriosa formula di Aldo Moro di “convergenze”che sfidano la geometria euclidea e tuttavia la politica deve spesso modulare più la paura (che curva le linee) che la forza di programmi “paralleli”.
Fonte foto: Secolo d’Italia (da Google)