Ulteriori considerazioni sul caso Battisti e sugli anni ’70

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Fonte foto: Uliano Lucas (da Google)

 

La vicenda dell’estradizione di Battisti a distanza di 40 anni dai fatti per i quali è stato accusato e condannato, ha inevitabilmente aperto una discussione non solo sulla sua vicenda personale ma sugli anni ’70 nel loro complesso (di cui la sua stessa vicenda è parte integrante).

Per ciò che riguarda l’analisi degli anni ‘70 ho già chiarito, sia pure molto sommariamente, la mia posizione in questo articolo e non ci torno sopra: https://www.linterferenza.info/editoriali/caso-battisti-estradizione-politica/

Voglio aggiungere però alcune ulteriori considerazioni che sono emerse dal dibattito di questi giorni e sulle quali voglio pronunciarmi, onde evitare equivoci. Qualcuno, forse molti, sia a destra che a sinistra, si scandalizzerà, ma non posso farci nulla.

Gli anni ’70, che ho vissuto da militante politico in prima persona, hanno visto al loro interno molte contraddizioni. I movimenti che sono sorti in quegli anni erano tutt’altro che omogenei. Lo stesso dicasi per la prassi, cioè per le pratiche politiche attraverso le quali quegli stessi movimenti e organizzazioni si esprimevano. Si andava dai gruppi della vecchia sinistra extraparlamentare ormai in via di rottamazione agli “indiani metropolitani”, dai circoli del proletariato giovanile all’Autonomia Operaia organizzata, dal pulviscolo di gruppi e gruppetti che si collocavano a metà strada fra l’illegalità e l’insurrezionalismo fino alle organizzazioni combattenti vere e proprie, cioè i NAP, Prima Linea e soprattutto le Brigate Rosse.  Anche l’Autonomia Operaia non era affatto omogenea; c’erano forti differenze, anche strategiche, al suo interno. Sarebbe troppo lungo addentrarsi ora nell’analisi di questa realtà variegata e complessa e non è l’oggetto di questo articolo.

Il punto che voglio affrontare ora è un altro e riguarda, appunto la prassi, ciò che può e deve essere difeso e rivendicato (il che non significa che fosse politicamente giusto), e ciò che a mio parere non può esserlo. Questo non significa però che quello che non può essere politicamente difeso non facesse comunque parte di quel grande movimento che, come appunto dicevo, si manifestò in forme estremamente diverse, che vanno dall’autoriduzione delle bollette e del cinema fino al sequestro di Aldo Moro e di un generale della NATO da parte delle BR. Sbaglia chi vuole separare quegli eventi e quelle diverse esperienze perché fanno tutti e tutte parte, nel bene e nel male, di quella stessa grande e al tempo stesso tragica stagione.

Vado al nocciolo.

Quel movimento così contraddittorio ha prodotto prassi e comportamenti assai diversi, che a volte erano altamente politici, altre volte molto meno, fino a non esserlo affatto.

Ad esempio, il sequestro di un generale USA della NATO (mi riferisco al sequestro di James Lee Dozier da parte delle BR) che non è un circolo bocciofilo ma una organizzazione militare finalizzata alla guerra (imperialista), è un atto politico e militare nello stesso tempo. Può essere condiviso o meno, e io non l’ho mai condiviso, così come non ho mai condiviso la scelta della lotta armata che già allora (ero un ragazzo…) mi sembrava un vicolo cieco, una strada assolutamente fallimentare e sbagliata per tante ragioni che non sto ad affrontare ora. Ma non c’è dubbio che fosse un atto politico. Un alto ufficiale della NATO è un soldato (un professionista? un mercenario?), comunque sia è un funzionario di un apparato militare preposto alla guerra. Sapeva quello che faceva quando ha compiuto quella scelta e quello che in linea teorica poteva accadergli. Poteva essere spedito a reprimere un qualsiasi movimento di liberazione in giro per il mondo oppure a combattere in una vera e propria guerra, come in Vietnam, in Iraq o in Afghanistan. E invece gli è capitato di essere sequestrato da una organizzazione comunista combattente (a suo modo, una guerriglia), in Italia, cioè in un paese a sovranità limitata sotto stretta egida USA-NATO.

Ci sta. Non è una questione personale ma politica. Lui si è assunto le sue responsabilità così come se le è assunte chi lo ha sequestrato. La sua è stata una scelta politica (e se non ne era cosciente quando si è arruolato vuol dire che era un idiota…) così come lo è stata quella dei suoi sequestratori. Ergo, siamo in presenza di un atto politico (e militare). Può piacere o non piacere, può far gridare o meno allo scandalo ma di questo si tratta. Nulla più e nulla meno. Che poi venga interpretato, derubricato e ridotto dai media a un mero fatto criminale, è del tutto scontato e non vale neanche la pensa soffermarcisi.

Viceversa, freddare con due colpi alla nuca un magistrato indifeso che esce la mattina dalla sua abitazione per recarsi al lavoro, oppure un commerciante o un professore universitario al termine di una lezione, non è un atto politico. O meglio, può anche esserlo, sotto un certo profilo, ma non è difendibile politicamente né giustificabile (eticamente). Si tratta di fatti completamente diversi.

Sarebbe un errore, a mio parere, accomunare tutto e tutti, come se non ci fosse nessuna differenza fra un comportamento ed un altro, fra una prassi ed un’altra. E questo non certo per stilare una sorta di elenco dei buoni e dei cattivi. Ho già scritto che tutti quegli eventi di cui sopra fanno comunque parte di quell’esperienza storica e politica, e su questo non ci piove, nel bene e anche nel male. Ma proprio al fine di recuperare quella grande esperienza storica e politica e (cercare di) impedire che venga ridotta a mero fatto criminale da affrontare solo sul piano giudiziario, sarebbe sbagliato infilare tutto nello stesso calderone. Dire che quel movimento sia collettivamente responsabile di tutto ciò che è accaduto in quegli anni, in tal modo sollevando i singoli (o anche le singole sigle e organizzazioni) dalle loro soggettive responsabilità, è in parte giusto ma in parte sbagliato, negli stessi termini in cui lo spiegavo prima. Agire in tal modo significa – per come la vedo io – offrire il fianco a chi vuole criminalizzare in toto quei movimenti e quell’esperienza storica. Viceversa, una rivisitazione lucida non può fare a meno, specie a distanza di quarant’anni, di individuare gli aspetti positivi ma anche le degenerazioni che si sono prodotte. Il che non significa gettare la croce addosso a nessuno, ma solo prendere atto delle cose nella loro complessità.

Nel caso specifico, il processo che ha portato alla condanna di Battisti è zeppo di incongruenze, dichiarazioni contraddittorie di questo o quel “pentito”, confessioni in alcuni casi estorte con la tortura, dichiarazioni di pentiti che successivamente sono stati giudicati incapaci di intendere e di volere. Insomma, la questione è ancora molto oscura ma di certo il sottoscritto non ha gli elementi per poter fare una valutazione oggettiva, né è un compito che gli spetta.  Se emergeranno nuovi e ulteriori elementi in grado di confermare l’innocenza di Battisti, oppure se i suoi legali riusciranno a dimostrare le incongruenze di cui sopra e a riaprire il caso, allora è giusto che a quel punto si ponga la questione della sua liberazione, non solo per ragioni di ordine legale e giudiziario ma anche e soprattutto politico. Ma, come ripeto, non è nelle mie possibilità stabilire tutto ciò.

Quello che a me (e a tanti altri, in primis chi ha vissuto quegli anni) spetta – direi anzi che è doveroso – è aprire una riflessione politica su quella specifica vicenda e più in generale su quegli anni. E questa mi porta a dire che le azioni dei PAC (Proletari Armati per il Comunismo), il gruppo di cui faceva parte Battisti, non possono essere difese o rivendicate politicamente, per le ragioni che ho cercato prima di spiegare. Ma quella di Battisti non è la sola e neanche la più grave. In conclusione, penso che una seria riflessione su quei fatti possa essere importante al fine di recuperare e consegnare alle future generazioni la memoria di una stagione che è stata una delle più alte della storia di questo paese. Se non saremo in grado di fare questo – pur con tutte le difficoltà che tale operazione comporta – la narrazione dominante finirà con il prevalere e, forse, ha già prevalso.  Non è un mea culpa che sto chiedendo, sia chiaro, né tanto meno un ipocrita atto di contrizione (ci mancherebbe pure questo…), ma una lucida analisi delle cose.

Il dibattito è, naturalmente, aperto.

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Fonte foto: Il Mattino di Padova (da Google)

 

 

 

 

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