Contro ogni discriminazione, a prescindere

Milioni di donne indiane (e con loro, anche moltissimi uomini) stanno scendendo in piazza in India, nella regione del Kerala, per protestare contro la legge che proibisce alle donne stesse fra i 10 e i 50 anni di entrare nei templi (induisti), nonostante tale divieto fosse stato abolito mesi fa dalla Corte Suprema ma mai messo in atto:  http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/asia/2019/01/02/india-due-donne-entrano-in-tempio-indu_8bd7d296-b585-47e3-8909-329caad5709d.html

Si tratta, naturalmente, di una intollerabile e a dir poco anacronistica discriminazione, che affonda le sue radici in un contesto sociale e culturale come quello dell’India (comunque estremamente vasto, articolato e complesso) che, pur essendo un paese capitalista (e in larghissima parte legato alle economie USA e GB, e quindi nella loro orbita politica e geopolitica), è ancora in larga parte fondato su logiche di casta e antichi retaggi e dogmi di ordine religioso.

Come ogni discriminazione, al di là di ogni doverosa analisi dei contesti socio-culturali e di qualsiasi altra considerazione (pur fondata), va combattuta a prescindere, senza se e senza ma, come si suol dire.

Non è un caso però che questa battaglia avvenga oggi, nel 2018, in un mondo interamente dominato dal capitalismo e in un paese che, come dicevo, si situa per varie ragioni (prevalentemente economiche ma anche storiche) nella sfera di influenza del mondo occidentale, nonostante la sua vicinanza alla Cina (dove comunque non esiste nessuna discriminazione fondata sul sesso fin dai tempi della rivoluzione comunista).  Il processo di globalizzazione capitalista, che avviene sotto le “bandiere” ideologiche del mondo occidentale, porta spesso con sé, come è inevitabile, anche il cambiamento dei costumi. Naturalmente non è affatto detto che tale processo debba sempre essere considerato in termini favorevoli perché molto spesso se non il più delle volte si accompagna alla distruzione e alla cancellazione delle culture, degli usi e delle tradizioni di un paese; in altre parole ciò che chiamiamo identità di un popolo. Del resto, non è certo una novità né una recente invenzione.  Il colonialismo e l’imperialismo hanno sempre cercato di fiaccare la resistenza dei popoli sottoposti a dominazione coloniale, oltre che con le cannoniere e oggi con i bombardieri, anche e soprattutto cercando di minare e quindi distruggere o comunque indebolire le loro radici culturali.

E naturalmente (e giustamente) tutti i popoli che si sono ribellati alla dominazione coloniale lo hanno fatto difendendo e rivendicando le proprie radici culturali e nazionali.

Ovviamente, dal momento che la realtà è complessa e va analizzata nella sua complessità, si tratta lucidamente di capire ciò che può e deve essere salvato e difeso e ciò che deve essere cestinato della cultura e delle tradizioni di un popolo. In questo caso, la legge o il precetto che proibisce alle donne indiane di partecipare a pieno titolo alla vita religiosa (o anche non religiosa), specie quando esse stesse reclamano in massa e a gran voce tale diritto, va messo in soffitta, anche in questo caso, senza se e senza ma.

E’ bene sottolineare a questo punto alcuni aspetti, onde evitare equivoci e fraintendimenti di qualsiasi genere e in qualsiasi direzione.

Quanto sta avvenendo in India, nella regione del Kerala, non è un processo rivoluzionario o una rivolta di classe. Siamo di fronte ad un movimento progressivo ed emancipativo che riguarda tutte le donne, povere e ricche, a prescindere dalla loro condizione sociale. Nondimeno va sostenuto, appunto perché rappresenta un passaggio progressivo ed emancipativo nei termini del godimento di elementari diritti civili. Ma non è affatto detto che ciò determini condizioni migliori dal punto di vista della possibilità dello sviluppo di una reale conflittualità sociale in grado di mettere in discussione la struttura sociale, economica e politica di quel paese. E’ anzi assai più probabile che tale movimento – comunque da sostenere in questa fase perché, come ho già detto, qualsiasi discriminazione è intollerabile a prescindere – porti nel medio periodo ad un rafforzamento del processo di globalizzazione capitalista in quella parte di mondo. Un processo che – come ho già detto anche in questo caso – prevede una trasformazione se non in molti casi uno stravolgimento delle culture dei popoli e delle nazioni e la unificazione del mondo sotto le bandiere del capitalismo a trazione ideologica e culturale occidentale.

Il fatto che in questo caso la rivendicazione sia sacrosanta, non cancella però la natura del processo in corso. Il vento che soffia alle spalle delle donne indiane non è un vento socialista nè tanto meno comunista o rivoluzionario, ma è quello neoliberale e neoliberista occidentale (con tutto il suo bagaglio ideologico politicamente corretto) che, in questo caso – la realtà è complessa, lo abbiamo già detto, e va analizzata nella sua complessità – sta portando ad un passaggio emancipativo in quel contesto specifico.

Come vediamo, la stessa ideologia neoliberale e neoliberista, ormai declinata secondo i dettami del  “politicamente corretto” che nella nostra parte di mondo rappresenta un fattore regressivo, perchè finalizzato al mantenimento dell’ordine sociale (che crea nuove discriminazioni e nuove forme di oppressione, molto spesso ai danni della gran parte della popolazione maschile), in un altro contesto culturale e sociale, può invece rappresentare, in una determinata fase, un elemento progressivo, al di là del suo esito finale che molto probabilmente se non certamente porterà ad un rafforzamento dell’egemonia ideologica e culturale (oltre che economica, commerciale e politica) del capitalismo occidentale in quel paese. E quindi a rappresentare un fattore regressivo, finalizzato al mantenimento di un relativamente e parzialmente nuovo ordine sociale fondato su una diversa sovrastruttura ideologica. Esattamente quello che è avvenuto in Occidente dove l’antico sistema ideologico e “valoriale” vetero borghese è stato sostituito da quello neocapitalista, neoliberale e neoliberista politicamente corretto attualmente dominante, considerato non a torto molto più funzionale ai fini della perpetrazione del dominio capitalistico. Un modello che il sistema capitalista occidentale sta da tempo esportando in tutto il pianeta.

In parole molto povere, ciò che può rappresentare un elemento di conservazione in un determinato contesto (se non addirittura sciovinista e reazionario, sia pur abilmente camuffato sotto spoglie progressiste…) può invece rappresentare un elemento di effettivo progresso in un altro. Come abbiamo già osservato, ad esempio, il nazionalismo ha avuto sicuramente un carattere reazionario ed imperialista in taluni contesti (pensiamo al grande macello imperialista della prima guerra mondiale) ma in altri ha invece rappresentato un elemento progressivo e di emancipazione nazionale (pensiamo ai movimenti di liberazione anticolonialisti).

Lo stesso concetto vale anche per tanti altri aspetti. Nel caso specifico il femminismo (anche se parlare di femminismo nel contesto indiano è del tutto improprio e forse non ha nessun senso ma ci capiamo…) che in Occidente, a mio parere, è uno dei pilastri dell’ideologia capitalista e, in quanto tale, rappresenta un elemento di conservazione dell’ordine sociale dominante, in altri (ribadendo che quel movimento di donne indiane ben poco ha a che vedere con il femminismo occidentale…) può rappresentare un elemento progressivo e di emancipazione, sia pure all’interno del processo sopra descritto (la globalizzazione capitalista sotto l’egida occidentale)

Sono le contraddizioni della realtà nella sua complessità. Quello che è fondamentale è osservarla e interpretarla lucidamente e non in modo dogmatico – come purtroppo il più delle volte avviene – appunto, nella sua complessità. Solo in questo modo – aggiungo – oltre a comprendere la realtà per quella che è e non per quella che vorremo che fosse in base ai nostri desiderata e a priori ideologici, è possibile capire chi sono gli amici e chi i nemici.

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Fonte foto: nextQuotidiano (da Google)

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