Scusate se inizio l’anno nuovo con una riflessione non proprio entusiasmante, ma tant’è. Del resto, quante volte ho/abbiamo detto che il Capodanno è una serata come tutte le altre? E allora che tale sia.
Proprio ieri sera a cena, ultimo dell’anno, una mia vecchia amica, citando il mio libro “Contromano”, ha sollevato due questioni che tratto ampiamente nel libro stesso, il “femminicidio” e l’immigrazione, cioè quelli che – come alcuni di voi sanno – considero fondamentalmente due grandi depistaggi ideologici e mediatici (non entro nel merito perché l’ho fatto in tanti articoli che chiunque può leggere e, appunto, nel libro). Al che si è sviluppata, mio malgrado (detesto parlare di argomenti seri e soprattutto politici in momenti conviviali) una discussione nella quale – sbagliando – mi sono lasciato coinvolgere.
Queste discussioni mi lasciano un profondo senso di impotenza perchè mi rendo conto che contro la potenza dell’ideologia la logica e la dialettica (e anche i fatti) non possono nulla. Anche perché i nostri occhi vedono incredibilmente realtà diverse e infatti, in più di un’occasione, con i miei occasionali interlocutori, ce lo siamo vicendevolmente detto, tanto era ed è differente il nostro modo di leggerle.
Solo per dirne una, per uno dei commensali (peraltro, una persona anche simpatica, al di là di queste sue posizioni…), un parente della mia amica, gli immigrati sono, in larga maggioranza, dei privilegiati coccolati dallo stato e dalla società “che gli dà soldi, gli regala i cellulari, gli dà i buoni pasto e la possibilità di scavalcare gli italiani nelle file al supermercato, nelle assegnazioni delle case popolari ecc.”.
La mia osservazione diretta e personale della realtà dice ben altro, e mi racconta di gente che dalla mattina alla sera va su e giù per le spiagge a vendere chincaglierie varie, a pulire i vetri delle automobili ai semafori, che lavora sfruttata nei campi a raccogliere ortaggi o come lavapiatti nei ristoranti, oppure ancora come badanti, nell’edilizia e in tanti altri lavori pesanti e il più delle volte (molto) mal retribuiti. E certamente anche di delinquenza, che riguarda gli immigrati come gli italiani. E’ infatti del tutto evidente che povertà e disagio sociale, sono il brodo di coltura dei comportamenti criminali.
Naturalmente, anche quella degli immigrati non è una categoria in quanto tale. Infatti, ci sono anche immigrati che sfruttano altri immigrati. Penso, ad esempio, a quei padroni e padroncini cinesi che sfruttano a sangue tanti loro connazionali “impiegati” (in nero, ovviamente…) nelle loro fabbriche. E’ solo un esempio fra quelli che potevo portare, non ho nulla in particolare contro i cinesi, ovviamente, e del resto questa “politica” è praticata anche da tanti “padroncini” italiani molto spesso collusi – così come alcuni extracomunitari – con la criminalità organizzata, autoctona o straniera.
La contraddizione, come al solito – anche se questo sistema fa di tutto per negarla o rimuoverla e purtroppo ci riesce, è quella di classe, che è del tutto indifferente al sesso o all’etnia, all’essere maschi o femmine, oppure asiatici, africani, europei o americani. Nessun “buonismo” politicamente corretto, dunque, nella mia posizione, nessun solidarismo etico e/o umanitario (che pure ha la sua dignità e ragion d’essere quando non è utilizzato per fini politici strumentali…) a prescindere.
La mia solidarietà nei confronti degli immigrati sfruttati (la maggior parte) è direttamente proporzionale alla ostilità che nutro nei confronti di chi li sfrutta, siano essi autoctoni o stranieri (spesso loro connazionali). La solidarietà che nutro nei confronti di quegli immigrati, è una solidarietà squisitamente di classe, la stessa che nutro nei confronti dei tanti lavoratori, precari o disoccupati italiani (o di qualsiasi altra nazione del mondo).
Mi rendo però conto che spiegare questa posizione (che fino ad una quarantina di anni fa era compresa e fatta propria da tanti) è oggi estremamente difficile perché deve aprire uno squarcio in un immaginario che è stato mediaticamente costruito e che ha occupato la mente della gran parte delle persone, fino a farlo diventare realtà.
Lo stesso discorso – tale e quale – vale per l’altra questione emersa durante la discussione, e cioè il “femminicidio”. Come ho già avuto modo di spiegare più volte, queste due questioni, immigrazione e “femminicidio” (che naturalmente è solo la punta di diamante di una costruzione ideologica ben più ampia che racconta di una gigantesca e infinita oppressione di cui ancora il genere femminile nella sua pressochè totalità sarebbe tuttora vittima) sono le due grandi narrazioni ideologiche alimentate dai due versanti politici, di destra e di “sinistra”, dello stesso sistema capitalista dominante che si serve ora dell’una e ora dell’altra e talvolta nello stesso tempo, in base alle necessità.
Per farla breve, la discussione è durata circa mezz’ora o tre quarti d’ora finchè, fortunatamente, la mezzanotte, pietosa, è scoccata ponendogli fine e imponendo il rituale brindisi.
La morale di tutto ciò? L’ideologia (che fa leva sulla psicologia) è infinitamente più potente della logica e della dialettica. Queste ultime due sono impotenti nei confronti della prima. Anche la possibilità di riaprire una dialettica di classe e di trasformazione in senso socialista della realtà non potrà darsi, se non si avrà la capacità di costruire un immaginario (ideologico e psicologico) molto potente. Può sembrare una contraddizione ma così non è. Purtroppo.
Fonte foto: Radio Lombardia (da Google)