Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Caro direttore Fabrizio Marchi,
oggi ho finito di leggere il tuo libro, “Contromano”.
Una lettura non sempre facile ma sicuramente per certi versi avvincente. E sai perchè? Perchè quasi in ogni capitolo trovavo dei passaggi che mi facevano sorgere domande e il desiderio di controbattere. E poi ancora domande, riflessioni e in alcuni casi anche la voglia di cazzottarti, anche se in misura decisamente minore rispetto a quando ho letto il tuo primo libro, “Le donne. Una rivoluzione mai nata”. Io mi ci sono impegnata parecchio, sai. Ce l’ho messa tutta per trovare una falla nel tuo ragionamento, soprattutto per ciò che concerne la critica all’ideologia femminista perchè, dio mio, mica puoi avere ragione su tutto.
Ma non ci sono riuscita. E sono giunta alla conclusione che sei inattaccabile. Che quel ragionamento non fa una piega.
E questo mi induce a ridefinirmi dal punto di vista semantico nel caso esistesse un altro termine che spiega ciò che sono, o ad accettare quella definizione, cioè femminista, che inevitabilmente si porta dietro anche il peccato originale di essere una ideologia che è uno dei mattoni del sistema capitalista, come tu spieghi.
Termine che in realtà uso raramente ma al quale io attribuisco un determinato significato per me importante.
Per me essere femminista significa essenzialmente non adeguarsi ad un modello femminile predefinito. Un modello che generalmente contempla tre ruoli: moglie, madre, puttana. Ecco, io sento il peso della società che non accetta che una donna possa scegliere di essere se stessa e basta. E che essere se stessa sia il frutto di una scelta consapevole e non un ripiego. E questo comporta la demitizzazione e desacralizzazione della donna, cosa che a parole son tutti bravi (uomini e donne) ad accettare ma che nella realtà lo sono un po’ meno.
Essere femminista per me significa anche essere grata a tutte quelle donne che negli anni 70 sono scese in piazza, derise, sbeffeggiate e offese, per rivendicare il diritto ad una legge sull’aborto.
Se tutto ciò è parte integrante e fondante dell’ideologia femminista, pazienza. Io non ce la faccio a prescindere da tutto ciò. E non posso e non voglio fare distinguo, come tu hai sottolineato più volte, tra il femminismo buono e quello cattivo.
Se una si definisce femminista, deve rivendicare tutto. Anche la parte che non le piace.
Così come se una si definisce comunista ( e io mi definisco tale) deve rivendicare tutto ciò che il movimento operaio ha espresso. Compresi i massacri di Pol Pot.
Spero di poter avere l’occasione di approfondire la questione.
Saluti.
Fonte foto: NarrAzioni Differenti – Altervista (da Google)