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Abbiamo pubblicato un paio di giorni fa questa interessante, lucida e in larghissima parte condivisibile analisi del nostro amico e collaboratore (nonché dirigente di Risorgimento Socialista), Norberto Fragiacomo https://www.linterferenza.info/contributi/razzismo-oggi-ologramma-minaccia-reale/ sul tema del razzismo, della sua genesi storica e di come questo si sia sviluppato e incistato in diversi contesti storici e sociali fino al giorno d’oggi nelle società (capitaliste) occidentali contemporanee.
Ma il razzismo oggi – si chiede l’autore – è davvero un fenomeno di massa di cui è necessario preoccuparsi e che può addirittura mettere a rischio la tenuta democratica dei vari stati europei oppure è invece un fatto molto circoscritto e ingigantito ad arte dai media controllati dalle elite globaliste liberal-liberiste dominanti in funzione anti-populista?
E perché mai – si chiede sempre Norberto – il sistema capitalista, la cui sola ed unica finalità è la globalizzazione dei mercati (e, naturalmente, il profitto) e la riduzione degli esseri umani a consumatori passivi, sradicati, privi di identità e radici culturali, dovrebbe alimentare un fenomeno che ostacolerebbe di fatto quel processo creando barriere di ordine etnico-razziale? Vale la pena citare testualmente l’autore: ” se lo scopo è la globalizzazione dei mercati e la sostituzione del cittadino con il consumatore indifferenziato allora il razzismo diviene un ostacolo – e una sovrastruttura di cui sbarazzarsi – perché le idee (malsane) che ne stanno alla base mal si conciliano con il disegno di omogeneizzazione progressiva dell’umanità… un obiettivo che con la caduta del muro apparirà finalmente alla portata dell’èlite.
Il Capitale si rivela più antirazzista di Marx ed Engels… ma solo perché il vecchio arnese ne intralcia lo sviluppo!”
La tesi è sicuramente condivisibile, e infatti, in questa fase storica non sono certo le elite capitaliste dominanti ad alimentare, per lo meno da un punto di vista ideologico, il razzismo. Tuttavia siamo già in presenza di una contraddizione, perché l’imperialismo e il neocolonialismo attuali, da un certo punto di vista, non sono meno intrisi di razzismo rispetto a quanto lo fossero quelli precedenti. Vediamo di capire il perché.
Cambiano in parte i contenuti, ma la sostanza resta per lo più invariata. Norberto – giustamente – spiega nel suo articolo come il razzismo non sia nato di certo con il fascismo e con il nazismo (che certamente erano ideologie razziste) ma fosse già largamente presente nei sistemi liberali occidentali. E non c’è alcun dubbio che il saccheggio sistematico del pianeta avvenuto nei secoli scorsi (e tuttora in corso) ad opera delle grandi potenze liberali e occidentali abbia potuto avvenire anche e soprattutto grazie ad un retrogusto razzista che lo copriva e giustificava ideologicamente. I popoli e i paesi occupati e colonizzati erano di fatto considerati inferiori e per questo dovevano essere civilizzati e cristianizzati (cioè sottomessi non solo dal punto di vista economico ma anche culturale e ideologico).
Più o meno oggi avviene la stessa cosa con la differenza che al posto del Cristianesimo c’è l’ideologia politicamente corretta. Si continua quindi a destabilizzare stati e nazioni, a colonizzare, succhiare risorse, occupare e bombardare per portare democrazia e diritti civili (quindi, in ultima analisi, un sistema superiore) a chi non li ha. Il principio è, dunque, esattamente lo stesso. E non è un caso che l’ostilità (e anche un malcelato e spesso palese disprezzo) nei confronti dei popoli musulmani accomuni i liberal, di “sinistra” o di destra, i populisti di destra e anche i neofascisti, sia pure per ragioni (solo in parte) diverse. Come vediamo, la relazione fra il “primo mondo” e il “terzo mondo” resta sempre all’insegna, oltre che del dominio economico e militare, della sottomissione ideologica, fondata sul postulato che il secondo (cioè il cosiddetto “terzo mondo”) sia di fatto inferiore al primo.
C’è inoltre da aggiungere che la globalizzazione dei mercati – peraltro già da tempo realizzata – può avvenire senza necessariamente modificare completamente gli usi e i costumi degli altri paesi. Il continente asiatico è emblematico sotto questo aspetto. L’Asia è forse oggi il continente che più degli altri simboleggia la capacità del capitalismo di incistarsi in qualsiasi contesto. In altre parole, la peculiarità del sistema capitalista (e quindi del consumismo che, da un certo punto di vista, costituisce la sua più vera e autentica “ideologia”) è quella di essere in grado di vendere telefonini, i-phone, t-shirt, fish&chips o qualsiasi altro genere di merce e chincaglieria in ogni angolo del pianeta, indipendentemente dal contesto culturale. Il capitalismo/consumismo ha un potere seduttivo – dobbiamo purtroppo riconoscerlo – che attraversa culture e coscienze.
Se la storia ci ha dimostrato qualcosa è che il capitalismo è un sistema estremamente flessibile, in grado di prendere la forma di qualsiasi contesto, modificandosi e modificandolo a sua volta. In parole ancora più povere, per fare un esempio banale, uno stesso telefonino può avere il medesimo appeal ed essere venduto in tutte le latitudini, in Francia o in Italia come nelle Filippine o in Namibia, indipendentemente dal contesto culturale (che certamente il capitalismo corrode e modifica con il tempo…) così come, ovviamente, il plusvalore può essere estorto ed estratto dal lavoro sempre a prescindere dal contesto culturale e geografico. In virtù di ciò, se è vero che oggi le elite capitaliste transnazionali non hanno un interesse specifico ad alimentare fenomeni razzistici, è altrettanto vero che potrebbero invece averlo laddove la situazione contingente lo rendesse necessario e utile. Negli ultimi trent’anni – dal crollo del muro di Berlino in poi – il sistema capitalista, per varie ragioni, ha finito per declinarsi (parliamo naturalmente di processi, non di una “spectre” che decide in un laboratorio…) secondo i parametri dell’ideologia politicamente corretta, perché è quella che ha dimostrato di essergli più funzionale in questa fase storica (a tal proposito si legga https://www.linterferenza.info/attpol/la-nuova-falsa-coscienza-delloccidente-e-del-capitale/. Ma nulla osta che in un prossimo futuro (e forse neanche lontano) possa adeguarsi – con grande flessibilità e disinvoltura – ad un possibile cambiamento di rotta e di paradigma ideologico che veda tornare in auge forze di destra reazionarie e nazionaliste. Anche perché queste, in tutte le loro declinazioni, sia ideologiche che politiche, non hanno mai messo in discussione il capitalismo di cui rappresentano solo uno dei volti, generalmente quello più brutale e sfacciato ma al contempo anche meno ipocrita rispetto alle versioni più soft.
Per questa ragione è profondamente sbagliato (ed è un errore che stanno commettendo molti militanti socialisti e comunisti) sottovalutare il fenomeno dell’insorgenza di forze neo reazionarie di destra e a volte anche esplicitamente neofasciste. Fra poche settimane, ad esempio, il neo-nazista Bolsonaro, sostenuto da tutta la borghesia brasiliana e sudamericana e dagli USA, potrebbe diventare il nuovo presidente del Brasile. Non stiamo parlando del Guatemala, ma del Brasile, cioè del più grande paese sudamericano con circa 180 milioni di abitanti. L’affermazione di questo inquietante personaggio potrebbe rappresentare una tappa fondamentale per il processo di restaurazione della “pax” americana in tutto il continente all’insegna di politiche liberiste ultra repressive, ultra reazionarie e violentemente antipopolari. La qual cosa non può non preoccuparci, anche per i suoi risvolti internazionali (parliamo del Brasile, come ripeto, non del Guatemala…). E non è affatto un caso che Salvini si sia immediatamente affrettato a celebrare la vittoria del neonazista brasiliano al primo turno. Del resto, il carro su cui è salito da tempo il leader della Lega è lo stesso di Bannon, di Bolsonaro, dell’ultradestra israeliana, americana ed europea. E’ fondamentale ribadire che questa ultradestra, nelle sue varie sfaccettature ideologiche, religiose e politiche, non è affatto una forza “antisistema” o anticapitalista (figuriamoci un po’…). Al contrario, come dicevo poc’anzi, è soltanto una variante del sistema capitalista che potrebbe entrare in gioco (e che storicamente è entrata in gioco, come spiega Pierluigi Fagan in questo articolo https://www.linterferenza.info/in-evidenza/ordem-e-progresso/ ) nei momenti di grande instabilità, incertezza e caos.
Naturalmente questo non significa che ciò avverrà ma è una ipotesi niente affatto peregrina che non possiamo escludere a priori. Sbagliano, dunque, quegli amici che sottovalutano il problema. Non c’è alcun dubbio sul fatto che oggi le elite dominanti siano ancora saldamente ancorate al paradigma liberal, ma non è scritto da nessuna parte che la situazione non possa in linea teorica (ma anche pratica…) mutare in seguito al precipitare degli eventi o al mutare delle situazioni.
Sempre l’amico Norberto ci ricorda che il fascismo è “astrattamente configurabile – ma sempre col beneplacito del Capitale, s’intende” .
Questo è vero perché i fascismi sono sempre stati storicamente sostenuti dalle classi dominanti capitaliste che oggi invece sono schierate sul versante liberal e sembrano osteggiare l’onda populista di destra (e naturalmente anche quella non ricollegabile alla destra, come ad esempio il M5S nel caso italiano). Ma, ripeto, dovrebbe esserci ormai chiaro che il capitalismo non agisce a partire da presupposti ideologici ma in base al suo tornaconto; le ideologie rappresentano appunto una serie di sovrastrutture intercambiabili in base alle circostanze storiche e al bisogno. Certamente le cose non si ripresentano nello stesso modo perché tutto è in divenire. E’ evidente che le destre e le ultradestre attuali avranno caratteristiche diverse dai fascismi del secolo scorso, e quindi tecnicamente, diciamo così, non possono essere definite fasciste. Se è per questo però neanche i razzisti bianchi degli stati del sud degli USA potevano essere definiti fascisti o nazisti per la semplice ragione che il fascismo e il nazismo non erano ancora nati. Dopo di che possiamo avventurarci in disquisizioni di ordine storico, ideologico, concettuale e linguistico, però mi pare di poter dire con un margine decisamente ampio che l’albero genealogico, diciamo così, di tutta questa rob(accia) sia tutto sommato il medesimo, a prescindere se sia nato prima l’uovo o la gallina, se mi è consentita la metafora. O no?
Il fascismo e il nazismo erano regimi capitalisti e imperialisti che si fondavano su ideologie dichiaratamente razziste anche perché – spiega giustamente Fragiacomo – quelle sovrastrutture ideologiche erano funzionali allo sviluppo capitalistico in quella determinata epoca. Vale la pena, anche in questo caso, citare il passaggio: “il razzismo storico è sovrastruttura necessaria di un sistema che pratica l’imperialismo di rapina ed è al suo interno multipolare e in continuo fermento, vista la lotta serrata fra un pugno di nazioni (bianche e industrializzate) per la supremazia economico-militare globale”.
Ora, siamo disposti a mettere una mano sul fuoco sul fatto che il sistema capitalista abbia sposato da qui all’eternità l’ideologia liberal e politicamente corretta e non possa invece optare per altre soluzioni politiche e ideologiche in virtù o a causa del mutare delle condizioni complessive che renderebbero funzionale ai suoi interessi e alla sua infinita riproduzione quel potenziale (e sempre latente in regime capitalistico…) cambiamento di paradigma ideologico? Io, personalmente, la mano sul fuoco non ce la metto. E chi scrive, come noto, è un avversario dichiarato dell’ideologia liberal e politicamente corretta, tuttora l’ideologia di riferimento del capitale.
Il fatto che la questione non sia all’ordine del giorno (ma dei segnali preoccupanti ci sono…) non significa che debba essere sottovalutata. Non solo. La sottovalutazione della suddetta questione porta molti amici e compagni a commettere degli errori di analisi a mio parere molto gravi. Oggi, ad esempio, va molto di moda fra i compagni e gli amici della cosiddetta “sinistra sovranista” la famosa citazione di Lenin sulla “analisi concreta della situazione concreta”. E’ in questo modo (a mio parere un escamotage…) che questi compagni rispondono a quelli (fra cui il sottoscritto) che li criticano perché le loro posizioni su alcuni temi e in particolare sull’ immigrazione fanno un po’ troppo eco alla destra.
Ora, questo concetto dell’“analisi concreta della situazione concreta”, insieme alla logica della “contraddizione principale” (entrambe condivisibili, sia chiaro, a patto però di aver elaborato un’analisi corretta della realtà…) porta questi compagni, sulla scorta della loro analisi, a considerare la destra un problema del tutto secondario. Non solo, li porta – come dicevo – ad inseguirla pericolosamente sul suo stesso terreno, nella speranza, così facendo, di riconquistare consensi fra i ceti popolari. Ma questo è un errore grossolano che affonda le radici in un’analisi errata, appunto, della situazione concreta e anche in un malcelato senso di debolezza e di subalternità ideologica e politica. Il fatto che il nemico principale sia il sistema capitalista liberista oggi in salsa liberal e di “sinistra” non significa infatti edulcorare la critica nei confronti della sua variante di destra e tanto meno nicchiare sui contenuti. Penso che una forza autenticamente socialista e di classe – se esistesse – dovrebbe assumere una posizione di rottura netta e senza nessuna ambiguità sia nei confronti dell’attuale “sinistra” liberal o radical che della destra, cercando di spiegare (mi rendo conto della difficoltà ma non c’è alternativa) le ragioni di questa posizione. Un’ autentica forza socialista e di classe (e alla sua possibile costruzione questo giornale lavora…) non deve avere timore di spiegare alla gente il proprio punto di vista. Non deve, ad esempio, avere timore di spiegare che l’immigrazione è solo uno degli effetti del capitalismo, del colonialismo e dell’imperialismo, e che quelli che chiamiamo comunemente migranti sono in realtà degli espulsi; espulsi dalla loro terra dal processo di espropriazione capitalistico e imperialistico. Oggi invece, specie nelle chiacchierate informali, questi compagni ti rispondono che la “priorità è la regolazione dei flussi migratori perché ormai se vuoi approcciare la gente la prima cosa che devi dire per essere ascoltato è che innanzitutto sei contrario all’immigrazione incontrollata…”. Non che il problema non sussista, sia chiaro, però io penso che la risposta debba essere data su tutt’altro terreno, che si debba spostare completamente la questione e che non si possa ragionare nei termini del “noi e loro” che poi sono gli stessi termini della destra. Ma di questa questione, assai complessa, mi occuperò in un articolo ad hoc.
In conclusione, ringraziando Norberto per gli spunti di riflessione che mi ha fornito, credo che sarebbe un errore grave sottovalutare la variante di destra e di ultradestra del sistema, appunto perché di una sua variante si tratta e non di un elemento di rottura. E anche questo è ciò che mi differenzia, fra le altre cose, dall’analisi dei compagni dell’area della “sinistra sovranista”.
Ma anche su questo tornerò in un prossimo articolo.
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