L’avevo scritto nel mio precedente articolo “dall’esilio”, ovvero durante il blocco forzato, per 30 giorni, del mio profilo-facebook: il conflitto politico e geopolitico che si sta svolgendo in questi giorni e che ha il controllo di Facebook come posta in palio, riguarda tutti gli iscritti al social network, anche quelli che non si occupano di politica, anche quelli che si limitano esclusivamente a postare foto di gatti e/o dei propri piedi sulla sdraio in vacanza.
Devo tollerare ancora dieci giorni di blocco delle funzioni sul mio profilo ma, in questo periodo, posso comunque leggere quello che pubblicano e commentano i miei contatti. Ebbene, vedo che una recente misura precauzionale dell’amministrazione di Facebook sta colpendo ogni genere di profilo e lo sta facendo, a quanto pare, senza alcun apparente criterio: in maniera totalmente casuale, cioè, Facebook sta in queste ore cancellando post di vario tipo perché, a suo dire, “potrebbero essere spam”.
Probabilmente questo specifico problema rientrerà, ma esso è comunque indicativo della tensione che sta investendo la piattaforma di Mark Zuckerberg, nonché del grado di esacerbazione d’uno scontro che è ancora ben lungi dall’essere terminato.
Brevemente, possiamo tratteggiare i tre lineamenti generali di suddetto scontro:
a) Si tratta di uno scontro sia politico che geopolitico. Le forze che si stanno combattendo sono infatti le due “internazionali” – quella liberal e quella populista – sulla dicotomia fra le quali si è modellata, negli ultimissimi anni, la dialettica politica e ideologica dei paesi occidentali. Nell’ambito di tale scontro, si pone altresì il conflitto tra i liberal – che continuano a sostenere l’unipolarismo anglo-americano – e i populisti che, pur con diversa gradazione, ammiccano a un nuovo assetto multipolare del mondo.
b) Facebook è sia terreno di scontro/posta in palio, sia protagonista diretto della contesa. La foga censoria che il social network sta manifestando in questi giorni, ha cause innanzitutto difensive, ovvero essa è dovuta all’attacco sferrato contro il social, all’inizio dell’anno, da parte del blocco liberal.
c) Dall’esito di tale scontro dipenderà il futuro dei paesi occidentali e delle loro parziali democrazie: il fatto che due miliardi di persone – e tutte le loro relazioni sociali – siano oggi innestate entro uno spazio di proprietà privata, non rispondente ad alcuna regola a tutela dell’utente e neppure obbligato alla coerenza coi propri stessi “Standard di Community”, non è qualcosa di reversibile. Almeno, non lo è nell’immediato.
Come già in precedenti articoli, ritengo utile riassumere velocemente le tappe di questo conflitto politico e gepolitico, per poi giungere agli ultimissimi aggiornamenti.
1) Il 26 gennaio scorso, durante il forum di Davos, George Soros annunciò che Facebook “aveva le ore contate”. Lo speculatore finanziario ungherese spiegò, infatti, che Facebook stava fungendo da incanalatore e propagatore delle istanze populiste – quelle che avevano portato alla vittoria della Brexit nell’UK e di Trump negli USA – nonché della contro-propaganda russa sulla Siria e sull’Ucraina.
2) A distanza di un solo mese da queste dichiarazioni di Soros, tutte le autorità occidentali sono quindi partite all’attacco del social network: la Federal Trade Commission degli USA ha aperto un’inchiesta sul presunto uso irregolare dei dati degli utenti, la Camera dei Comuni inglese ha indetto una riunione d’emergenza e, sugli altri social, è stato lanciato l’hashtag virale #DeleteFacebook, che invita a cancellarsi dalla piattaforma di Zuckerberg.
3) L’Italia, ovviamente, non poteva essere da meno. A fine maggio, il Corriere della Sera se ne è uscito fuori con una “inchiesta” – riportata con enfasi da tutti gli altri media – secondo la quale alcune centinaia di “troll russi” pagati dal Cremlino avrebbero utilizzato Facebook per sostenere la nascita del governo Lega-M5S e attaccare il Presidente della Repubblica Mattarella. Dopo pochi giorni, la “pista russa” è stata negata dalle stesse forze inquirenti che guidano l’indagine, ma la sostanza non cambia.
4) Gli attacchi politico-istituzionali, hanno arrecato a Facebook danni ingenti: a marzo, il social network ha subìto un crollo in borsa pari a 60 miliardi di dollari, per quindi replicare assai più gravemente il 26 luglio, con una cifra record di 120 miliardi di perdite.
5) La reazione difensiva di Facebook sta constando di un pedissequo allineamento all’agenda politica liberal, sia sul versante delle politiche interne ai vari paesi, sia su quello della politica internazionale. Già all’indomani degli attacchi di Soros e poi tramite diversi passaggi esplicitati nel corso dell’anno, Facebook ha annunciato una lotta senza quartiere alle cosiddette “fake news”. A marzo, in particolare, l’azienda di Zuckerberg ha annunciato intensificazione del fact-checking sulle notizie, controllo su foto e video, l’incremento di sanzioni mirate ai singoli utenti. Come molti sanno, tutto questo non serve affatto a contrastare genericamente la diffusione di notizie prive di fonti, bensì ha il compito di cancellare quelle notizie che, a prescindere dalla solidità del corredo documentale, implicano dubbi o valutazioni negative nei confronti della costellazione liberal, della Nato e dell’Unione Europea. Infatti, quando invece accade che una notizia come l’accusa occidentale d’uso di armi chimiche mossa in aprile al governo siriano venga disvelata, due mesi dopo, come bufala dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac), quell’accusa iniziale contro la Siria per Facebook non è inscrivibile nell’elenco delle fake news.
6) Il 20 agosto, Donald Trump ha attaccato Facebook durante un’intervista alla Reuters. Alla fine del 2017, un analogo attacco del Presidente USA aveva riguardato l’ostilità del social network nei suoi personali riguardi; stavolta, invece, Trump ha fatto riferimento alla succitata stretta disciplinare sulle fake-news, ovvero alla repressione delle posizioni anti-global, populiste o sovraniste: “Non faccio nomi – ha detto Trump – ma voglio sottolineare che quando bannano certi personaggi dai social è una cosa pericolosa: il prossimo potresti essere tu”.
7) Il 21 agosto, la manager di Facebook Tessa Lyons ha annunciato al Washington Post il fatto che sià già operativo un sistema di valutazione dell’affidabilità d’ogni singolo utente, con tanto di voto in pagella da uno a zero.
Per chi segue le serie tv, è inevitabile pensare all’episodio Caduta Libera della serie britannica e fanta-distopica Black Mirror, ovvero il primo della terza stagione: nel futuro prossimo descritto in quel telefilm, il numero di “mi piace” ottenuto sui social network, determina un punteggio atto a strutturare gerarchicamente la società e a stabilire la fruizione o meno dei diritti civili per ogni singolo cittadino.
Nella distopia presente, invece, l’essere stati bloccati o l’aver postato spesso posizioni politiche anti-Nato o anti-UE – e dunque opinioni che per l’ideologia liberal sono “fake news” – comporterà l’essere “schedati” dall’amministrazione di Facebook e, quindi, l’avere una maggiore probabilità di essere oggetto di sanzioni o di subìre la cancellazione definitiva del proprio profilo.
Siamo di fronte a una vicenda la cui gravità assume i contorni, per l’appunto, d’un racconto di fantascienza distopica e che dimostra, altresì, la profonda attualità della contrapposizione tra globalismo e sovranismo. Il processo di deregulation globalista, cioè, dimostra di dispiegarsi attraverso la fagocitazione e l’azzeramento dei diritti sociali e civili che le lotte di massa hanno sedimentato nei due secoli scorsi all’interno delle Costituzioni e delle legislazioni nazionali. Ancora una volta, il neo-liberismo dimostra di voler distruggere i propri stessi presupposti liberali arrivando alla schedatura delle posizioni politiche dei singoli cittadini. Occorre cominciare a ragionare su come reagire, anche per via legale. Ed è altresì necessario far partire da subito un attacco, politico e frontale, contro l’azienda di comunicazione Pagella Politica: quest’ultima svolge per conto di Facebook il cosiddetto fact-checking delle notizie in lingua italiana e quindi – per le citate ragioni inerenti al significato doppiopesista, mendace e ideologico del concetto di “fake news” – sta di fatto collaborando alla schedatura politica dei cittadini italiani; pertanto, la legalità costituzionale dell’operato di suddetta azienda sarebbe come minimo da sottoporre a verifica.
Più in generale, questa è una lotta per la democrazia e bisogna scegliere da che parte stare: o si sta dalla parte del potere costituente fondato sulla sovranità popolare – e quindi dalla parte degli stati nazionali-costituzionali – o si sta dalla parte del neo-assolutismo “liquido”, del fascismo digitale promosso dalle multinazionali e dall’Unione Europea.
Fonte: http://www.quadernirozzi.it/2018/08/23/ultimo-atto-della-guerra-di-facebook-la-schedatura-politica-degli-utenti/