La decisione di Di Maio di avviare un tavolo di trattativa con le aziende (per lo più multinazionali straniere) che si avvalgono del lavoro (sfruttato, precario e malpagato) dei cosiddetti “riders”, al fine di tutelare i loro diritti di lavoratori, è da salutare senz’altro positivamente.
Certo, Di Maio ha tenuto a precisare che tutto deve avvenire nell’ambito della concertazione, rifiutando, anche e soprattutto ideologicamente parlando, il principio della conflittualità (che invece è e sarà sempre strutturale in un sistema capitalista) fra datori di lavoro e lavoratori, sottolineando che, specie nella fase attuale, imprese e lavoro non debbono dividersi, in una logica interclassista che da sempre contraddistingue ilM5S. Ma questo lo sapevamo già. Sapevamo cioè che Di Maio non è un socialista e che, soprattutto non lo è il movimento che rappresenta.
Tuttavia, realisticamente parlando, di più non potevamo aspettarci né Di Maio avrebbe potuto fare (essendo un ministro del governo e non un sindacalista…) e, dato il contesto, il suo è un segnale che va accolto in modo favorevole, perché comunque rappresenta un’apertura. Anche perché è il primo atto concreto (o uno dei primissimi…) teso a caratterizzare l’azione di governo del M5S che è obbligato, obtorto collo, a dare una risposta concreta alle domande sociali di quei ceti popolari che lo hanno sostenuto. Un sostegno che però non sarà confermato se, appunto, la squadra di governo pentastellata non sarà in grado di dare delle risposte a quelle domande.
L’obiettivo strategico verso cui tendere deve essere quello di dare pari diritti e tutele a tutti i lavoratori, privati e pubblici, e naturalmente di combattere e superare il precariato. Il lavoro precario, ideologicamente camuffato come propensione alla versatilità e alla flessibilità delle persone, è in realtà la struttura portante dell’attuale sistema capitalista in versione neo liberista. Il precariato è la condizione esistenziale alla quale vorrebbero abituarci e che vorrebbero spacciarci come naturale se non come positiva al fine della crescita individuale, naturalmente nell’ottica iperindividualistica della guerra di tutti contro tutti per la sopravvivenza. Questa non è libertà, ma legge della giungla, homo homini lupus in salsa liberista, che nulla ha a che vedere con “il libero sviluppo di ciascuno come condizione del libero sviluppo di tutti”.
Lavoro stabile e sicuro non significa che una persona debba restare incatenata allo stesso posto di lavoro per tutta la vita. Al contrario, la creatività, l’intelligenza, la versatilità e la propensione al cambiamento delle persone debbono essere valorizzate, l’esatto contrario di quello che avviene realmente nelle società capitaliste (se non per ristretti gruppi di persone…), nonostante quello che viene mediaticamente e ideologicamente millantato. Lavoro stabile e sicuro significa avere la certezza che non si verrà mai lasciati soli o abbandonati, che tutti/e avranno sempre un lavoro e un salario dignitosi, sicurezza, tutele e diritti garantiti e naturalmente una collocazione professionale e umana nella società. L’esatto contrario di ciò che avviene nei sistemi capitalisti e nelle “moderne” società dominate dal neoliberismo.
E’ fondamentale, dunque, incalzare quelle forze di governo (il M5S) che sono state chiamate dall’elettorato a dare risposte in tal senso e, qualora queste si rivelassero incapaci o impossibilitate (come molto probabilmente sarà) o, peggio, dimostrassero di non avere la vera volontà di darle e di lavorare nella direzione sopra auspicata, di portare alla luce le loro contraddizioni e di dare battaglia.
Foto:BolognaToday (da Google)