Ci troviamo stretti tra due fuochi.
Una “sinistra” politicamente corretta, “globalista”, liberal o radical(chic) che sia, del tutto organica al capitale, ai “mercati” e all’UE da una parte, e una destra nazionalista, xenofoba, securitaria, “neocorporativa”, aggressiva, e decisamente inquietante dall’altra.
La seconda finge di essere una forza “antisistema” ma è una balla. Non toccherà mai, metaforicamente parlando, i fili dell’alta tensione. Rappresenta una media e relativamente medio alta borghesia nazionale che non è riuscita ad entrare nel salotto che conta del grande capitale internazionale e ora vuole riconquistare lo spazio e l’egemonia politica che ha perduto. IL suo “sovranismo” si riduce a questo.
Entrambe sono prone e fedeli alla NATO, che è l’asse portante del sistema politico-militare occidentale nel quale ci troviamo. In questo momento specifico, la “sinistra”, sia ideologicamente che politicamente, è più vicina all’UE (cioè alla Germania e alla Francia) e al grande capitale finanziario transnazionale (anche americano), mentre la destra è maggiormente appoggiata dall’attuale amministrazione USA (Trump) e dalla destra nazionalista israeliana da tempo al governo (Netanyahu).
Nei prossimi tempi assisteremo ad una sorta di balletto, diciamo pure ad un teatrino che, come sappiamo, serve a camuffare la reale posta in gioco e la natura reale dei due schieramenti.
La “sinistra” liberal-liberista, sconfitta in questa fase (in Italia, ma ancora egemone in Europa, con alcune eccezioni), darà battaglia nel nome dell’antirazzismo, dell’antifascismo (una parodia del vero e storico antifascismo), dei valori che sarebbero alle fondamenta dell’Unione Europea e naturalmente di tutto l’armamentario ideologico “buonista”, “diritto-umanista” e politicamente corretto che conosciamo.
La destra, dal canto suo, forte della sua posizione di governo, risponderà sui temi che da sempre la caratterizzano: chiusura delle frontiere, mano dura con gli immigrati, con i rom, espulsioni facili, la sicurezza, “prima gli italiani”, riduzione delle tasse (per i ricchi…), licenza di uccidere (legittima difesa…).
In questo quadro, mi sbaglierò, ma mi pare che il M5S abbia già iniziato la sua parabola discendente. Salvini ha praticamente oscurato Di Maio oltre che Conte, ha occupato interamente la scena politica e mediatica, fa anche il ministro degli esteri oltre che degli interni e mette bocca un po’ su tutto. Di fatto è lui il premier.
Del resto, per Salvini – che comunque è un gigante, politicamente parlando, rispetto a Di Maio – è tutto più facile, perché le sue sparate sono a costo zero ma in buona parte anche i suoi provvedimenti e le sue politiche. A Di Maio invece serviranno coperture finanziarie per le sue politiche (reddito di cittadinanza, stato sociale) che molto probabilmente non ci saranno, a meno di un deficit di bilancio peraltro formalmente previsto già nel famoso contratto di governo. Ma gli sarà consentito? La UE darà il lasciapassare? Il dogma del fiscal compact verrà infranto? I suoi ministri, e Tria in particolare, terranno duro? La vedo durissima se non pressochè impossibile. Il M5S rischia dunque di logorarsi, sia per ragioni oggettive (impossibilità di portare avanti le politiche sociali come da programma) sia per l’incapacità dei suoi uomini di competere con il leader leghista. Il quale ha già capito che queste contraddizioni prima o poi si presenteranno e forse esploderanno e che, di conseguenza, questo governo non avrà, forse, vita così lunga, e si prepara al futuro. Questa è la ragione del suo iperattivismo e del suo occupare prepotentemente la scena mediatica (cosa che gli riesce benissimo…). Utilizza sapientemente il suo dicastero (ma di fatto è anche il capo del governo in pectore) per la sua strategia politica. Lavora a diventare il capo di un grande partito identitario di massa di “destra-destra”, come si suol dire, puntando a prosciugare il bacino elettorale di Forza Italia, ad annettere, forse, Fratelli d’Italia ma anche ad acquisire una buona parte dell’elettorato pentastellato.
E’ importante rilevare che dalle elezioni politiche del 4 marzo, il M5S ha tracollato in tutte le tornate elettorali amministrative, sia regionali che comunali (con rare eccezioni), e questa debacle non può essere giustificata solo con il fatto che a livello locale pesano ancora i vecchi legami clientelari. La sconfitta subita in due fra i più popolosi e popolari municipi della capitale non è casuale. Due anni fa la Raggi fece il pieno e fu votata dal 70% dei romani. Ma due anni di totale assenza, di una giunta incolore, praticamente inesistente, salita alle cronache solo per il turn over degli assessori e per la vicenda (torbida) dello stadio, si fanno sentire. La sindaca è palesemente inadeguata, incapace di articolare un abbozzo di ragionamento politico, e le sue comparsate televisive sono imbarazzanti. Ogni volta – pensando forse di fare cosa giusta senza capire che si dà la zappa sui piedi – è costretta a ripetere che “lei non sa, non sapeva, non poteva sapere, era all’oscuro di tutto e che lei è una vittima”. Dal sindaco di Roma (che è molto più di un ministro e se avesse le capacità avrebbe un peso specifico e una capacità di condizionamento sulla politica nazionale, enormi) ci si aspetterebbe qualcosina di più. Del resto – diciamoci la verità – la Raggi fu preferita ad altri solo in quanto donna e perché la sua candidatura servì a risolvere alcune beghe interne al M5S (che poi non furono neanche risolte). Ma questi sono errori che prima o dopo si pagano. Di fatto è stata completamente esautorata dai suoi che se potessero (ma non possono) la toglierebbero di mezzo. E quindi è sotto tutela, diciamo così, occupa quella poltrona solo formalmente, per rilasciare qualche intervista e presenziare a qualche iniziativa e talvolta andare in tv. Ma anche così fa solo danni. La vicenda della via intitolata a Giorgio Almirante con i suoi che votano favorevolmente in aula e lei che dice di non sapere nulla nello studio di Bruno Vespa, è emblematica.
La mia impressione è che una Giorgia Meloni (ignorante come una cucuzza ma abile politica e provvista di un suo carisma) alle prossime comunali romane potrebbe sbancare (e questo sarebbe un colpo mortale per il M5S). Anche se non sarebbe da sottovalutare una candidatura del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, a meno che la sua carta non verrà giocata per risollevare le sorti del PD a livello nazionale. Comunque sia, una parte molto consistente dell’elettorato pentastellato non vota per ragioni ideologiche o identitarie (a differenza della gran parte dell’elettorato leghista), e vuole risultati concreti, in tempi non biblici. In caso contrario, così come l’ha dato, toglie il suo consenso. E questo vale per Roma così come per le questioni nazionali.
Tornando alla dimensione nazionale, difficile, da ora, prevedere il futuro; del resto non abbiamo la sfera magica. Tuttavia mi pare di poter affermare con un ampio margine di sicurezza che la Lega abbia definitivamente vinto la sua battaglia all’interno del centrodestra e che stia lavorando ai fianchi il M5S (anche se questo lavorio non è dichiarato, ovviamente…).
La mia opinione è che – nonostante le sue (enormi e strutturali) contraddizioni che non abbiamo mancato di rilevare tante volte – il M5S, in questa fase, sia decisamente più scomodo per i padroni del vapore (cioè l’UE e la BCE e il grande capitale finanziario che le controlla) rispetto alla Lega, perché rappresenta degli interessi sociali (che si traducono necessariamente in richieste di copertura economica) che entrano oggettivamente in conflitto con l’UE e le sue politiche economiche. Viceversa – nonostante quello che può sembrare – un governo di “destra-destra” che però non vada a toccare le “compatibilità” economiche, può anche essere funzionale e non disturbare più di tanto il manovratore, per lo meno in una paese se non “semi-periferico”, comunque non più strategico (per lo meno non come lo era una volta), come l’Italia. Perché, alla fin fine, ai veri “pupari”, al di là delle chiacchiere ideologiche, se le navi da guerra bloccano i migranti (lo stava già facendo Minniti solo che i suoi colleghi di partito non sono stati bravi a comunicarlo; Salvini sta solo continuando la sua politica…) oppure se gli zingari vengono espulsi o rinchiusi in ghetti, oppure ancora se la gente si arma come in America e spara ai passanti sui tetti o per eccesso di legittima difesa, non gliene importa assolutamente nulla. L’importante è che la pace sociale e la “governance” siano garantite. Che lo faccia la “sinistra”, o una forza liberale di centro o anche una destra-destra, alla fin fine è del tutto irrilevante.
Foto: Democratica (da Google)