Foto: Fuori Binario (da Google)
La tragedia senza fine dei morti sul lavoro è la cartina al tornasole del sistema nel quale viviamo e ne rivela, forse più di qualsiasi altro (drammatico) fenomeno, il suo carattere intrinsecamente e strutturalmente contraddittorio.
Si tratta infatti di una tragedia di classe dal momento che muoiono solo lavoratori, per lo più operai e a volte contadini. Si muore per tante ragioni e nei frangenti più diversi, precipitando dal ponteggio di un cantiere edile oppure schiacciati da una pressa o da un trattore, per un’esplosione, come successo ieri ai due operai a Treviglio, oppure ancora per un incendio divampato per i motivi più disparati. Ma si muore anche per la perdita del lavoro, cioè quando in seguito ad un licenziamento o al fallimento della propria azienda e nell’impossibilità di trovare un’altra occupazione nonostante i reiterati e infruttuosi tentativi, si decide di togliersi la vita perché ci si sente inutili o, peggio, dei falliti, perché incapaci di provvedere al proprio sostentamento e soprattutto a quello della propria famiglia.
Ma si tratta anche di una tragedia di genere, maschile, perché le vittime del lavoro sono pressochè soltanto uomini, con una percentuale che oscilla fra il 93 e il 97%. Il restante 5% circa di donne sono in realtà vittime di incidenti stradali mentre si recano al posto di lavoro e vengono comunque considerate cadute sul lavoro. Nel caso dei suicidi per perdita del lavoro la percentuale maschile è addirittura del 99,9% (sono dati che tutti possono verificare sul sito dell’Inail). E anche questo dato meriterebbe (e merita) una riflessione a parte che abbiamo già fatto ma che riproporremo ancora in un prossimo articolo ad hoc.
Dei due risvolti di questa immane tragedia, soltanto il primo, quello di classe, è emerso chiaramente, anche se da sempre nell’indifferenza di tutti dal momento che ci si è abituati a quella che è ormai diventata una seppur triste consuetudine. Il secondo, invece, quello di genere (maschile), non è emerso, nonostante sia anch’esso clamorosamente evidente. Non osiamo pensare cosa sarebbe già avvenuto a parti invertite e chi scrive, per primo, sarebbe già sceso in piazza contro quella che avrebbe considerato una insopportabile e inaccettabile discriminazione fondata sul sesso. Il silenzio da parte di tutti (istituzioni, media, partiti, sindacati, scuola, intellettuali, e soprattutto di chi della difesa dei diritti ne ha fatto una bandiera e spesso una professione…) su questo secondo e altrettanto spregevole risvolto è a dir poco assordante (e vergognoso, aggiungo io…). A meno di non pensare che gli uomini, in quanto tali, siano sacrificabili; ma se così, fosse, vorrebbe dire che non sono affatto dei privilegiati, come la vulgata politicamente corretta dominante sostiene…
Ora, dal momento che il lavoro non è una faccenduola qualunque ma, da sempre, il fattore costitutivo e distintivo (con tutte le contraddizioni che ben conosciamo…) della vita umana e delle società che proprio sul lavoro (e sullo sfruttamento del lavoro) sono state da sempre edificate, se ne deduce, se la logica non è acqua fresca, che anche e soprattutto nell’attuale contesto storico e sociale gli uomini non appartenenti alle elites dominanti sono il gruppo sociale e di genere che più di altri e più di altre vive e subisce le contraddizioni prodotte da quello stesso contesto.
I numeri e le percentuali, del resto, sono lì a confermarlo: implacabili, inconfutabili, incontestabili.
Sia chiaro – lo dico per evitare che i soliti uccellacci speculino vergognosamente su quanto ho appena scritto (e non stupitevi, perché è normale che ciò accada…) – che è evidente che l’obiettivo di queste mie parole non è certo quello di voler “pareggiare i conti” con il genere femminile. Al contrario, ci auguriamo che nessuna donna – mai – muoia sul lavoro né per altre cause che non siano quelle naturali. Né tanto meno, individuiamo nel genere femminile il nostro nemico. Se così fosse saremmo anche degli idioti oltre che degli individui spregevoli.
Il nostro obiettivo, come ormai molti nostri lettori sanno bene, è svelare una menzogna. Quella in base alla quale, appunto, i maschi, in virtù della loro appartenenza sessuale, sarebbero sempre e comunque in una condizione di privilegio, vantaggio e dominio. I fatti ci dicono che questa è una macroscopica fesseria, una incredibile manipolazione e falsificazione della realtà che abbiamo più volte denunciato. Ce ne raccontano tante tutti i giorni (tutti i sistemi di dominio, specie i più sofisticati come quello attuale, si fondano sulla menzogna) ma questa è sicuramente una di quelle più clamorose e sistematicamente ripetuta in ogni dove e in ogni momento.
Gatta ci cova, e non può non covarci.
Questo è il punto sul quale invito a tutti/e a riflettere. La domande da porsi sono sempre le stesse: perché e a chi giova. A chi giova manipolare e occultare la realtà? A che scopo? Perché non emerge e non viene lasciato emergere un dato così eclatante come quello del risvolto sessuale del dramma sociale dei caduti sul lavoro? Qual è la natura dell’attuale dominio capitalistico? Quali sono le logiche che lo sottintendono? E, soprattutto, perché questo dato così palese è come se fosse invisibile?
Ne dobbiamo dedurre – sempre se la logica non è acqua fresca – che il nostro sistema tuttora fondato sul diritto formale liberale è in grado di gestire, lasciandola emergere, la contraddizione di classe ma non quella di genere, naturalmente quando quest’ultima vede penalizzato il genere maschile. Ancor più in questo caso è necessario chiedersi perché.
Il tema è scabroso e per nulla rassicurante. Del resto, se le cose stanno in un certo modo non è colpa nostra. Chi vuole restare nelle sue comode e rassicuranti convinzioni può sempre evitare di leggerci…