Crolla il PD di Matteo Renzi. Era ora! Meglio tardi che mai! Evidentemente non bastò la risposta chiara e netta degli italiani più lucidi (erano stati tanti) alla proposta truffaldina di cambiare la Costituzione. Evidentemente, ci voleva un’altra risposta, ancora più chiara, che facesse comprendere a questa gente che non si sopportava più il loro lercio snobismo e la loro patinata e salottiera visione del mondo.
Non paghi di aver tenuto in ostaggio il governo di questo paese per cinque anni; non paghi di essersi alleati con personaggi eletti alle scorse consultazioni con un uomo “politico” come Berlusconi pur di non mollare la poltrona; non paghi di aver prodotto una politica economica e sociale perfettamente in linea (se non peggiore, si pensi al Jobs Act e alla riforma della scuola) con i governi di destra. Non paghi di tutto questo, Renzi, Gentiloni e compagnia bella avevano avuto la faccia tosta di chiedere di nuovo la fiducia degli italiani.
Vergogna!
Gli elettori però – ormai disillusi da questa sinistra ipocrita – hanno mostrato un chiaro, netto bisogno di cambiamento reale. Il voto di ieri urla forte: abbatte in larga parte il sistema di potere della Seconda Repubblica (Forza Italia, neofascisti e Sinistra liberal) e investe su una nuova classe politica (ma soprattutto su programmi coraggiosi e in una certa misura inediti), mostrando all’Europa il coraggio e la dignità di un paese che non si arrende a concedere la sovranità democratica ad una sinistra lontanissima dalle donne e dagli uomini concreti e ad una destra plastificata che, da tempo, ha assunto da noi l’aspetto inquietante di Silvio Berlusconi (fra l’altro, costui aveva proposto Tajani premier: incredibile!).
L’intenzione degli italiani sembra a me evidentissima. Si è assestato un colpo terribile al “sistema” politico di questo paese e si è dato un segnale forte nella direzione del rifiuto della città astratta e impersonale retta dalle sovranità politico-finanziarie (nazionali e internazionali). Gli italiani esigono territorializzazione, concretezza, nuove politiche comunitarie e del lavoro, lontane dai sempre più alienanti processi socio-economici buoni solo a passare sopra le teste dei cittadini.
Saprà questa nuova classe dirigente essere fedele alla speranza degli italiani, traducendola in una nuova dimensione politica? Purtroppo, io conservo molti dubbi su questo. È chiaro infatti che il sistema, fortemente scosso dal voto popolare, tenderà a mettere insieme i cocci e a perpetuarsi. Del resto, gli stessi pentastellati, indiscutibilmente il nuovo asse politico di questo paese, inaugurano tutta una serie di questioni del tutto inedite. Quanto alle preoccupazioni, non mi riferisco tanto all’ala movimentistica (Di Battista) ma soprattutto a quella “di governo” (Di Maio): quest’ultima ha già dato ampie rassicurazioni al grande Capitale internazionale e già da ciò è forse già possibile intendere le vere intenzioni.
Intanto, occorre vedere a quale livello – e secondo quali strategie – si vorranno introdurre le istanze di cambiamento: cominceremo a comprendere qualcosa di importante, ovviamente, quando la nuova coalizione di governo sarà stata indicata. Tuttavia, è anche questione di buon gusto, oltre che di prudenza, dare fiducia a chi è stato appena investito della responsabilità politica. Per quanto ci riguarda, abbiamo il dovere di vigilare: il nuovo compito è verificare se ci saranno effettivamente novità significative, a favore finalmente dei cittadini e contro il vecchio establishment power.
Io credo che oggi – una volta preso atto della fine definitiva della Seconda Repubblica – sia esattamente su questo che i nostri occhi dovrebbero concentrarsi.
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