L’Iran non è l’Ucraina o il Venezuela; non ha una classe media occidentalizzata – a parte gli universitari provenienti dalla borghesia urbana di Teheran – ed è fedele ai precetti della Rivoluzione islamica guidata dall’imam Khomeini. L’orientamento geopolitico ‘’eurasiatista’’ è fuori discussione per la maggior parte dei cittadini, islamici e non; chiunque voglia mettere in discussione – si spera in termini analitici – il bastione persiano non deve rimuovere questi aspetti che ho brevemente introdotto.
Le recenti manifestazioni, inizialmente anti-neoliberiste, a differenza del fallito – proprio perché privo di base sociale – tentativo di ‘’rivoluzione colorata’’ del 2009, sono state promosse dagli attivisti vicini all’ex presidente Ahmadinejad, critici delle politiche neoliberiste del presidente Rohani. Un sostenitore storico della Rivoluzione iraniana del 1979, il giornalista francese Thierry Meyssan, ha scritto una analisi documentata che rompe tanto con l’occidentalismo ipocrita quanto col geopoliticismo: ‘’Diversamente da quanto sostenuto dai media occidentali, queste proteste non hanno nulla a che vedere con la “Rivoluzione verde” del 2009. Allora si voleva rovesciare il presidente Mahmoud Ahmadinejad per sostituirlo con uno filoamericano. Le proteste si svolgevano quasi esclusivamente a Teheran e Ispahan ed erano espressione soprattutto delle borghesia agiata. Le manifestazioni di questi giorni sono invece di natura molto popolare e indirizzate principalmente contro lo sceicco Hassan Rohani, che aveva promesso la rimozione delle sanzioni dopo la firma dell’accordo 5 + 1. Il trattato è stato firmato ma le sanzioni non sono state tolte. A Rohani viene contestato anche l’incredibile arricchimento del suo entourage. In secondo luogo i dimostranti se la prendono con la Guida della Rivoluzione, l’ayatollah Khamenei, cui rimproverano di aver rinunciato a contenere il presidente e di consacrarsi esclusivamente alla difesa dei palestinesi, di Hezbollah e della Siria. Ai manifestanti si sono uniti anche i sostenitori dell’ex presidente Ahmadinejad, i cui parenti e collaboratori più stretti hanno il divieto di concorrere alle elezioni’’ 1. Quindi delle legittime proteste per il carovita e le condizioni materiali di vita contengono nello stesso tempo una pericolosa ambiguità: la rinuncia dell’antimperialismo reale – ovvero l’antimperialismo permesso dai rapporti di forza regionali ed internazionali – rappresentato dal sostegno agli Hezbollah e alla Resistenza palestinese, cioè quella politica internazionale progressista di cui Khamenei si è fatto interprete. Quali sono le debolezze che la Repubblica islamica dell’Iran sta pagando? Cercherò di riassumerle brevemente.
- L’Islam sciita si oppone tanto all’imperialismo quanto al socialismo. Questo ha consentito alla nazione islamica di contrastare i disegni egemonici statunitensi e israeliani, ma non gli ha permesso di transitare da uno Stato neoliberista (la dittatura dello Scià) ad uno Stato sociale dinamico. La Rivoluzione iraniana, a differenza di altre (quella cubana, ad esempio), ha mutato soltanto l’orientamento geopolitico del paese, condizione necessaria per avviare un processo di modernizzazione capitalistica rendendo il paese sovrano; aspetti, specie quest’ultimo, positivi (in una visione progressiva e dialettica della realtà e della storia), ma limitati nel tempo. Avversi al socialismo le autorità religiose non hanno compreso l’essenziale: il sionismo e l’imperialismo sono il prodotto della società capitalista, la stessa che ha generato lo Scià. Ammettere questo significava dare ragione ai marxisti; una eresia per il clero, troppo chiuso e dogmatico.
- I bazaristi non possono fronteggiare, nei mercati globali, le grandi potenze capitalistiche. L’Iran è una nazione indipendente fedele alla Rivoluzione khomeinista, ma la sua struttura economica e sociale resta di tipo capitalistica – con alcuni oligarchi che fanno il bello ed il cattivo tempo – e la “sovrastruttura” teocentrica. Questo grande paese, seppur antimperialista, non è la Cina (la quale, socialista o meno, sta surclassando gli USA), nonostante per i movimenti anti-sionisti dell’area ricopra un ruolo simile a quello che era dell’URSS nei confronti delle guerriglie e dei movimenti di liberazione anticolonialisti nel mondo. La Repubblica Islamica, se vuole vincere in quanto Stato rivoluzionario, non può affidarsi agli sceicchi ed alla borghesia del bazar (tutti gli amici della rivoluzione lo scrivono da diversi anni). Ma nonostante i moniti, far fuori gli oligarchi, in questo momento a Teheran, non sembrerebbe possibile.
- I conservatori hanno permesso agli agenti sionisti e wahabiti d’infiltrarsi nelle loro proteste? Questo è il segnale più eloquente: la ‘’sinistra conservatrice’’ (una particolarità tutta iraniana) non è in grado di rappresentare una alternativa di sistema, non ne ha la forza ma soprattutto gli mancano le basi culturali. La Guida Suprema, Khamenei, dovrebbe, piuttosto, proporre la legalizzazione di un Partito operario ‘’sharitiano’’ (ispirato al pensiero islamo-socialista di Ali Shariati) capace di dialogare, alla pari, con paesi come Cina, Cuba e Venezuela. In questo modo (a) riavvicinerebbe moltissimi giovani agli ideali della Rivoluzione, (b) getterebbe un ponte ai marxisti e ai socialisti europei ancora ostili agli ideali dello sciismo antimperialista.
Il giornalista Fulvio Grimaldi è stato molto duro col presidente Rohani, leggiamo: ‘’Con l’avvento del “moderato” Hassan Rouhani, reso possibile dal fatto che il “conservatore” Ahmadinejad non poteva presentarsi per un terzo mandato e che il suo schieramento aveva fronteggiato le elezioni diviso (“moderato” e “conservatore” sono i termini che i media ci infliggono per designare chi è gradito e chi sgradito all’Occidente), avviene l’indecorosa resa, la rivincita dei “quartieri alti” di Teheran, un’offensiva privatizzatrice e, pietra angolare dell’indipendenza o meno del paese, l’accordo sul nucleare con gli Usa che ha privato l’Iran quasi interamente del suo potenziale di nucleare civile. Il che avrebbe dovuto portare alla normalizzazione dei rapporti con Usa e Occidente, alla fine di sanzioni tra le più feroci e genocide mai inflitte, alla pacificazione della regione. E’ sotto gli occhi di tutti a cosa ha portato l’arrendevolezza di Rouhani’’ 2. Il neoliberismo ha messo a rischio l’indipendenza del paese ed una protesta spontanea – come spiegato da Meyssan – è stata infiltrata dai provocatori wahabiti dell’MKO foraggiati dall’amministrazione Trump ed Israele. Continua Grimaldi:
‘’Se “morte al dittatore” e “morte a Khamenei” ci riportano dritti dritti agli auspici di morte indirizzati a Maduro, Gheddafi o Assad dal mercenariato jihadista di Obama-Clinton, l’inconfutabile marchio israeliano risuona, poi, nelle imprecazioni contro il ruolo regionale dell’Iran e contro l’impegno per la Palestina, Gaza e il Libano: “Giù le mani dal Medioriente”, “No Gaza”, “No Libano”. Non passano che poche ore e, immancabili, partono colpi di arma da fuoco, non si capisce bene da quale parte (per i media occidentali inconfutabilmente dalla polizia) e cadono le prime vittime. A tempo scaduto, escono fuori prove, video, testimonianze e confessioni che attestano la presenza di infiltrati impegnati a sparare sulla folla. Su questo aspetto, tuttavia, i massmedia appaiono distratti. Come ciechi e sordi, “diversamente abili”, appaiono a fronte della immediate e di gran lunga numericamente superiori manifestazioni di massa a sostegno del governo e contro i complottisti stranieri’’
Si tratta di un tentativo di destabilizzazione imperialistica pianificato dai soliti attori: Washington, Tel Aviv, Riyadt e l’immancabile MKO. I documenti parlano chiaro: teppisti legati all’organizzazione terroristica di Miryam Rajavi si sono infiltrati fra i dimostranti portando a scontri violenti con le forze dell’ordine. Tutto il contrario dei primissimi giorni delle proteste quando, citando Meyssan: ‘’La polizia si è mostrata molto tollerante: i “volteggiatori” (poliziotti in moto) hanno fraternizzato con i manifestanti. A Mecchad sono passati in mezzo alla folla, che li ha applauditi’’. L’Iran, oggigiorno fra nemici interni ed esterni, si trova nel bel mezzo di una crisi sistemica: il capitalismo non è mai una soluzione e, del resto, è il terreno preferito dei Soros, Kushner e di tutti i pescicani combattuti da Fanon, Shariati, dallo stesso Khomeini e da altri.
Islam politico e società neoliberista si sposano bene, Teheran è ad un bivio: può scegliere la politica delle privatizzazioni sostenute dal neoliberismo oppure riaprire all’Islam socialista di Shariati e del marxista tartaro Sultan Galiev restituendo il potere al popolo. Questa decisione – capitalismo o socialismo – nel lungo periodo determina la reale sopravvivenza e l’indipendenza delle nazioni. Vale per l’Iran così come ovunque.
http://www.voltairenet.org/article199209.html
http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2018/01/target-iran-parte-la-maidan-iraniana.html
Foto: Sky TG24 (da Google)