Chi ha paura dell’uomo nero?
Paolo Ercolani non mi è per nulla simpatico. Non lo conosco personalmente ma per quel poco che lo conosco virtualmente (è un femminista militante, ha scritto un libro che ho recensito, criticandolo radicalmente, e abbiamo anche avuto alcuni fastidiosi alterchi su facebook nel merito, con lui e altri suoi simpatizzanti) mi sento di dire che è il classico “intellettuale di sinistra”, accademico, salottiero, spocchiosetto, e naturalmente del tutto omogeneo alla narrazione politicamente corretta e femminista dominante. Non a caso scrive anche sull’Espresso, uno dei principali magazine di uno dei più grandi gruppi editoriali italiani, preposti alla diffusione della suddetta narrazione.
Di certo noi, con le nostre idee, specie in tema di femminismo, sionismo e imperialismo, non troveremmo mai spazio su quel giornale (né ci teniamo ad averlo, e se anche ce lo concedessero significherebbe che siamo considerati del tutto innocui e di conseguenza che non stiamo lavorando bene …), indipendentemente dalla nostra capacità o incapacità dal punto di vista giornalistico.
Nondimeno ha scritto questo articolo che riporto sotto e che condivido nella sostanza. Sia chiaro, è un articolo che L’Espresso può “reggere” tranquillamente dal momento che si tratta un tema, il razzismo, caro, sia pur ipocritamente, all’ideologia politically correct dominante.
E siccome In passato abbiamo pubblicato articoli di altre persone che non ci sono particolarmente simpatiche e di cui però condividevamo questo o quel determinato passaggio, non vediamo quindi ragione per non pubblicare questo articolo di Ercolani:
“La favola dell’uomo nero è diffusa un po’ in tutto il mondo. E non è priva di implicazioni assai significative. Di solito la si utilizza nei confronti dei bambini indisciplinati, specie quelli che non vogliono dormire. Con lo scopo di suscitare in loro il sentimento più atavico e potente: la paura.
Quella stessa paura che uno dei suoi studiosi più profondi, Thomas Hobbes, definiva come il mezzo più efficace per affermare l’”obbedienza”, unica “virtù di un suddito”.
Una favola molto simile viene utilizzata nei confronti degli adulti, anche in questo caso con l’intento di produrre in loro il sonno (della ragione) e l’obbedienza verso le teorie più strampalate e pericolose.
Accade anche in questi giorni, in seguito al terribile episodio dello stupro di gruppo commesso da quattro ragazzi neri in quel di Rimini. A speculare su questo episodio è stata la compagine di estrema destra chiamata “Forza nuova”, che in realtà di nuovo non possiede neppure la grafica, visto che ha ben visto di riprodurre il manifesto razzista che era stato utilizzato dal regime fascista negli anni più sciagurati del nostro paese.
Il manifesto ritrae un uomo nero, nel senso di “negro”, che assale una donna bianca e bionda per violentarla. Inequivocabile la scritta: “Difendila dai nuovi invasori. Potrebbe essere tua madre, tua moglie, tua sorella, tua figlia!”. Inequivocabile anche il bersaglio: l’immigrato.
Quel manifesto non stava in piedi già ai tempi del fascismo, figuriamoci oggi. È sufficiente conoscere un po’ di Storia per saperlo. Per sapere che gli “uomini neri” (nel senso della favola) eravamo noi. Noi, in realtà, eravamo gli invasori. Anche noi italiani che, per esempio, in Abissinia (Etiopia) avevamo commesso negli anni Trenta del Novecento stupri di massa, uccisioni e violenze di ogni genere, fino alla vera e propria infamia dell’utilizzo di armi chimiche. Nefandezze simili le avevamo compiute in Libia circa un ventennio prima.
È fin troppo agevole ricordare le infamie che tutti i grandi paesi occidentali hanno commesso in Africa (e non solo) durante i secoli del colonialismo e poi dell’imperialismo. Talmente agevole che ci si può rifare anche al terribile caso di Rimini per rendersene conto: il quarto stupratore, quello più grande (20 anni) e considerato più pericoloso, proviene dal Congo. Ebbene, la filosofa Hannah Arendt ci ricorda che gli abitanti di questo stato passarono dai circa 40 milioni del 1890 agli 8 milioni del 1911 in seguito alle violenze compiute dai paesi dell’Occidente conquistatore (“The Origins of Totalitarianism”, Harcourt, Brace & World Inc., New York 1951, p. 185). Superfluo precisare che casi del genere ne potremmo trovare a volontà.
Con questo si vuole forse dire che i cittadini occidentali di oggi portano quelle colpe sulle spalle, e ancor di più che i neri che provengono da quei paesi sono giustificati nei loro atti di violenza?! Solo dei pazzi potrebbero affermare ciò, e non è il nostro caso.
Però, fra i pazzi e i fanatici esaltatori della razza bianca e possibilmente nazionale (sempre la Storia dovrebbe servire a rammentarci cosa produsse il mix di razzismo e nazionalismo nel Novecento…), vorremmo scorgere nel mezzo degli uomini di buon senso.
Quelli che non fanno alcuna fatica a comprendere che la violenza non è una questione che riguarda il colore della pelle. Non è che se io, uomo bianco e italiano, vado in vacanza all’estero (magari divenendo per questo un po’ meno italiano…), e lì inizio pure ad abbronzarmi su una spiaggia marina, vengo gradualmente e inesorabilmente posseduto da istinti di violenza, di stupro e di aggressività varia.
Se la Storia ci ha insegnato qualcosa, questo qualcosa dovrebbe avere a che fare col fatto che uomini e donne (nonché gli animali) possiedono tutti l’istinto di sopraffazione verso il più debole, e che fenomeni come la violenza, la ruberia e gli atti contro la legge in genere, vengono prodotti da condizioni esistenziali, sociali ed economiche che nulla hanno a che fare con il colore della pelle o il paese di provenienza e di nascita.
Che nella nostra epoca, spesso, possa essere un immigrato a compiere ruberie o stupri, ciò ha a che fare con le condizioni esistenziali, economiche e sociali in cui versano queste persone che provengono da paesi martoriati. Martoriati anche da un dominio occidentale che non ha certo smesso di avvenire ai nostri giorni.
Se si rivela sciocco e pericoloso il buonismo dell’accoglienza per tutti e a tutti i costi (proprio di una certa sinistra e di un certo cattolicesimo), di sicuro si rivela falso, ipocrita e criminale il neo-fascismo di chi specula sulle nostre paure, facendoci credere che cacciando via tutti gli “uomini neri” (e non accogliendo più immigrati) le nostre società diventerebbero delle isole di benessere e concordia.
Occorre comprendere che l’alto numero di immigrati che versano in condizioni di disagio esistenziale e sociale (cosa che li rende obiettivamente pericolosi), è l’altra faccia della medaglia di un Occidente che, come avveniva ai tempi del fascismo, vede troppi suoi cittadini ripiombati nello spettro della povertà, della disoccupazione, di periferie in cui regnano il disagio e la paura.
Un’economia che bada al profitto senza curarsi dell’essere umano, e soprattutto una politica (specie della Sinistra) incapace di governare e limitare lo strapotere finanziario, nonché di rappresentare e difendere le categorie sociali più deboli, sono all’origine di questo disastro anche culturale in cui rispuntano fuori manifesti deliranti e inaccettabili.
Tutte le persone adulte, che non vogliono essere costrette a dormire tramite favole idiote come quelle dell’uomo nero, è bene che si rendano conto di quanto sta accadendo in questa nostra epoca infausta e sciagurata.
Perché l’alternativa è quella di arrendersi all’invisibile ma pericolosissimo manifesto della stupidità, che ormai campeggia sulle pareti delle nostre menti e dei nostri cuori”.
Fonte: http://lurtodelpensiero.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/09/04/manifesto-della-stupidita-bianca/