La battaglia di Dunkerque si svolse tra il 26 maggio ed il 3 giugno 1940. Guderian era a 16 km da Dunkerque, ultimo contatto tra le armate franco -britanniche e il mondo esterno, un’ora per i carri armati. L’accerchiamento era completato. Ma arrivò l’ordine di Hitler di non sorpassare la linea Lens-Béthune-Aire-Saint Omer-Gravelines. «Dunkerque deve essere lasciata all’aviazione» disse Hitler. Sembrerebbe una concessione a Göring, il quale lamentava che la sua Luftwaffe non aveva una parte sufficientemente grande nella vittoria, perché il primo posto era lasciato all’esercito, i cui capi reazionari – a detta del maresciallo – detestavano “la rivoluzione nazista”.
«Da Gravelines, Guderian comunica che vede la città, che tira sulle navi, che è testimonio di imbarchi massicci e chiede l’autorizzazione a piombare nello straordinario disordine che regna nelle file nemiche. Brauchitsch acconsente…»1. Ma Hitler bloccò tutto. Dichiarò che non avrebbe deciso personalmente, ma che avrebbe chiesto il parere del generale Rundstedt, il quale, contro il parere del suo superiore Brauchitsch e di Guderian, diede ragione a Hitler.
Sulla battaglia di Dunkerque si è detto e scritto moltissimo, chi pensa ad un errore di Hitler, chi a un miracolo a favore degli inglesi. La leggenda si è sostituita alla storia. Per questo è importante riscoprire uno scritto pubblicato su “Prometeo”, sicuramente di Bordiga.
“Gli Stati dell’Asse, e soprattutto la Germania, lanciati sulla via del successo, che concepivano soltanto come un compromesso imposto al nemico sulla comune base degli schemi dell’imperialismo fascista mondiale, non tentarono neppure di sommergere almeno uno dei fortilizi avversari, quello inglese, come avrebbero potuto forse conseguire, se, invece di irradiare puntate centrifughe per tutta l’Europa, nell’Africa e poi verso l’Oriente russo (al fine di assicurarsi pegni per il ricatto storico), lo avessero colpito a fondo dopo Dunkerque nella secolare metropoli con tutte le loro risorse. Il crollo di questa, come sentiva la borghesia ultra-industriale governante il paese di Hitler, avrebbe sommerso il capitalismo mondiale, o per lo meno lo avrebbe travolto in una crisi spaventosa, mettendo in moto le forze di tutte le classi e di tutti i popoli straziati dall’imperialismo e dalla guerra, e forse invertendo tremendamente le direttive sociali e politiche del colosso russo ancora inattivo.”2
Hitler, prima ancora che un nazista, era un borghese, e in quanto tale temeva più di ogni cosa la ripresa delle rivoluzioni proletarie e anticoloniali. In seguito rifiutò ancora di dare il colpo di grazia a Londra, perché questo significava l’insurrezione delle colonie. Avvenne ciò che nessuno avrebbe immaginato, la capitolazione di Singapore (15 febbraio 1942), una resa incondizionata, e il comandante in capo dell’armata nemica sconfitta, il luogotenente generale Percival, fu costretto a chiederla di persona. La bandiera britannica dovette essere issata accanto a quella bianca.
Mussolini commentò:
“Vorrei sapere che effetto ha prodotto su quei fantasiosi orientali il fatto che quattro ufficiali inglesi si siano presentati a domandare la resa con la bandiera bianca spiegata. Si fosse trattato di noi, nessuno ci avrebbe fatto caso. Ma quelli sono inglesi!”
Il 20 febbraio il conte Ciano annotava:
“Alfieri manda uno strano telegramma, secondo il quale Ribbentrop auspica che l’Inghilterra chieda un armistizio e ciò per salvare ancora il salvabile. Che i tedeschi comincino veramente a rendersi conto della spaventosa tragedia che questa guerra rappresenta per la razza bianca? Sarebbe bene, ma non lo credo.”
E il 14 aprile:
“I giapponesi propongono una dichiarazione del tripartito per l’indipendenza dell’India e dell’Arabia. Le prime dichiarazioni di Berlino sono sfavorevoli: non è gradita l’iniziativa giapponese in settori sempre più vicini all’Europa. Mussolini, invece, vorrebbe aderire alla proposta.”3
La proposta giapponese, ovviamente, non mirava alla liberazione dell’India e del mondo arabo, ma all’indebolimento della potenza inglese prima che il riarmo USA fosse completato. Ma Hitler aveva paura che i popoli arabi e gli indiani prendessero veramente sul serio l’offerta di libertà e facessero la loro rivoluzione nazionale/anticolonialista riaprendo la strada a quella proletaria nelle metropoli capitalistiche.
Da questo si può vedere che la borghesia imperialista, soprattutto quella più evoluta, sa che il crollo di una potenza egemone può scatenare la rivoluzione mondiale e non condivide la confusa visione di quei piccoli borghesi che credono la rivoluzione impossibile.
Nel giugno del 1940 gli Stati Uniti non erano ancora giunti, nel riarmo, al punto di poter sostituire l’Inghilterra nella funzione di potenza egemone, mentre nel 1942 il primo ministro australiano, il laburista John Curtin scriveva sul Melbourne Herald che l’Australia non poteva più contare sulla vecchia madrepatria per essere aiutata nella difesa e che doveva rivolgersi all’America 4. Era la presa d’atto che la stella dell’imperialismo inglese tramontava, mentre saliva prepotentemente alla ribalta quella americana.
L’immenso potenziale economico, politico e bellico delle repubblica stellata sarà un fattore di reazione. A fine guerra, l’occupazione dei paesi vinti, la divisione della Germania in quattro zone di occupazione, non ebbero lo scopo di impedire rigurgiti fascisti o nazisti, ma di evitare che si ripetesse la situazione rivoluzionaria verificatasi alla fine della I guerra mondiale. E in questo, socialdemocrazia e stalinismo furono complici.
Note
1)Raymond Cartier “La seconda guerra mondiale”.
2) “Il corso storico del movimento di classe del proletariato. Guerre e crisi opportunistiche,”Le tesi della Sinistra, Da “Prometeo” n. 6 del 1947.
3) Galeazzo Ciano, “Diario”.
4) Cartier, op. cit.
Fonte foto: Storie di guerra (da Google)