Il pregio narrativo di Verso un mondo multipolare di Pierluigi Fagan è parlare semplicemente della complessità; il suo valore sostanziale è offrire l’esatta misura della realtà attraverso l’ordinata rassegna del “miscuglione” di forze e terre che compongono Il gioco di tutti i giochi nell’era Trump, sottotitolo del libro[i].
L’oggetto è dunque un trattato di geopolitica che affronta la situazione attuale di un mondo la cui complessità deriva dalla crisi del dominio novecentesco ordinatore: prima duale con la guerra fredda USA – URSS (1945-1989), poi unipolare USA (1989- attorno al 2008), ora con un gioco a quattro tra USA, che rimane il dominus, Russia e Cina antagonisti ordinati e in mezzo il caos Europa. Così gli attori: gli USA sono, e saranno, forti della superiorità militare e soprattutto della posizione geografica di isolamento rispetto alla piattaforma euroasiatica; la Russia seconda per potenza militare, possiede la regione più grande del mondo la Siberia; la Cina con la maggiore e più omogenea popolazione del mondo ha enorme potenza economica e commerciale e insidia gli USA; l’Europa dalla grande tradizione di civiltà ha però tutti gli indicatori decadenti, dall’invecchiamento demografico alla crisi politica dell’Unione. Poi, il libro struttura, nei suoi quattro capitoli (1. Un mondo nuovo e complesso, 2. Il gioco di tutti i giochi, 3. A che gioco giochiamo, 4 Adattarsi all’era complessa) l’analisi multifattoriale (economica, sociologica, politico-istituzionale) di questi giocatori integrandoli nel contesto “mondo”, caratterizzato da tre questioni su tutte: la demografia, i limiti delle risorse e la stagnazione economica (la finanziarizzazione). Tuttavia è l’ispirazione della complessità a permettere a questi diversi momenti di giungere ad una sintesi “realistica” dove il racconto dei rapporti e dei conflitti non sopprime l’identità dei protagonisti. Opposizione reale e contraddizione dialettica nei termini sollevati da Galvano della Volpe e caratterizzanti l’ultimo nobile dibattito filosofico italiano negli anni 60, suggerisce di lasciare la sostanza del libro alla sua lettura per soffermarsi invece sulla sua filosofia, cioè la ricerca e la teoria di Fagan.
Metodo e Sistema
Al termine dell’introduzione, poco meno di quattro pagine (pp 68-72) si occupano di “Metodo” ma sono una semplice avvertenza a leggere il libro senza “strappi” logici, senza ridursi alla disciplina di “moda” dando ragione della partizione del libro. Proprio perché non indugia nella premessa metodologica alla Cartesio, la scrittura del libro è piacevole e, come detto, semplice. La questione non è però solo espositiva – non appesantire di gergo e di astrazioni il testo – ma deriva dall’approccio filosofico complesso-realista dell’autore che non presuppone la teoria della conoscenza (gnoseologia) all’oggetto conosciuto. Tant’è che non indugia neanche ad illustrare il senso della teoria della complessità, di cui è studioso e sulla cui trama concettuale riposa la sintesi “realistica”, ma la traduce subito in fatto, in qualcosa in cui siamo mischiati: l’era complessa. D’altra parte, tuttavia, la complessità è generata nell’epoca della crisi dei fondamenti meccanicistici della scienza dell’inizio 900 –dall’entropia termodinamica, all’indeterminismo di Heisenberg – poi sviluppata con l’emergere di tutta quella scienza sperimentale complessa (cibernetica, quantistica, biologia) e della dialettica sia tra l’osservatore e l’osservato che dentro la materia stessa tra corpuscolo e onda, come infine nella retroazione degli effetti sulle cause nel vivente. Sullo sfondo del pensiero di Fagan c’è Aristotele, come esperienza possibile del mondo, sperimentazione che conduce al “Sistema”. La scrittura di Fagan è intelligibile, le sue parole si capiscono perché connesse in un circoscritto insieme semantico, che Hegel chiamerebbe Assoluto.
I fatti del mondo
In altri scritti, ma emerge anche qui, Fagan ha parlato di pensiero “positivo”. Niente a che vedere con positivismo: una pigrizia intellettuale che estende con mossa retorica, le scoperte sperimentali ad ambiti impropri (es. il darwinismo sociale), attraverso l’ingiustificata estensione dell’ambiguo concetto di “natura”. Gli ismi – segnalava Antonio Labriola proprio contro il positivismo – hanno il vizio antifilosofico di abbandonare la pazienza della dimostrazione logica per affrettarsi ad utilizzare il lavoro e le scoperte di altri e adattarci le proprie soluzioni. Invece il positivo di cui si parla è, come accennato, la possibilità dell’esperienza. Ma cos’è l’esperienza? Non è l’empir-ismo inglese, cioè la sperimentazione individuale della realtà con le aporie del sapere immediato (“ora” è già passato quando lo diciamo è la confutazione di Hegel) e l’incomunicabilità che conduce Hume allo scetticismo della consuetudine. Invece il sapere è proprio la consuetudine “rafforzata”, quella comunitaria di indagare e praticare il mondo, in definitiva è tutta l’umanità attuale che significa l’accumulo della sua scienza e della sua violenza/istituzioni. Questione complessa: la totalità si perde se si forza la separazione tra concetti (metodo-scienza) e fatti (sistema-istituzioni).
Ritorno a Gea
In fondo Fagan si fida del lavoro effettivo degli uomini, interessato all’ontologia, a “ciò che è”, più che alla ideo-logia deontologica di “ciò che dovrebbe essere”; in vari luoghi, infatti, sottolinea come il suo “realismo sia descrittivo e non prescrittivo”. Cosa permane (essere) ed è presupposto? Due limiti: il limite fisico della terra (Gea) e quello di comunità avversarie, il limite dell’organizzazione sociale umana, le attuali nazioni. Dati tali limiti è possibile studiare i valori. Con riferimento a Machiavelli e, con tracce di Spinoza studioso delle passioni etiche, l’autore deriva due assiomi iniziali delle relazioni tra nazioni “divide et impera” (offensivo) “il nemico del mio nemico è mio amico” et varianti (difensivo) mentre, al di sotto, come zavorra\risorsa, c’è la Terra come la sostanza spinoziana non accessibile direttamente al rapporto sensibile (in ciò anche Leopardi) ma complessamente rappresentata dalle modalità che potremmo semplificare con scarsità di acqua, energia entropica, complicazioni razziali, squilibri demografici. A fronte, della complessità di processi di longue duree della Terra geologica e storica, qui esplicitamente riferiti alla storiografia di Fernand Braudel e del gruppo de “Les Annales” sta la politica come azione semplificante e di court duree. Perciò il termine Geo-politica in Fagan non è solo una circoscrizione metodologica, una cattedra di Scienza politiche o una specializzazione pubblicistica, ma indice dell’attuale complessa dialettica tra discipline e pratiche.
Era complessa
Stiamo passando dall’era moderna all’era complessa, questo è il centro ontologico di Fagan:
- Come Grasmci, citato in apertura di Introduzione, la storiografia è definire l’epoca, i caratteri di un contesto nel quale ci si trova e per Gramsci, come per Labriola, è l’età moderna aperta dal 1789 francese. Diversamente da Labriola, è già attraversata dalla crisi del 1914-17 che dice della nuova fase di globalizzazione conflittuale che sarà il “rapido” novecento, Il secolo breve di Hobsbawm. La storicità di Gramsci, proprio laddove è circoscrizione di un periodo indebolisce il determinismo dello storicismo progressivo, la storia ridotta alle cause efficienti (la guerra è l’attentato di Sarajevo? O irredentismo?) e si occupa di comprendere come più piani (economia, politica, cultura, religione) si intreccino[i].
- Complessa, come aggettivo, definisce in positivo l’epoca presente –diversamente dal termine in negativo post-moderno- e suggerisce l’adeguamento delle categorie, del pensiero, alla realtà, come mutatis mutandis è nell’Introduzione del 1857 a Per la critica dell’economia politica[ii] di Karl Marx, esattamente nella terza parte Il metodo dell’economia politica. Di questo importante e controverso testo, definito hegeliano dalla critica e senz’altro anti-economicista interessano due aspetti. 1) la tortuosa posizione della precedenza del concetto che, in quanto sintesi, “è concreto” (p 189) e organizza, dà forma al molteplice ma entro i limiti “mai… e al di fuori dell’intuizione e della rappresentazione” (p190). In questa gnoseologia kantiana, di una mente nei limiti della sensibilità, traballa la genesi storica dei concetti (l’hegeliana nottola della minerva) che poi si risolve “In questo senso, il cammino del pensiero astratto che sale dal semplice al complesso, corrisponderebbe al processo storico reale” (p191); 2) Tale storicismo è corretto da un ulteriore conversione alla precedenza dell’ordine logico sullo storico “Così, per quanto la categoria economica più semplice possa essere esistita storicamente prima della più concreta, tuttavia, nel suo pieno sviluppo intensivo ed estensivo, essa può appartenere solo a forme sociali complesse, mentre la categoria economica più concreta era già pienamente sviluppata in una forma sociale meno evoluta.” (p 191) dove il riferimento è al denaro (come anche al lavoro), relazione-complessa, sempre esistito ma compreso (nel pensiero e nell’azione) solo quando appare la forma “complessa” del capitale che come mezzo di scambio e con il pluslavoro sperimenta tutte le funzioni delle due categorie. Infatti “la società borghese è la più complessa e sviluppata organizzazione storica della produzione” (p.193) ed è il filo logico dei nostri concetti perché “una determinata produzione decide del rango e dell’influenza di tutte le altre e i cui rapporti decidono del rango e dell’influenza di tutti gli altri” (p.195); secondo una gerarchia precisa “Il capitale è la potenza economica della società borghese che domina tutto” (p.195).
In Marx la Produzione è sinonimo di capitale, tant’è che nell’Introduzione è proprio il titolo della prima parte, cioè per seguire il suo ragionamento è il concreto (con Hegel) del capitale; ancora è il “positivo”, ciò che è posto (possiamo esperire) . Per questo occorrerà studiare –come testimonia la biografia di Marx- l’economia politica, dove la produzione sarà la logica della modernità, come accenna nella quarta parte. Giusto 160 anni dopo Fagan parte dal paradosso attuale: Lasciandoci alle spalle il mondo moderno (p.23) siamo zavorrati alla sua mentalità che “non ha dimestichezza con i concetti di sistema e di interrelazione e con l’intrico di feedback non lineari per i quali piccoli fatti locali possono generare potenti effetti non locali; non abbiamo confidenza nemmeno con i concetti di limite, di autolimitazione, di reciprocità, di dipendenza dal contesto, di responsabilità e strategia” (p 32). La frattura nasce dalle nuove vie di valorizzazione del capitale che stanno ridimensionando la produzione – ad esempio eliminando il conflitto profitto\salario- come ordinatore sociale. Aumenta perciò la necessità di compensare il disordine tendenziale con un intervento dall’alto della dottrina economica, ideologico o meglio teologico come dice Fagan. Socialmente è la fine del lavoro (non solo vivo ma anche nella forma di valorizzazione sociale del lavoro astratto di Marx); Politicamente è la fine della democrazia, sostituita dalle elites globali (ragione) + consenso emotivo dei media. Tuttavia filosoficamente si apre la possibilità di riconsiderare il moderno attraverso “…le diverse estensioni e velocità di quei processi di cambiamento che chiamiamo tempo” (p.32); definizione aristotelica perfetta.
Transizione
Siamo nella situazione di Gramsci “il vecchio muore e il nuovo non può nascere” citata in apertura. Il moderno si disgrega come sintesi, come concetto. Incrinata l’unica temporale progressiva dell’accumulazione, originaria e allargata, del capitale, quell’epoca morente, qui e ora, ci appare attraversata archeologicamente, direbbe Foucault, da ulteriori tempi storici come quelli delle comunità popolari formatesi nel medioevo e giunte poi a nazioni; quello dello Stato assolutista seicentesco, oltre che dai tempi dei diversi fenomeni naturali, diversamente entropici. Oggi queste temporalità riemergono: il libro ne segue l’intreccio nella dimensione spaziale della geopolitica indicandoli quali argomenti della transizione: la nuova dimensione del lavoro dentro una produzione limitata; le potenze illimitate di finanza e del cuore assolutista degli stati con la guerra; la demografia, le migrazioni, la scarsità quali riflesso sui popoli dei limiti della terra.
La geopolitica di Fagan offre un quadro di riferimento alla transizione, delineando un termine positivo al cammino. La descrizione della complessa realtà offre al tempo “breve” della prescrizione, della proposta politica, un ordine possibile di cose da fare. Il sistema del presente è metodo per il futuro. Su tutte sta la questione democratica, nei termini radicali o assoluti di Spinoza, della decidibilità pubblica anche della teologia. La modernità ha organizzato lo sfruttamento di tutte le forze materiali utili (compresa la macchina umana) per la liberazione dal bisogno primario e conseguentemente ha sviluppate l’adeguata forma di pensiero per dirigere tale progetto. Quel pensiero si è impigliato nella specializzazione della tecnica e nell’astrattezza del denaro non riuscendo a dar conto della novità degli intrecci dell’era nascente, cioè a sorreggere le scelte attuali da fare. La Babele di linguaggi, scaduta a gergo tecnico o chiacchiera mediatica, ha creato una densa cortina di opinioni “di rappresentazioni delle cose” tali da allontanarci dalle cose (fatti). La residua necessità di direzione e ordinamento è nelle mani del gergo dei gerghi, quello numerario del denaro, la teologia economica con il relativo apparato liturgico. L’economia politica è forma (logica) della razionalità moderna, mentre nella transizione all’epoca nuova si trova a supplire ad una funzione etica. Le sue curve algebriche delle crisi periodiche, funzioni di una produzione dominata dalla grande industria, non spiegano l’istante della vendita di azioni sul mercato telematico ma possono essere usate come simulacro per incantare la massa al consumo finanziario. C’è sempre stato un nucleo ideologico ed esoterico nell’economia politica (come la mano invisibile), ora però ne occupa tutta l’essenza. Torna dunque il problema del pensiero nuovo o meglio ritorna la necessità di una razionalità sistemica formatrice del lato sociale dell’uomo –l’essenza aristotelica- e, quindi, della possibilità democratica.
[i] Alberto Burgio Gramsci Il sistema in movimento Derive Approdi Roma 2014 Cap 5 <<Epoca storica>> e periodizzaione nei Quaderni
[ii]Kark Marx, Per la critica dell’Economia politica – Introduzione del 1857 Editori riuniti Roma 1979
[i] Pierluigi Fagan, Verso un mondo multipolare Fazi Editore Roma 2017