Tim Anderson: ‘’La sporca guerra contro la Siria’’

Washington, regime e resistenza

 

Le guerre coloniali ed imperialiste fanno un abbondante utilizzo delle menzogne ponendo il problema della egemonia informativa; chi controlla i mezzi di produzione controlla anche quelli di informazione o meglio disinformazione. I giornalisti sono dei reparti, particolarmente specializzati, degli eserciti neocoloniali che aiutano i governi ad ottenere il consenso necessario per condurre nuove crociate imperialiste. L’economista Tim Anderson, con il saggio “La sporca guerra contro la Siria ( Editore Zambon, 2016 ), prende in analisi il caso siriano. L’introduzione è chiara: ‘’Ancora oggi, molti immaginano il conflitto siriano come una <<guerra civile>>, una <<rivolta popolare>> o una sorta di scontro confessionale interno. Tali miti rappresentano, sotto molti aspetti, un cospicuo successo per le grandi potenze che hanno condotto una serie di operazioni di cambio-regime (tutte con pretesti fasulli ) nella regione mediorientale negli ultimi quindici anni’’. Anderson inizia col mettere in dubbio queste false convinzioni – rivolta popolare contro il governo baathista? Falso! – facendo una scrupolosa analisi della storia della Siria contemporanea. Il campo da lui prediletto è quello della contestualizzazione storica per poi passare alla critica dei mass media imperiali; l’analisi, nel libro di Anderson, fa carta straccia della propaganda.

 

Islamismo contro baathismo

L’imperialismo statunitense ha perseguito l’obiettivo di smembrare la Siria in diversi Stati etnici rompendo l’unità dell’Asse della Resistenza e favorendo i progetti del sion-imperialismo. Quindi, Washington e Tel Aviv mirano alla creazione di uno ‘’Stato fallimentare’’, debole ed indifeso; l’Asse della Resistenza ha mandato all’aria questo progetto configurando un conflitto asimmetrico fra una guerriglia popolare e degli eserciti artificiali composti da mercenari. L’economista Tim Anderson ha ben inquadrato, fin dalle prime pagine, la situazione e l’altissima posta in gioco:

‘’Tale asse comprende Hezbollah nel Libano meridionale e la resistenza palestinese, oltre alla Siria e all’Iran, unici Stati nella regione privi di basi militari Usa. Più recentemente, anche l’Iraq – tuttora traumatizzato dall’invasione, dai massacri e dall’occupazione occidentali – ha iniziato ad allinearsi a tale asse. Anche la Russia ha iniziato a giocare un ruolo importante quale contrappeso. La storia e i precenti recenti dimostrano che né la Russia né l’Iran nutrono ambizioni imperialistiche anche solo paragonabili a quelle di Washington e dei suoi alleati, molti dei quali ( Gran Bretagna, Francia e Turchia ) sono stati in passato signori della guerra coloniali in questa regione. Dal punto di vista dell’<<Asse della Resistenza>>, la sconfitta della guerra sporca contro la Siria permetterebbe alla regione di iniziare a serrare i ranghi contro le grandi potenze. Il successo della resistenza siriana significherebbe l’inizio per il <<Nuovo Medio Oriente>> di Washington’’ ( pag. 14 )

 

Quindi, da una parte, abbiamo un polo egemonico non imperialistico e, dall’altro lato, un progetto imperiale che vorrebbe colonizzare tre paesi: Siria, Iran e potenzialmente anche la Russia. Non è la prima volta che gli Usa cercano di dominare la regione e per questo motivo l’autore del libro ricostruisce il ruolo dell’islamismo radicale; la sovversione wahhabita rivolta contro gli Stati laici ed indipendenti. Tim Anderson risponde correttamente alla domanda sul perché la Siria si è trovata nel mirino.

Il Ba’th siriano, fin dal 1967, ha appoggiato la guerriglia antimperialista palestinese contro Israele. Nel 1980 il ‘’moderato’’ Carter chiedeva un ‘’cambiamento di regime a Damasco’’ e Zbigniew Brzezinski ‘’richiedeva con urgenza uno studio coordinato, che coinvolgesse anche i partner europei e le monarchie arabe, allo scopo di <<individuare possibili regimi alternativi>> al governo guidato da Hafez Al Assad’’ ( pag. 2  ). I Fratelli Musulmani siriani accettarono di diventare i sicari degli Usa, trovando, dopo l’imperialismo britannico, un nuovo padrone. Alla domanda ‘’Qual è il ruolo dei Fratelli Musulmani e dei Wahabiti nella destabilizzazione di questa regione?’’, Anderson risponde: ‘’I Fratelli Musulmani siriani hanno comandato e armato i gruppi ostili al governo siriano fino alla penetrazione dell’ISIS nella regione, avvenuta nel 2013. I loro principali sponsor erano Qatar, Turchia e altri. I Sauditi, tuttavia, divennero piuttosto invidiosi dell’ascendente dei Fratelli Musulmani, così preferirono finanziare e armare altri gruppi jihadisti, come l’ISIS, da loro creato in Iraq. La maggior parte delle volte i Fratelli Musulmani siriani hanno cooperato con i gruppi a vocazione internazionale di Al-Qaeda, ma altre volte (quando stanno perdendo o sono occupati in guerre territoriali) si scagliano gli uni contro gli altri’’ 1. Il saggio, La sporca guerra contro la Siria, entra nel merito dei fatti storici:

“Non fu quindi una coincidenza che i Fratelli Musulmani – da sempre il gruppo di opposizione siriano più organizzato, la cui collaborazione con potenze esterne risaliva agli anni Quaranta – dessero inizio a una serie di sanguinosi attacchi a partire da quel momento, fino a quando la loro ultima insurrezione venne schiacciata a Hama nel 1982. Tale insurrezione era stata sostenuta dagli alleati degli Stati Uniti – l’Arabia Saudita, Saddam Hussein e la Giordania ( Seale 1988: 336-337 ). L’intelligence USA, a quel tempo, osservò che <<i siriani sono dei pragmatici che non vogliono un governo dei Fratelli Musulmani>> ( DIA 1982: vii ). Tuttavia, gli analisti USA utilizzarono poco dopo la repressione dei Fratelli Musulmani a Hama per dimostrare <<l’autentica instaurazione di uno Stato totalitario in Siria>> ( Wikas 2007: vii ). Si trattava di un’utile finzione.’’ ( pag. 21 )

Dal 1980 ad oggi i Fratelli Musulmani sono stati una pedina fondamentale della politica USA ed è per questo motivo che Trump sembra non poterne fare a meno. Anderson ricostruisce il rapporto imperialismo USA/Fratelli Musulmani in modo inoppugnabile arrivando alla conclusione che fra le amministrazioni Usa: ‘’Sembra che vi sia maggiore continuità, anche se ciò non è ancora chiaro. Nel 2016 Trump ventilò la possibilità di un ritiro dalla guerra in Siria, ma il suo attacco missilistico ad aprile mostra che evidentemente intese di dover attaccare la regione per dimostrare la propria credibilità all’interno dei confini americani. Allo stesso tempo, truppe americane hanno apertamente invaso lo Stato siriano, utilizzando come loro intermediari due gruppi di estrazione curda, l’YPG e l’SDF’’. Come sempre questo economista è puntuale e – anche sulla questione curda – non sbaglia.

Dopo anni di rivolte settarie, a metà anni ’80, il presidente Hafez Al Assad ‘’aveva spezzato le reni’’ alla rivolta confessionale dei Fratelli Musulmani i quali miravano ad imporre ‘’uno Stato islamico-salafita’’. Per questa ragione i fondamentalisti sunniti, nel 1982, si sentirono di dare inizio a una sollevazione nella loro roccaforte: Hama. L’autore di questa ricerca ritiene che ‘’si trattò di una guerra civile fomentata dall’estero, e nell’esercito si verificarono alcune defezioni’’ ( pag. 48 ). Hafez al Assad spiegò come la Siria dovette fronteggiare un complotto straniero e, con voce autorevole, lo scrittore britannico Patrick Seale osservò che queste accuse ‘’non (erano) paranoiche, dal momento che furono requisite numerose armi statunitensi e che il sostegno occidentale era giunto attraverso diversi alleati degli Stati Uniti: re Hussayn di Giordania, le milizie cristiane libanesi ( i <<Guardiani dei Cedri>> fiancheggiatori degli israeliani ) e l’iracheno Saddam Hussein ( Seale 1988: 336-337 )’’ ( pag. 49 ).

Quello che è successo nel 2011 è una sorta di prolungamento della rivolta wahhabita di Hama, le uniche differenze sono rappresentate dalla militarizzazione dei media ed un maggiore appoggio delle potenze imperialistiche occidentali. Le operazioni ‘’false flags’’, rispetto al 1982, sono una novità storica. Risponde Anderson: ‘’False flag significa un atto di guerra o un crimine di cui viene deliberatamente incolpata la fazione avversa. Il conflitto siriano è pieno di atti di questo genere, come spiego nel mio libro “La sporca guerra contro la Siria”. In due capitoli documento i false flags relativi al massacro del villaggio di Houla nel maggio 2012 e l’incidente delle armi chimiche nella Ghouta orientale nell’agosto del 2013. L’obiettivo di fondo è il tentativo di nascondere la violazione della legge internazionale implicita nell’aggressione contro la Siria e di diffondere un messaggio relativo a ‘circostanze straordinarie’ che ne giustifichi la violazione della sovranità’’.

Le documentazioni raccolte nel testo sono inoppugnabili, chiunque voglia conoscere la storia del medioriente e del nazionalismo progressista arabo deve sapersi confrontare col libro che stiamo presentando. I giornalisti allineati e coperti occidentali di fronte a questa mole immensa di lavoro fanno una magra figura; i riscontri sono tanti e tutti di ottima qualità:

’Tuttavia, in una dichiarazione preliminare rilasciata in maggio, l’investigatrice dell’ONU Carla Del Ponte affermò di essere in possesso di testimonianze di vittime secondo cui i <<ribelli>> avevano utilizzato gas sarin ( BBC 2013 ). Poi, sempre in maggio, si diffuse la notizia che le forze di sicurezza turche  avevano scoperto una tanica di sarin da 2 chilogrammi in una perquisizione nelle abitazioni alcuni combattenti di Jabhat al-Nusra ( RT 2013 ). In luglio la Russia annunciò di avere le prove del fatto che i <<ribelli>> producevano da soli il proprio fas sarin ( Al Jazeera 2013 )’’ ( pag. 192 )

‘’Mentre i media occidentali ripetevano per lo più le accuse di Washington, i resoconti indipendenti continuavano a smentire tale versione. I giornalisti Dale Gavlak e Yahya Ababneh pubblicarono interviste condotte direttamente con <<medici, abitanti della Ghoutha, combattenti ribelli e loro famigliari>> nella zona della Ghoutha Orientale. Molti ritenevano che gli islamisti avessero ricevuto armi chimiche tramite il campo dell’intelligence saudita, il principe Bandar bin Sultan, e che fossero gli autori dell’attacco con i gas ( Gavlak e Ababneh 2013 ). Il padre di un ribelle disse che suo figlio gli aveva chiesto <<che armi pensavo che fossero quelle che gli era stato chiesto di trasportare>>. Suo figlio e altri dodici ribelli erano rimasti <<uccisi all’interno di un tunnel usato per conservare arimi fornite da un militante saudita noto come Abu Ayesha>> ( Gavlak e Ababneh 2013 )’’ ( pag. 194 )

“La versione statunitense ricevette quindi un altro colpo, proprio dall’interno degli Stati Uniti. Il veterano giornalista nordamericano Seymour Hersh intervistò agenti dell’intelligence USA, giungendo alla conclusione che le accuse di Washington riguardo agli eventi erano state inventate. Al-Nusra <<sarebbe dovuta essere tra i sospettati>>, affermò, <<ma l’amministrazione ( USA ) ha selezionato una per una le informazioni dell’intelligence in modo da giustificare un attacco contro Assad>> ( Hersh 2013 )’’ ( pag. 196 )

“Un successivo rapporto presentato al Consiglio per i Diritti Umani ( febbraio 2014 ) osservò che gli agenti chimici utilizzati nell’attacco di Khan al-Assal <<recavano gli stessi marcatori specifici di quelli usati ad al-Ghouta>>; tuttavia, gli estensori non erano stati in grado di stabilire chi fossero gli autori materiali ( HRC 2014: 19 )’’ ( pag. 197 ).

I ricercatori indipendenti si sono rivelati di gran lunga migliori rispetto ai giornalisti di regime; le loro prove sono ‘’schiaccianti e indiscutibili’’. Il monopolio delle bufale è tutto del governo statunitense, ma, del resto, cosa possiamo aspettarci da chi prende per buone le menzogne dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani un centro di terrorismo mediatico ‘‘costituito da un solo uomo stabilitosi in Inghilterra – un individuo legato ai Fratelli Musulmani siriani –, chiamato Rami Abdul Rahman. Si è accreditato con successo come fonte-chiave di ‘informazione’ per i media occidentali in relazione a questa guerra. Appoggia i jihadisti e si dimostra con tutta evidenza fazioso, ma sembra che ciò non infastidisca più di tanto i media’’. I mass media si sono rivelati un’arma di guerra ed il Capitolo 7, intitolato Media embedded, <<cani da guardia>> embedded, ci spiega, perfettamente, i motivi. L’argomentazione di Anderson è originale, quindi è bene seguirla con un breve paragrafo a parte.

 

Giornalisti venduti: cani da guardia dell’imperialismo USA

Tim Anderson smaschera il ruolo delle false Organizzazioni non governative come Avaaz, Human Right Watch e Amnesty International: ‘’Questi gruppi non sono strettamente governativi, ciò nonostante penso che vadano piuttosto considerati alla stregua di società di pubbliche relazioni. Non possono essere ritenute vere e proprie ONG (NGO), che si sottopongono a qualsiasi controllo comunitario e mantengono la propria indipendenza dai poteri forti. Sotto l’amministrazione Obama non si riscontravano differenze tra la Casa Bianca e Avaaz/Human Right Watch/Amnesty International in nessuna particolare questione legata alla guerra. Infatti, sia i funzionari di Human Right Watch che quelli di Amnesty International lavoravano intercambiabilmente con il Dipartimento di Stato americano. Vedremo se qualche differenza emergerà con la presidenza Trump’’. L’informazione di regime è una vera e propria propaganda imperiale che non ha nulla di scientifico e il più delle volte offende, per la sua assurdità, l’intelligenza dei lettori: ‘’Vi sono molti, molti casi inerenti la realizzazione di propaganda di guerra ad opera di al Jazeera, della BBC, dell’inglese Guardian e altri. Non mi riferisco solo alla distorsione delle notizie quanto al loro ruolo attivo nella produzione di prove’’. Il nostro studioso presenta moltissime documentazioni, soprattutto in lingua inglese, ed ha gioco facile nell’umiliare gli ‘’scrittori salariati’’ europei. Dimostra – solo per fare un esempio – lo stretto rapporto fra l’ISIS e l’intelligence statunitense ed israeliana, mettendo in imbarazzo i politicanti dei paesi NATO. Domanda: non è casuale che questo testo non verrà discusso nelle università dell’Impero?

Durante la guerra in Irak i giornalisti vennero incorporati fra le truppe di invasione statunitense. Il libro dell’economista australiano mette a fuoco la militarizzazione del giornalismo che ha trasformato i ‘’giornalisti professionisti’’ in veri e propri fabbricatori di bufale. I reporter danno per buone le balle delle ONG; i presunti analisti non fanno altro che giustificare le posizioni politiche dei governi occidentali. Vale la pena seguire il metodo di Anderson e leggere qualche altra pagina del suo eccellente libro:

“Durante l’invasione dell’Iraq nel 2003 il concetto di <<giornalist embedded>> divenne ben noto, con l’ <<incorporazione>> dei giornalisti occidentali fra le truppe di invasione statunitense. Questi giornalisti non erano incorporati solo fisicamente: ricevevano comunicati sulle operazioni, erano oggetto di misure di sicurezza e controlli, dovevano attenersi a precise norme di comportamento e avevano un contatto diretto e quotidiano con le forze imperiali. Queste esperienze li aiutavano a dare una dimensione umana ai problemi e alle sofferenze degli invasori ( Wells 2003 )’’ ( pag. 129 ).

 

Quali sono le conseguenze politiche di tutto questo:

 

  • I giornalisti tendono – progressivamente – nel loro racconto a demonizzare gli aggrediti non avendo con loro ( anche a causa dei rigidi controlli ) nessun contatto diretto.
  • Il pubblico occidentale si vede paracadutare la visione del mondo americanocentrica – oppure israelocentrica – che non è null’altro  se non la rappresentazione ‘’plebea’’ dell’ideologia neoconservatrice sullo scontro di civiltà.
  • La propaganda imperiale (ri)porta il conflitto, in forme differenti, nel cuore dell’occidente capitalistico ed imperialista a discapito – come sempre – del mondo del lavoro.

 

Anderson si pone una domanda molto importante che resterà senza risposta, ancora, per molto tempo:

 

‘’Che fine ha fatto la diversità? L’era di Internet aveva aperto canali di informazione nuovi e potenzialmente diversificati; ma le grandi potenze ne erano consapevoli. I monopoli mediatici aumentarono il proprio potere attraverso le loro <<interconnessioni dinamiche>> con gli altri gruppi di investitori, fino a trasformarsi in una <<coalizione di potere su scala globale>> ( Bagdikian 2004: 136 )’’ ( pag. 130 ).

 

L’imperialismo Usa è riuscito a creare ‘’monopoli super-mediatici’’ che dominano la terra ed anche lo spazio, per sconfiggerlo dobbiamo trovare il modo per mettere in discussione ed abbattere la sua egemonia informativa, presupposto della egemonia ideologica e politica statunitense. La preoccupazione di Tim Anderson è la stessa di studiosi come Julian Assange ( nel campo dell’informatica ), Thierry Meyssan e James Petras: l’informazione deve diventare multipolare; gli Usa devono perdere il loro antidemocratico primato.

Solo in questo modo, l’indipendenza nazionale e l’emancipazione sociale ritorneranno le rivendicazioni prioritarie delle forze di sinistra ed antimperialistiche. Tutto lo studio di Anderson ha questa consapevolezza: la macchina da guerra Usa poggia sulla propaganda; il loro racconto – il più delle volte assurdo e privo di fondamenta – deve essere smantellato bufala dopo bufala. La guerra, oggigiorno, fa dei giornalisti degli attori politicamente schierati (e contrapposti), una novità assoluta che si andrà accentuando durante i prossimi conflitti che purtroppo non credo si possano evitare.

http://eastwest.eu/it/cultura/libri/l-altro-volto-della-guerra-in-siria

 

 

1 commento per “Tim Anderson: ‘’La sporca guerra contro la Siria’’

  1. armando
    18 Maggio 2017 at 13:57

    Ottimo articolo. Siria, Libia, Iraq, Afghanistan, Yugoslavia, come l’Ucraina. La guerra di propaganda serve a colonizzare le menti, creare consenso e preparare la guerra con le armi. In ciò la responsabilità dei media mainstream sedicenti indipendenti è massima. E’ vero che la carta stampata non gode di grande credibilità presso il pubblico, e tanto meno ne gode la televisione, tuttavia lo schieramento è compatto e potentissimo. Le elites se ne rendono conto, ma applicano l’dea di Goebbels secondo il quale dalle menzogne ripetute all’infinito qualcosa resterà comunque. Ed è difficile, per un pubblico che si “informa” con la TV e i titoli dei giornali, riuscire a mettere davvero in dubbio l’enorme quantità di bugie, omissioni, silenzi, verità parziali, che ogni giorno gli viene propinata. Tanto più che a questa serie infinita di distorsioni partecipa anche la stampa che dovrebbe essere antisitema, come ad esempio ” Il fatto quotidiano”. Si vedano, ad esempio, i titoli relativi al recente attentato di San Pietroburgo e, pochi giorni dopo, quelli riservati all’attacco chimico in Siria. Rimane Internet, ma anche qui è difficile risalire all’attendibilità delle fonti. Tuttavia qualche sito a cui attingere se non altro per avere un altro punto di vista, esiste.
    Proporrei allora che su questo giornale online come su ogni altro dove fosse possibile, individuare quei siti di cui sopra, e spiegando bene il senso dell’operazione senza farli diventare il vangelo, farli comparire subito dopo la testata, in modo che chiunque la visiti abbia immediatamente conoscenza che può rivolgersi anche ad altre fonti rispetto a quelle ufficiali. Non è molto, lo so, ma è un’indicazione per riuscire, attraverso il confronto, a formarsi uno straccio di idea propria. Mi sembra l’unica cosa da farsi approfittando dell’opportunità che offre la rete, fin quando sarà possibile.

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