La miseria era tale che c’era chi, durante l’intervallo del lavoro nei campi, non avendo un tozzo di pane, per la vergogna si allontanava furtivo dagli altri con un fazzoletto in cui era nascosta una pietra per camuffare la colazione: la pietra della fame. Antonio Castronovi, una vita nella Cgil, è nato nella stessa città della Murgia di Angelo Antonicelli, il protagonista de Il Sovversivo, Memorie di un contadino di Massafra, eppure non conosceva né riteneva possibile che nei primi decenni del ‘900 lì potessero essere accaduti i fatti narrati in quel libro. Ho conosciuto la Massafra clericale e democristiana del dopoguerra, racconta, non avrei mai potuto immaginare un’altra storia, in cui i braccianti poveri della Lega Proletaria tennero in scacco per quasi dieci anni il potere del re, il fascismo politico e militare, gli agrari e i latifondisti. Com’è stato possibile che un bracciante analfabeta , “politica zero”, come lui stesso si definiva in gioventù, a 35 anni, sposato con due figli piccoli, tornato dal fronte della prima guerra mondiale, inventasse un movimento di popolo e diventasse protagonista di una così grande storia collettiva?
Contadini al lavoro. Renato Guttuso
di Antonio Castronovi
La lettura di questo memoriale, Il Sovversivo, Memorie di un contadino di Massafra (Edizioni LiberEtà) è stata per me fonte di continue sorprese. Sono un uomo del Sud e sono nato nel paese di Angelo Antonicelli, il protagonista di questo memoriale, anche se sono cittadino di Roma da quasi quarant’anni.
Non sapevo e non ritenevo possibile che nei primi decenni del ‘900 a Massafra e nel Sud potessero essere accaduti i fatti narrati in questo libro di memorie. Ho conosciuto la Massafra clericale e democristiana del dopoguerra. Non avrei mai potuto immaginare l’esistenza di un’altra storia, in cui protagonisti della vita sociale e politica furono i braccianti poveri della Lega Proletaria di Angelo Antonicelli, che tenne in scacco per quasi un decennio il potere regio con il suo apparato repressivo, il fascismo politico e militare, gli agrari e i latifondisti.
L’immagine riprodotta sulla copertina del memoriale di Antonicelli
Questa lettura ha rappresentato per me la ri-scoperta della mia città natale e di un mezzogiorno diverso dai luoghi comuni sulla passività e sul fatalismo del popolo meridionale, della sua presunta subalternità al potere, ai latifondisti e al fascismo. Grande è stata la mia sorpresa nello scoprire la forza della resistenza popolare al fascismo attraverso una permanente mobilitazione popolare piena di episodi incredibili, fino alla straordinaria vittoria elettorale nelle elezioni politiche del 1924, eludendo l’apparato di controllo e di repressione delle squadre fasciste. Antonicelli era temuto dalle autorità repressive, dai carabinieri, dai fascisti, che in realtà temevano il suo rapporto con il popolo e avevano paura della sua reazione. Nel libro è raccontato, tra gli altri, l’episodio di un suo arresto avvenuto con la mobilitazione di 30 carabinieri (!!!!!…) che lo scortarono da casa sua in caserma circondato e ammanettato, per paura che il suo popolo lo liberasse.
Come è stato possibile che un bracciante analfabeta , “politica zero” come lui stesso si definiva in gioventù, all’età di 35 anni, sposato con due figli piccoli, al ritorno dal fronte della prima guerra mondiale, si mette alla testa di un movimento di popolo e diventa protagonista di una grande storia collettiva?
Lui racconta che la scintilla che lo spinse verso la rivolta contro lo stato di cose esistenti furono le sue esperienze di militare, prima ad Alfonsine in Romagna, e poi sul fronte delle guerra di trincea dove vide la differenza tra i soldati di leva mandati al macello per quattro soldi di paga e il diverso trattamento riservato agli ufficiali. Nelle sue memorie ci sono due episodi che lo segnano. Il primo fu da militare, quando veniva chiamato a reprimere gli scioperi dei braccianti e dei contadini ad Alfonsine. Rimase impressionato dalla capacità di mobilitazione dei braccianti e dei contadini di quelle zone e gli rimase impressa nella mente una frase incisa su una lapide nella piazza della cittadina dedicata ai martiri dei moti repubblicani del 1848: “ Qui in questa piazza nel 1848 fu piantato l’albero della libertà”. Frase che lui allora non capì fino in fondo ma che non dimenticò mai.
Il secondo fu quando, sul fronte della prima guerra mondiale, giurò di fronte ad un suo compagno che, al ritorno dalla guerra, si sarebbe impegnato per trasformare politicamente la sua città. Come in effetti fece.
Dove trovò la forza per questa impresa ? Come convinse migliaia di braccianti poveri a seguirlo? Innanzitutto con la fede. Lui credeva che fosse possibile cambiare il mondo e non ne dubitò mai..!! E trasmise questa certezza al suo popolo. E poi con la cultura. Lui, analfabeta, che imparò a leggere e a scrivere da autodidatta sotto le armi, predicava sempre ai più giovani dell’importanza della cultura e dell’istruzione. Divenne così l’intellettuale del popolo, espressione del nuovo “intellettuale organico” teorizzato più tardi da Gramsci nei suoi Quaderni, capace di trasmettere con energia e forza i valori delle prime idee socialiste ad un popolo di analfabeti e sfruttati.
E fu anche un grande sindacalista. Impose agli agrari un contratto collettivo che triplicò la paga oraria dei braccianti da 5/6 lire a 16/18 lire..!
E come non ricordare la figura della compagna della sua vita, Maria Scala, donna meravigliosa e straordinaria di cui ci parla il secondo memoriale, quello del figlio Antonio, che poi è la vera eroina di questa storia drammatica, che mi ha profondamente commosso? Per amore suo lottò con la sua famiglia che non avrebbe voluto quel matrimonio, che gli fu sempre rimproverato. Seppe fronteggiare nella solitudine e con grande dignità, dopo l’arresto di Angelo, la grave difficoltà economica nel dover crescere e sfamare cinque figli piccoli. Memorabile l’episodio in cui si reca dal Podestà del paese con i suoi cinque figli per chiedere un suo intervento per liberare il marito innocente dalla prigione. Terribile invece il tentativo di linciaggio morale perpetrato dai fascisti e dai carabinieri per macchiare la sua onorabilità di donna e di moglie al solo scopo di colpire il marito in galera nei suoi affetti più cari.
Perché un storia come questa, di un contadino di Massafra, di un piccolo paese della Puglia di un secolo fa, dovrebbe interessare ancora oggi?
Ho cercato di darmi una risposta. La storia di Angelo Antonicelli è in realtà una storia senza tempo, non di un solo individuo, ma collettiva, che si inscrive nella storia millenaria delle classi subalterne. E come tale rimossa nella memoria collettiva dalla cultura dominante. È la storia dei tanti, uomini e donne, eroi spesso sconosciuti o dimenticati, che hanno lottato per grandi ideali e che per essi si sono sacrificati fino alla morte per il bene comune; una storia di “sconfitti” emarginata dalle grandi narrazioni dei “vincitori”.
Angelo fa parte dell’ “Altra Storia”, diversa da quella dei prepotenti e dei furbi, dei Gattopardi, dei trasformisti di ogni risma, dell’Italia delle Mafie, della corruzione dei costumi e dell’etica pubblica, dell’Italia fascista e berlusconizzata. Si inscrive nella storia dell’Italia sovversiva e ribelle dei Vespri siciliani, della rivolta dei Ciompi e dei Masaniello; dei martiri repubblicani e mazziniani; dei combattenti della gloriosa Repubblica romana; dell’Italia di Di Vittorio, di Rocco Scotellaro, di Don Milani e Pasolini; dei giovani combattenti della Resistenza antifascista; delle lotte operaie degli anni ’60 e del sogno infranto di una nuova democrazia del lavoro; dell’Italia degli onesti e degli incorrotti, degli irriducibili alle lusinghe del potere, di quelli che non si arrendono e non si fanno ricattare e intimidire.
Angelo Antonicelli fa parte di quest’ “Altra Italia” , dell’Italia migliore che ci fa sentire orgogliosi di esserne parte e che sogna ancora un futuro dignitoso e civile per il nostro paese. Cosa ci tramanda a noi contemporanei questa vicenda politica ed umana ? Cosa ci può offrire di esempio per l’oggi?
Angelo Antonicelli, con la sua Lega Proletaria, organizzò i precari dell’epoca, i braccianti giornalieri poveri e “miserabili”, e fece di loro un popolo. E si trattava di precari molto diversi da quelli di oggi, di una condizione materiale infinitamente peggiore. Il contesto storico e sociale dentro il quale si svolgono le vicende narrate nei due memoriali è caratterizzato infatti da una condizione di estrema miseria e povertà delle classi contadine e bracciantili a Massafra e nelle Puglie: salari da fame, precarietà, nessuna certezza nelle remunerazioni del lavoro, condizioni di vita e igieniche inimmaginabili per noi. La miseria era tale che c’era chi, durante l’intervallo del lavoro nei campi, non avendo un tozzo di pane da mangiare, per la vergogna si allontanava furtivo dagli altri con un fazzoletto in cui era nascosta una pietra per camuffare la colazione: la pietra della fame.
Antonicelli fece di questo esercito di poveri e disperati un soggetto politico collettivo che cambiò i rapporti di forza e di potere nella società, portando alla vittoria un sindaco socialista nelle elezioni del 1920, fino all’avvento e al consolidamento del fascismo, che disperse poi la forza del movimento con il suo arresto e la sua condanna. Qui sta forse la differenza fondamentale con l’oggi: i braccianti di Antonicelli si fecero “popolo”, i precari di oggi rimangono “individui”… Lui il mondo ha provato a cambiarlo davvero. Non c’è riuscito.. ma non si è mai arreso.
Fonte: http://comune-info.net/2017/04/la-rivolta-della-pietra-della-fame/