Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Quanti denti ha il pescecane
e a ciascun li fa veder,
e Macheath, lui ci ha il coltello
ma chi mai lo può saper?
Sbrana un uomo il pescecane
ed il sangue si vedrà.
Mackie ha un guanto sulla mano,
nessun segno resterà.
(B. Brecht: L’Opera da tre soldi)
Indubbiamente, ognuno può vedere benissimo i denti sulla faccia di quelli che, secondo diciture ormai stereotipate nell’Occidente, vengono definiti “Movimenti populisti di destra” (o estranei agli schieramenti tradizionali).
Ma che dire di chi, invece, non esibendo atteggiamenti “populisti” e mostrandosi invece ligio alle dinamiche democratiche, con tutt’altri modi ti rassicura somministrandoti dichiarazioni di buoni intendimenti che mettono fra le priorità la solidarietà e l’accoglienza verso chi è più debole, più povero, più indifeso, senza discriminazioni di razza, sesso, età, religione, convincimenti politici?
Chi, come me, crede che il cammino verso una società migliore passi attraverso la lotta alle grandi disparità economiche, sociali e culturali, alle discriminazioni, alle impari opportunità, alle prevaricazioni, al razzismo, al sessismo e ai muri, e abbia conservato una certa (ingenua?) fiducia nel fatto che quanto proclamano le forze politiche (e anche gli altri gruppi di potere) corrisponda effettivamente ai propri obbiettivi, probabilmente da un punto di vista politico si orienterà verso partiti o movimenti che, secondo le impostazioni alle quali il Novecento ha dato un forte imprinting, possiamo definire “di sinistra”.
Così anch’io, per tanto tempo, ho dato il mio appoggio e il mio voto a chi dice di voler far tante belle cose con le quali sono pienamente d’accordo. Tra queste belle cose c’è anche il contrasto alla violenza contro le donne e alle tante situazioni nel lavoro, nella famiglia, nella vita, in cui le donne vengono a trovarsi in una posizione di svantaggio rispetto agli uomini.
Ma la realtà sta davvero in quello che questi nobili paladini della parità ci raccontano?
Ad aprirmi gli occhi e disilludermi pesantemente è stato un evento per me e mia figlia fortemente traumatico, ma estremamente diffuso: sono un padre separato, reduce da una separazione conflittuale. Come centinaia di migliaia di altri uomini con un vissuto simile al mio, ho dovuto subire, da parte di una prassi istituzionale molto appiattita, nella propria matrice culturale, sulla narrazione (corrispondente a quella femminista) che oggi ha praticamente monopolizzato i media in materia di relazione fra i sessi, famiglia, violenza domestica, ecc., discriminazioni sessiste (misandriche) veramente spudorate, inique, violente, che sono andate ben al di là di ogni ragionevole inclinazione culturale a favorire la madre in materia di riconoscimento di ruoli e funzioni e distribuzione di diritti, doveri e sostanze dopo la separazione.
Non mi soffermerò su questi dettagli: non è qui la sede e ci vorrebbe un lungo romanzo autobiografico.
Romanzo che, per la verità, ho già scritto e (con molte difficoltà) pubblicato, spinto dalla disperazione e dallo sbigottimento per l’inaspettato impatto con un ambiente (la cui ragione di esistere dovrebbe essere proprio la garanzia della giustizia e del rispetto delle regole) nel quale scopri che il buon senso, la giustizia, le disposizioni della legge, il rispetto per le persone, il “supremo interesse dei minori” diventano carta straccia, anzi carta igienica, in favore di un’impostazione astratta e preconcetta. Sentii dunque il bisogno di sfogarmi e di far sapere quello che chi non ha vissuto situazioni di questo tipo neanche si immagina che possa succedere in un Paese civile.
E qui devo segnalare un mio ulteriore sbigottimento: nei miei tentativi di promuovere il mio libro autobiografico attraverso presentazioni faticai molto a trovare interlocutori disponibili. I pochissimi spazi li trovai presso organizzazioni politicamente orientate decisamente a destra: organizzazioni nazionaliste, dichiaratamente ostili alla presenza massiccia di stranieri e all’osmosi profonda con culture lontane, all’omosessualità, alle famiglie alternative, all’aborto, ecc.: persone che non si fanno scrupoli a mostrare i denti.
Mi ha lasciato allibito la totale chiusura, la totale sordità, la totale indisponibilità a degnarsi di replicare agli argomenti e alle prove da me esibiti, il totale rifiuto a concedermi spazio da parte di quelle organizzazioni che fino a quel momento avevo sempre percepito più vicine alla mia cultura e alla mia sensibilità. Questa frustrazione ho poi dovuto constatare essere ben presente anche in tante altre persone che hanno subito un vissuto paragonabile al mio e che via via ho iniziato a conoscere e frequentare, una volta caduto nella mia nuova condizione esistenziale. Mi è capitato di conoscere anche alcune ragazze che hanno pubblicato studi interessanti e ben documentati che vanno in direzione opposta a quelli main stream: la violenza domestica subita dagli uomini. Ebbene, vedo che anche queste ragazze, ricercatrici scientifiche niente affatto di parte, per la divulgazione dei propri lavori scientifici riescono a trovare ospitalità soltanto presso circoli di padri separati (categoria che ha dovuto subire tanta, tanta violenza sia da parte delle ex che delle istituzioni) o altri contesti similmente reietti.
Soprattutto nelle città tradizionalmente “di sinistra” (dove le questioni di violenza di genere sono spesso pesantemente influenzate dalla presenza di importanti centri antiviolenza) è del tutto impossibile trovare spazi fisici o mediatici in cui raccontare storie di violenza e ingiustizia discordi da quelle prevalenti nel main stream: è in atto un vero e proprio ostracismo. Consegue che chi non è disposto a ritirarsi nel silenzio sarà forzatamente incanalato verso ambienti ideologici e culturali che potrebbero non essere i suoi. Chi è portatore di verità scomode deve subire spesso accuse di fascismo, maschilismo, e, se donna, di essere traditrice del sesso di appartenenza, di intelligenza col “nemico” e tante altre brutte cose.
Se apro le pagine internet dei siti gestiti dai centri antiviolenza, che, ovviamente, sono sempre associazioni in difesa della donna vittima contro l’uomo carnefice, trovo quasi sempre una pagina che definisce la violenza domestica in base a varie tipologie di sintomi, al fine di fornire qualche strumento alle potenziali vittime affinché si rendano conto che stanno subendo violenza e si rivolgano quindi al centro per ottenere aiuto. C’è qualche sfumatura di differenza, ma quello che c’è scritto nei vari siti si somiglia molto. Vi si parla di violenza fisica (spintonare, tirare calci e pugni, tirare i capelli, minacciare col coltello, rompere o danneggiare oggetti nella vicinanza della vittima…), violenza psicologica (minacciare, insultare, denigrare, umiliare, attaccare l’identità e l’autostima, ostacolare le relazioni con gli altri, ricattare…), violenza economica (costringere a contrarre debiti per far fronte alle proprie inadempienze economiche, intraprendere iniziative economiche che si ripercuotono sull’altro contro l’altrui volontà), violenza sessuale.
Praticamente tutte le cose elencate in quelle pagine internet io le ho subite quasi quotidianamente nel corso di buona parte della mia vita coniugale (e so bene di non essere affatto il solo uomo). Ma tra gli illuminati riformisti politicamente corretti dell’establishment (esattamente come fra gli operatori della giustizia familiare) nessuno prende in considerazione la violenza che l’uomo subisce; conseguentemente nessuno, fra coloro che hanno il potere di decidere sulla pelle degli altri, si sognerebbe di prendere in considerazione la violenza femminile, anche se comprovata ed evidente, come elemento determinante per le decisioni da disporre. Eppure basta rifletterci un attimo su: un uomo (soprattutto se padre), se non vive su un altro pianeta, sa perfettamente che, qualora decidesse di separarsi dalla compagna aguzzina, molto probabilmente perderà i figli (le statistiche ci dicono che un terzo di padri separati finisce col perdere completamente i contatti con loro; gli altri, se reduci da situazioni conflittuali, vedono comunque la propria relazione paterna ridotta a una larva), la casa e i soldi. Terrorizzati da questa prospettiva, molti uomini si rassegnano a subire angherie, violenze e umiliazioni indegne. Chi, nella propria cerchia di accoppiate conoscenze maschili non saprebbe individuare nessun uomo che dia l’impressione di essere “incastrato”, infelicemente sottomesso e, nel contempo, spaventato dalle conseguenze di una possibile separazione alzi la mano.
Naturalmente, non mi sogno neppure di negare le tante violenze, oppressioni, discriminazioni, i tanti pregiudizi negativi e svantaggi di ogni tipo che il sesso femminile subisce spesso oggi come ieri.
Ma quello che trovo particolarmente esasperante (come, credo, milioni di altri uomini) da quando le mie sventure personali mi hanno portato ad avere il nervo scoperto e quindi una particolare sensibilità verso certi aspetti della realtà e di come ti viene raccontata, è dover constatare quanto la violenza, le ingiustizie, le discriminazioni, gli svantaggi in genere subiti chi appartiene al sesso maschile vengano rimossi tanto dai media quanto dalle prassi istituzionali, rendendo impraticabile una sana riflessione su queste forme di oppressione. La loro esistenza viene letteralmente cancellata dalle coscienze, come se denunciare l’esistenza di forme di violenza (in misura statisticamente significativa) subita dagli uomini da parte delle donne significasse negare la violenza subita dalle donne.
Così, leggendo le ricerche delle ragazze suddette ed altri studi internazionali pressoché sconosciuti ai più (l’ISTAT, che pubblica ripetute ricerche sulla violenza subita dalle donne si guarda bene dal condurre indagini di questo tipo), vengo a scoprire che, secondo queste statistiche, le donne sono violente tanto quanto gli uomini, anche se con modalità differenti, e che tanti uomini sono vittime. Il mio vissuto mi fa apparire credibili questi dati. Divento pertanto diffidente verso il blabla che mi raccontano giornali e tg: quando una notizia mi lascia perplesso, se riesco a trovare il tempo, faccio un po’ di ricerca per verificare.
Vengo così a scoprire che i dati spesso diffusi, anche dalle massime cariche istituzionali, sulla violenza sulle donne, sono molto esagerati o interpretati faziosamente per amplificare l’allarmismo. Se non avete nulla di meglio da fare, andate a leggervi una ad una le vicende legate ai casi riportati di “femminicidio” e vi accorgerete, inequivocabilmente, che un’alta percentuale non ha proprio nulla a che vedere con la violenza di genere, nonostante che per tale venga spacciata. Quei casi sono stati semplicemente infilati lì per far numero.
Vedo che a supporto della vulgata sulla condizione perennemente svantaggiata delle donne si introducono tante bugie macroscopiche, che vengono utilizzate finché reggono, poi vengono abbandonate per essere sostituite con altre bugie meno inflazionate.
Così per anni e anni ci siamo sentiti spacciare per verità accertata che anche qui da noi la violenza maschile è la prima causa di morte delle donne, “…più del cancro, dell’inquinamento e degli incidenti stradali…”: una bestialità assurda che non è da imputarsi a qualche isolata fanatica nazifemminista, bensì a tutti i principali organi di informazione.
http://www.corriere.it/cronache/speciali/2012/la-strage-delle-donne/
Sparita quella obtorto collo, si è poi passati a stigmatizzare la pratica tipicamente “maschile” di sfregiare le donne con l’acido. Finché è diventato impossibile continuare ad ignorare che anche le donne ne fanno uso tanto e quanto. Tuttavia, continua ad essere molto evidente lo sbilanciamento nell’informazione e nel comportamento delle istituzioni, del quale un esempio di confronto fra due casi simili di persone sfregiate dall’acido, quello di William Pezzullo e di Lucia Annibali, è davvero emblematico.
La storia che adesso va per la maggiore è che le donne, a parità di lavoro, guadagnano meno degli uomini. Anche questa non mi convince per niente, urta decisamente contro quello che mi dicono la mia intelligenza e la mia esperienza di persona decisamente non più giovane, ha tutta l’aria di essere stata confezionata con la solita faziosa grossolanità, e mi aspetto che presto studi un po’ più seri sgomberino il campo anche da questa diceria, che, a quel punto, sarà fatalmente sostituita da una nuova.
Tutto questo in un universo di informazioni dal quale sono sparite completamente, ad esempio, le indagini sulle morti sul lavoro: per averne un’idea chiara occorre perdere tempo in ricerche accurate. Così vieni a sapere che sono circa 6-8 volte più numerose delle vittime del cosiddetto “femminicidio” del quale sentiamo parlare in continuazione con atteggiamento da ecatombe. Perché questo aspetto è sparito? Perché nessuno fornisce più con chiarezza dati complessivi? Non sarà perché riguarda per il 95% gli uomini? Non sarà perché qualcuno trova sconveniente riportare situazioni che evidenziano privilegi femminili e drammi maschili?
Molti altri privilegi, sempre nel mondo del lavoro, sono assegnati alle donne non perché madri o doppiolavoriste, ma semplicemente perché donne. La mia collega single, che nella vita non ha fatto altro che occuparsi di se stessa e della propria carriera, potrà scegliere di andare in pensione con 5 anni di anticipo, opzione negata a me, che ho rinunciato alla carriera per occuparmi di mia figlia e permettere a mia moglie di buttarsi anima e corpo sul lavoro (situazione che, peraltro, non mi ha risparmiato dall’essere sbattuto fuori di casa, massacrato economicamente e ostacolato istituzionalmente in mille modi nella relazione con mia figlia, per la quale al padre, sempre presente fino al momento della separazione è stata poi preferita la cura di una sfilata di baby-sitter). Questa e varie altre opportunità sono riservate, chissà perché, al gentil sesso.
A livello di amministrazione locale, chi ha fatto di più, in Italia, per soccorrere in qualche modo la disperazione di tanti padri separati con alloggi e assistenza è stata la regione Lombardia, per attivo interesse della Lega Nord. Le città “rosse”, specialmente emiliane, sono invece le più sorde a queste iniziative. Sono anche le più decise oppositrici all’adozione del Registro della Bigenitorialità (un protocollo che vorrebbe disporre che gli istituti scolastici e sanitari provvedessero a fornire le informazioni e comunicazioni varie inerenti i figli di coppie separate al duplice indirizzo di entrambi i genitori), spesso con argomentazioni pretestuose e risibili.
Ma perché siamo dovuti arrivare a questo? Perché chi rappresenta il nostro mondo, specialmente se di sinistra, ha totalmente deciso di rinunciare a un’attenta analisi dei fatti e ha preferito, almeno in materia di questioni di genere e di sesso, rinunciare a voler capire chi sia l’oppressore e chi la vittima, chi sia il privilegiato e chi lo svantaggiato, per adagiarsi su una visione preconcetta e stereotipata? Dunque le cose lascerebbero pensare che chi dice di voler difendere i deboli, gli oppressi e gli svantaggiati in realtà non voglia affatto questo; userebbe invece queste impostazioni demagogiche abbinandole a un’etichettatura di proprio comodo nel definire chi siano i deboli, gli oppressi e gli svantaggiati, per distribuire bastonate e carote secondo i propri comodi. E noi maschietti ne usciamo sistematicamente mazziati e cornuti: possiamo tranquillamente subire palesi ingiustizie, violenze e prepotenze atroci, ma guai se osiamo dire la verità e denunciare l’ingiustizia: diventiamo subito dei fascisti maschilisti violenti. Istituzionalmente, in materia di violenza domestica, l’uomo è preso in considerazione soltanto come maltrattante, mai come maltrattato.
Francamente, tutto questo mi ricorda certe dinamiche messe in atto contro altri gruppi sociali nella Germania degli anni ’30 del secolo scorso.
Sarà un caso che quel confronto fra lo squalo che mostra i denti e chi nasconde il coltello e porta i guanti per non mostrare le mani sporche di sangue sia un parto della Repubblica di Weimar?
Povera sinistra.