L’elite europea sembra intenzionata a rattoppare l’architettura dell’Unione nel mese di Marzo a Roma con un documento, sottoscritto dalle parti, che contempli un’Unione a due velocità, una per i Paesi forti che possono sostenere una politica economica e monetaria di rigore ed un’altra che comprenda i Paesi che hanno difficoltà nel soggiacere ai diktat dei trattati e degli accordi europei.
Merkel, Junker, Draghi e soci sono consapevoli che il progetto euro sta correndo il rischio di una crisi irreversibile e tentano di reagire in contropiede. Non sembra che ci siano spazi per riagganciare la Gran Bretagna e per ostacolare l’uscita di una Grecia devastata dalla Troika, mentre appaiono nuvole minacciose sulle elezioni in Francia e in Olanda. E del resto l’avvento al soglio presidenziale degli States di Donald Trump costituisce un altro evento negativo per i grandi Papaveri d’Europa. Trump, dopo aver affossato il TTIP tanto amato dai leader tedeschi e aver fatto capire che preferirà ai meccanismi della globalizzazione classica rapporti di tipo bilaterale, ha denunciato l’uso manipolatorio del marco mascherato da euro che, oltre a devastare le economie dei propri partners (alludendo presumibilmente all’area mediterranea), danneggia, come fanno già i Cinesi, l’economia americana, con una moneta ampiamente sottovalutata. E’ evidente che si auspichi chiaramente un’Europa costituita da stati sovrani che esprime un’esigenza che mi pare sia espressione di una larga minoranza delle popolazioni mediterranee.
Ma c’è di più.Trump ha compreso che gli States non possono spendere vagonate di dollari come prima. Il debito americano che è sempre stato una voragine resa possibile dal dollaro, come valuta di riserva, ora è diventato insostenibile se non si vuole con la carta straccia americana creare un’inflazione incontrollabile.
Peciò tasse sulle merci provenienti da delocalizzazioni, tasse al 45% per i prodotti cinesi, risparmio sulle importazioni riattivando le miniere e soprattutto basta con una furba Europa russofobica che vuole armamenti sofisticati facendo leva sul denaro di Zio Sam.
La Nato, da Donald Trump considerata in regime elettorale un’anticaglia ed ora – presumo dietro spinta del Pentagono – un baluardo della difesa del mondo occidentale, non costituirà più un impegno primario solo per gli States ma un dovere anche per i furbi europei che dovranno d’ora in poi riservare il 2% del Pil al riarmo (l’Italia spende l’1,1% Gentiloni che conosciamo come persona educata ha già risposto affermativamente alla gentile richiesta di elevare la misera percentuale come richiesto).
Non è la fine della globalizzazione. Solo un suo ridimensionamento che favorirà alcune misure protezioniste in numero maggiore rispetto a quelle già esistenti ma non ci sarà un ritorno al protezionismo. Ciò che forse può avvenire è la decadenza di quegli istituti di compensazione a livello internazionale funzionali alla risoluzione dei conflitti o per lo meno alla loro attenuazione (ONU, OSCE, OMC…). Gli States avranno meno lacci e lacciuoli alla loro arroganza e alla loro spasmodica volontà di dominio.
In tale contesto di riglobalizzazione, diventa ancora più urgente recuperare la sovranità politica ed economica dell’Italia fuori da questa funesta gabbia dell’Unione europea, altrimenti è il declassamento economico e la devastazione sociale
Non credo che sia stato compreso da molti il significato politico dell’intervento a Davos di XI Jinping sulla globalizzazione. La difesa di un sistema di relazione tra gli stati più garantista del progetto di Donald Trump per un’egemonia americana di tipo nuovo.