Tracciare un profilo storico e politico di un grande personaggio, rivoluzionario e poi capo di stato, che ha contribuito a fare la storia come Fidel Castro, sarebbe troppo complesso. E poi in questi giorni fioccheranno le analisi e le ricostruzioni storiche. Non c’è bisogno, tutto sommato, di aggiungerne un’altra.
Il mio sentimento, in questo momento, è un altro, ed è di questo che vorrei parlare.
Con la scomparsa di Fidel possiamo veramente dire che se ne va, anche simbolicamente, il Novecento. Un secolo è che stato “criminalizzato”, ridotto al secolo del “male assoluto”, all’era del totalitarismo per eccellenza.
E si dimentica, o meglio, si finge di dimenticare, che è stato invece il secolo delle grandi rivoluzioni (fra cui anche quella guidata da Fidel e Guevara), dei grandi movimenti di massa planetari che hanno trasformato la vita di miliardi di persone e liberato tanti paesi e nazioni dal giogo del colonialismo e dell’imperialismo. E’ stato il secolo in cui una parte dell’umanità ha provato ad invertire la Storia. Ma non ci è riuscita. E’ stata sconfitta e ha fallito nel suo intento.
E si sa, la storia la scrivono i vincitori, non i vinti. E allora ecco che una fase storica che ha suscitato tanta passione, tanto entusiasmo, tante energie, tante speranze, a mio parere la più ricca e la più alta dell’intera vicenda umana su questo pianeta, viene “rielaborata” nel modo che abbiamo detto e ridotta, quando va bene, anzi benissimo, al tentativo velleitario e utopico di modificare l’ ”ordine naturale e immutabile” delle cose.
Ed è così che ci ritroviamo in quest’epoca di passioni tristi, anzi tristissime, dove quell’ “ordine naturale” non è più messo in discussione da nessuno o quasi. Dove gli uomini come Fidel vengono considerati, al meglio, delle anticaglie, dei relitti del passato, quando non come dei dittatori spietati e sanguinari.
Eppure, nonostante ciò, nonostante quell’ “ordine naturale e immutabile” delle cose che oggi si chiama capitalismo (e che nelle epoche passate si chiamava in altro modo) abbia vinto, il mondo si ferma e si inchina davanti a uomini come Fidel. Non si ferma (e non si inchina) di certo di fronte ai Pinochet, ai Videla, ai Somoza, agli Sharon, e neanche ai Reagan, ai Bush, ai Blair, alle Thatcher, che pure rappresentavano e rappresentano quel mondo che invece ha vinto.
Qualcosa vorrà pur dire, o no?
Si, è vero, A Cuba – come altrove – non è stato realizzato il socialismo. I problemi che attanagliano l’isola sono tuttora tanti e gravi e anche Fidel ha commesso tanti errori. Fra tutti, il più grave, quello di non aver saputo coniugare l’eguaglianza con la libertà. Anche se non è stato il solo, perché è proprio lì, in quel mancato punto di incontro fra quelle due grandi istanze, che hanno fallito tutte le esperienze che si sono richiamate al socialismo e al comunismo. Le cose potevano andare diversamente? C’erano le condizioni storiche per poterle far andare diversamente? C’era un vizio di origine che ostacolava la possibilità di farle andare diversamente? Tutte questioni estremamente complesse che non è possibile affrontare ora e che non possono essere liquidate in poche battute.
Resta il fatto che è stato un grande tentativo che ha creato un precedente assoluto.
E resta il fatto che da quasi 60 anni Cuba è un paese indipendente e senza padroni, dove a tutti e a tutte è garantita una vita dignitosa, dove nessuno è sfruttato da un proprietario terriero o da una multinazionale, dove nessuno è tanto ricco e nessuno tanto povero da non potersi mescolare assieme in un bar o in un ristorante o da frequentare scuole diverse. Cuba è stato un simbolo di liberazione per tutti i popoli sudamericani (e di tutto il mondo) schiacciati dall’imperialismo e dai suoi gorilla e io mi auguro che continui a restarlo.
E tutto ciò è anche merito di Fidel a cui oggi e per sempre renderemo il giusto onore.