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Ho letto la recensione di Cristina Morini, giornalista di area di “sinistra radicale” e naturalmente femminista, dell’ultimo libro di Carlo Formenti, “La variante populista. Lotta di classe nel neoliberismo” (Derive Approdi): https://www.alfabeta2.it/2016/11/13/le-macerie-dei-populismi/
Devo ancora leggere il libro, cosa che farò al più presto perché si preannuncia molto interessante, e proprio la critica della Morini mi induce a pensarlo.
Sia chiaro, pur senza averlo letto, alcune sue osservazioni sono sicuramente pregnanti e degne di riflessione. Leggete però in che modo conclude la sua recensione:
“La vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti è esplicita espressione, sempre con Melandri, delle “viscere razziste, xenofobe, misogine, su cui la destra antipolitica ha fatto breccia per raccogliere consensi, sedimento di barbarie, ignoranza e antichi pregiudizi ma anche sogni e desideri mal riposti.
Siamo ormai scivolati molto in là, la strategia suggerita da Formenti di puntare a una “variante populista” per organizzare la “lotta dei nuovi barbari, delle comunità di rancore”, è parte del programma di ogni destra e da pochi giorni pienamente operativa negli Usa di Mr. president Donald Trump. Nei prossimi anni, a tutte e tutti noi toccherà, probabilmente, “regolare i conti” con le macerie che verranno prodotte da masse di lavoratori impoveriti, maschi e bianchi, accecate da promesse reazionarie di ruolo e di ordine, che stanno calcando la scena e che verranno lanciate a bomba non contro l’ingiustizia ma contro i migranti, contro le donne, contro gli omosessuali. Contro le idee per le quali abbiamo combattuto e continueremo a combattere”.
Insomma la causa di ogni male, secondo questa lettura, sembrano essere sempre i soliti “maschi bianchi e occidentali”, tutti accomunati, come nella migliore tradizione femminista, dall’odio misogino contro il genere femminile. Quindi gli operai metallurgici e i minatori della cosiddetta “Rust Belt” e del Midwest, tradizionali roccaforti” democratiche, che hanno votato per Trump, non lo avrebbero fatto perché si sono sentiti abbandonati dalla “sinistra” liberal, dal partito democratico e dalle sue politiche economiche e sociali, bensì per un sentimento misogino, per una sorta di revanscismo maschile e maschilista e per l’insano desiderio di riconquistare quella posizione di privilegio, prestigio e dominio che avevano una volta sulle donne, tutte, e che gli è stata sottratta. E’ risaputo infatti che lavorare in una acciaieria o in una miniera di carbone rappresenta di per sé una posizione di privilegio oltre ad esercitare notevole fascino e prestigio sulla psiche femminile. E’ probabilmente per questa ragione che intere regioni della cosiddetta “cintura della ruggine”, come ad esempio la contea di McDowell County, in West Virginia, hanno votato in massa (il 75% dei voti) per Trump. Una regione, come spiega molto bene Pietro Bianchi in questo articolo https://www.linterferenza.info/contributi/white-mirror/ dove l’aspettativa di vita maschile è di 63,5 anni (se fosse una nazione sarebbe 136esima, cioè molto al di sotto della maggior parte dei paesi del Terzo Mondo), dove il 32% della popolazione vive in condizione di grave povertà (una contea che nel 1950 sfiorava i 100mila abitanti mentre adesso ne ha poco più di 22mila) a causa della crisi dell’industria del carbone, una volta fiore all’occhiello dell’economia nazionale e ora in un inarrestabile declino. Da non perdere questo passaggio dell’articolo dove Bianchi spiega che:” Basta vedere la differenza tra una Clinton che afferma tronfia di voler mettere tutte le industrie del carbone out of business per puntare sulle energie rinnovabili e un Donald Trump che in un comizio a Charleston, West Virginia senza la minima vergogna si mette l’elmetto da minatore e dice «we’re gonna put the miners back to work» (rimetteremo al lavoro tutti i minatori) per capire quello che è successo. Poco importa che le promesse di Trump si scioglieranno come neve al sole e che tra quattro anni la contea di McDowell sarà nella stessa situazione di oggi, se non peggiore. Per capire una delle più grandi débâcles della storia del Partito Democratico bisogna partire proprio da qui: dal lavoro e da un’intera classe di lavoratori bianchi impoveriti e precarizzati che ha deciso di dare fiducia a un ciarlatano sessista e incompetente”.
Sarebbe interessante, a questo punto, capire come mai questo sentimento misogino appartenga anche alla maggioranza delle donne americane che hanno “tradito” la Clinton e optato per Trump, in barba all’idea di “una donna in quanto donna” alla Casa Bianca. Ma la risposta della Morini e di tutte quelle/i che la pensano come lei sarebbe molto probabilmente che si tratta di donne che hanno interiorizzato la cultura maschile e maschilista e quindi non in grado di cogliere il messaggio dirompente e rivoluzionario di una donna alla Casa Bianca…
A parte il fatto che la Clinton di dirompente ha solo le bombe che ha fatto buttare a tonnellate sulla testa delle genti libiche, siriane, irachene e afghane (e yemenite, per interposta persona…), mi pare di non dire chissà quale assurdità se affermo che in presenza di un simile losco e sanguinario personaggio, sostenuto dalle grandi lobby (o da una gran parte di esse) capitaliste e imperialiste e dall’apparato mediatico al loro servizio, anche la tesi (o la retorica…) della cosiddetta “specificità di genere” dovrebbe se non vacillare, quanto meno suscitare delle serie perplessità.
E invece niente. Nulla di nulla. Si continua imperterrite/i sugli stessi binari. Nemmeno il barlume di una seria analisi di classe sulle ragioni reali che hanno portato all’affermazione di Trump (e quindi, certamente, accanto a quelle che abbiamo detto, anche una miscela di neo populismo e di razzismo che negli USA ha sempre avuto il suo brodo di coltura…), dopo circa un quindicennio di governi democratici (liberisti, imperialisti e guerrafondai, più o meno come tutti i governi della storia americana). Un atteggiamento, questo sì arrogante e supponente, tipico di certa “sinistra” “liberal” e “radical” (chic) che sicuramente è abituata a frequentare i salotti e le redazioni dei magazine alla moda – sul modello di quelli frequentati da “Carrie Bradshaw”, il personaggio protagonista della celebre fiction “Sex and the city”, ambientata a New York – piuttosto che i luoghi dove vive la gente normale e in particolare quei lavoratori a cui facevamo riferimento prima (che siano bianchi o neri o di altra pigmentazione è ovviamente del tutto indifferente…).
Perché soltanto gente così tarata, nel senso letterale del termine, può pensare che un minatore del Michigan o dell’Illinois si trovi in una condizione di privilegio o di dominio nei confronti di un’avvocatessa, di una broker o di una giornalista di un settimanale “fashion” di Manhattan (ma anche di un’operaia o di una sua collega di lavoro). Quello stesso minatore che, in quanto maschio e bianco (tanti di quei lavoratori sono neri ma sorvoliamo sui particolari…) ambirebbe a ritrovare quella posizione di potere e di privilegio perduta (?!), se non altro sul genere femminile (bah…). Perché è risaputo che gli operai e i minatori della “Rust Belt del Midwest americano prima dell’avvento del femminismo godevano di una posizione di privilegio e di supremazia che il loro status gli conferiva e gli garantiva, nei confronti delle donne. E’ per questo che sceglievano di lavorare in miniera e in fonderia… (ancora una volta, ”bah…”).
La “sinistra politically correct, liberal, radical e femminista”, si prepara dunque a ricompattare il fronte. La “sinistra” (le virgolette sono d’obbligo..) verrebbe sconfitta – questa la tesi – non perché svelata, anche da crescenti settori popolari e proletari, per quello che è ormai da tempo diventata, cioè fedele ancella del sistema capitalista dominante e portabandiera della sua ideologia politically correct, bensì perché quegli stessi ceti popolari sono accecati dai più bassi istinti misogini e sciovinisti, pompati ad arte dalla destra populista.
Fine del discorso, chiusura del cerchio, e tutte/i a fare fronte contro quelle – cito nuovamente la Morini – “masse di lavoratori impoveriti, maschi e bianchi, accecate da promesse reazionarie di ruolo e di ordine, che stanno calcando la scena e che verranno lanciate a bomba non contro l’ingiustizia ma contro i migranti, contro le donne, contro gli omosessuali”.
Siamo quindi di fronte ad un vero e proprio capolavoro del sistema dominante – va riconosciuto – e cioè ad una sorta di conflitto di classe sotterraneo, non dichiarato e anzi negato dove i termini ideologici e politici della questione sono stati artificialmente invertiti e artefatti. La gran parte dell’ex elettorato tradizionale della sinistra, cioè i ceti operai e popolari bassi e medio bassi scelgono comprensibilmente di schierarsi a destra, perché traditi dalla “sinistra”, e una gran parte della media borghesia “progressista” e del ceto “intellettuale” è schierato a “sinistra” mentre i padroni del vapore, cioè la grande borghesia, che giostra dietro le quinte, si divide, in base alle opportunità e alle lotte interne per la spartizione del potere, fra i vari schieramenti, anche se negli ultimi vent’anni è stata sicuramente privilegiata la “sinistra” (sia in America che in Europa) che offriva più garanzie dal punto di vista della “governance”. Naturalmente entrambi gli schieramenti sono molto eterogenei dal punto di vista della composizione di classe, e questo è inevitabile appunto in virtù della confusione che è stata creata ad hoc e in cui tutti o quasi sono caduti.
Se infatti la “sinistra” politically correct, liberal, radical e femminista era ed è schierata in favore della Clinton e oggi si lecca le ferite (e noi invece lavoreremo affinchè si infettino…), c’è un’altra area di sinistra, minoritaria ma robusta, che oggi celebra l’affermazione di Trump con la stessa enfasi con cui avrebbe salutato l’elezione di un governo socialista, di classe e antimperialista. La qual cosa ci sembra a dir poco esagerata e ci lascia anche un po’ sconcertati…
Ferma restando la nostra grandissima soddisfazione per la sconfitta della Clinton che abbiamo ovviamente auspicato, ci sembra tuttavia un grave errore analitico enfatizzare la vittoria di Trump. Gli USA restano comunque una potenza capitalista e imperialista anche con la sua presidenza, sia pure sotto bandiere ideologiche diverse, come ho cercato di spiegare in questo articolo https://www.linterferenza.info/editoriali/trump-exit/
E’ giusto quindi prendere le misure, aggiornare la propria analisi in virtù di una realtà politica in movimento, e ridefinire anche, laddove necessario, il proprio atteggiamento e le proprie scelte tattiche. Ma da questo all’enfasi per la vittoria di Trump ce ne corre. Ci torneremo senz’altro.