In India il più grande sciopero generale della storia ignorato dai media

india sciopero generale

di Vijay Prashad (marxista, Professore al Trinity College di Londra) | da alternet.org

Traduzione di Lorenzo Battisti per Marx21.it

150 Milioni di lavoratori hanno lasciato il lavoro, ma i media continuano a ignorarlo.

I capi sindacali sono reticenti nell’annunciare quante persone hanno interrotto il lavoro il 2 Settembre 2016. Semplicemente non possono dare un numero preciso. Ma possono dire che lo sciopero – il 17° da quando l’India ha adottato la nuova politica economica nel 1991 [la liberalizzazione della precedente economia “mista” postcoloniale NdT] – è stato il più grande di sempre. I monopoli informativi – non amanti degli scioperi – hanno riportato che il numero di scioperanti era superiore ai 150 milioni stimati. Un certo numero di giornali ha suggerito che 180 milioni di lavoratori hanno lasciato il lavoro quel giorno, quindi questo sarebbe il più grande sciopero generale della storia.

Ciononostante, non ha ricevuto molta attenzione dai mezzi di informazione. Poche prime pagine, ancora meno immagini di cortei al di fuori delle fabbriche silenziose, delle banche delle piantagioni di the e delle stazioni dei bus. La sensibilità dei singoli giornalisti riesce raramente a rompere il muro di cinismo costruito dai proprietari della stampa e della cultura che essi vorrebbero creare. Per loro le lotte dei lavoratori sono un inconveniente della vita quotidiana.

Per i monopoli informativi è molto meglio dipingere uno sciopero come un disturbo, come un brusio fastidioso per una cittadinanza che sembra vivere altrove rispetto ai lavoratori. È il fastidio dei ceti medi che descrive la copertura di uno sciopero, non i temi che spingono i lavoratori a intraprendere questa difficile e sentita azione. Lo sciopero è trattato come una cosa arcaica, come un residuo di un altro tempo. Non è visto come un mezzo necessario per i lavoratori per dare voce alle proprie frustrazioni e alle proprie speranze. Le bandiere rosse, gli slogan, e i discorsi – questi sono dipinte con imbarazzo. È come se toglierli alla vista li facesse in qualche modo sparire.

Miseria

Un’importante società internazionale di consulenza ha riportato – alcuni anni fa – che 680 milioni di indiani vivono nella miseria. Queste persone – la metà della popolazione indiana – sono private di elementi basilari per vivere come cibo, energia, abitazione, acqua potabile, sanità, educazione e sicurezza sociale. La maggior parte dei lavoratori indiani e dei contadini fanno parte di questi. Il 90% dei lavoratori indiani è nel settore informale, dove le protezioni sul luogo di lavoro sono minime e il loro diritto sindacale è virtualmente inesistente. Questi lavoratori non sono marginali per i progetti di crescita indiani. Nel 2002 la Commissione Nazionale per il Lavoro scoprì che “la prima fonte di lavoro futuro per gli indiani sarebbe stato il settore informale”, che produce già oltre la metà del Pil. Il futuro del lavoro è quindi quello informale con diritti occasionali concessi per prevenire grottesche violazioni della dignità umana. La speranza per il lavoratore indiano semplicemente non fa parte dell’agenda di distribuzione attuale in India.

Il primo ministro Narendra Modi, che ancora una volta è fuggito verso il suo infinito giro del mondo, non ha dato alcun ascolto a questi lavoratori. Il suo obiettivo è quello di aumentare il tasso di crescita indiano, cosa che può essere ottenuta – giudicando dall’esempio di quando era Primo Ministro dello Stato del Gujarat – da un atteggiamento da cannibale verso i diritti dei lavoratori e verso la sopravvivenza dei poveri. Svendita di patrimonio pubblico, contratti fortemente vantaggiosi per le imprese private e apertura delle porte dell’economia indiana agli investimenti esteri sono i meccanismi per aumentare il tasso di crescita. Nessuna di queste strategie, come riconosce lo stesso FMI, porterà all’uguaglianza sociale. Questa traiettoria di crescita porta a una maggiore diseguaglianza, a meno potere per i lavoratori e a più miseria.

Lotta di classe

Solo il 4% della forza lavoro indiana appartiene a un sindacato. Se i sindacati avessero semplicemente difeso i pochi diritti di questi, il loro potere si sarebbe eroso ulteriormente. Il potere del sindacato è stato fortemente indebolito dalle liberalizzazioni dell’economia indiana del 1991, con i giudizi della Corte Suprema contro la democrazia sindacale e con la catena globale delle materie prime che aizza i lavoratori indiani contro i lavoratori del resto del mondo. Va grandemente riconosciuto il merito dei sindacati indiani che hanno sostenuto – con ritmi diversi – le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e dei contadini nel settore informale. Il potere che resta ai sindacati può solo crescere se faranno quello che stanno facendo – cioè volgersi verso l’immensa massa di lavoratori e contadini informali e portarli dentro la cultura sindacale e della lotta di classe.

La lotta di classe non è un’invenzione dei sindacati o dei lavoratori. È una realtà della vita per il lavoro in un sistema capitalista. Il capitalista, che acquista la forza lavoro dei lavoratori, cerca di rendere quella forza lavoro più efficiente e più produttiva possibile. Il capitalista trattiene i guadagni di questa produttività, abbandonando durante la notte il lavoratore al proprio bassofondo per cercare l’energia per tornare il giorno dopo. È questa pressione per essere più produttivo e per donare i guadagni della propria produttività al capitalista che rappresenta l’essenza della lotta di classe. Quando il lavoratore vuole una quota maggiore del prodotto, il capitalista non lo ascolta. È lo sciopero – un’invenzione del 19° secolo – che dà ai lavoratori la voce per entrare nello scontro di classe in maniera cosciente.

In India, il primo sciopero avvenne nel 1862, quando i lavoratori delle ferrovie della stazione di Howrah Railway si fermarono per il diritto alla giornata lavorativa di 8 ore. Gli inconvenienti che lo sciopero produce per il ceto medio deve essere soppesato contro gli “inconvenienti” quotidiani che i lavoratori sopportano quando la propria produttività extra è confiscata dai capitalisti. Questi lavoratori del 1862 non volevano un interminabile turno di 10 ore che esauriva le loro vite. Il loro sciopero permise loro di dire: noi non lavoreremo più di 8 ore. I critici dello sciopero sicuramente diranno che ci sono altri modi per farsi sentire. Nessun altro modo è stato lasciato al lavoratore, che non ha né il potere politico per fare pressione, né il potere economico per dominare i mezzi di comunicazione. È silente, tranne che per queste feste della classe lavoratrice.

Dal Gujarat al Kerala

I lavoratori dello Stato natale di Narendra Modi, il Gujarat, si sono uniti allo sciopero con grande entusiasmo. Compresi oltre 70’000 lavoratori degli asili e delle mense, così come i portuali in Bhavnagar. I lavoratori del tessile in Tamil Nadu, e i lavoratori delle industrie automobilistiche in Karnataka hanno chiuso le serrande. Gli impiegati di banche ed assicurazioni si sono uniti ai lavoratori delle centrali dell’energia e ai minatori, mentre i lavoratori dei trasporti in tutto il paese hanno deciso di restare fuori dai propri autobus e dai depositi. I sindacati comunisti si sono uniti agli altri sindacati per assicurare la più ampia mobilitazione dei lavoratori.

Ciascuna sezione sindacale aveva le proprie rivendicazioni, le proprie preoccupazioni e frustrazioni. Ma gli ampi tempi che hanno unito milioni di lavoratori vertevano sulla domanda di democrazia sui luoghi di lavoro, la richiesta di una quota maggiore di ricchezza sociale e la richiesta di una campagna meno inquinata. I lavoratori – attraverso i propri sindacati – hanno portato i propri 12 punti al governo, che li ha ignorati. All’ultimo minuto, quando si capiva che lo sciopero sarebbe stato forte, il governo ha tentato di fare piccole concessioni. Non è stato sufficiente. Ha rappresentato, come hanno detto i sindacati, un insulto. Non c’è nessuna aspettativa che lo sciopero da solo porti a maggiori concessioni da parte del governo. Dopotutto, l’anno scorso 150 milioni di lavoratori scesero in sciopero e il governo non si smosse dalle proprie politiche contro i lavoratori. Al contrario, il governo di Narendra Modi ha approfondito il proprio impegno nella “riforma del mercato del lavoro” – cioè per estirpare i sindacati e per rafforzare il diritto di licenziare a piacimento.

Quello che lo sciopero dice è che i lavoratori indiani restano pronti per la lotta di classe. Non si sono arresi alla “realtà”. Nel 1991, quando il governo decise di aprire l’economia ai turbolenti interessi del capitale globale, i lavoratori si ribellarono. Nell’agosto del 1992 i lavoratori tessili di Bombay scesero in strada in mutande – dissero che il nuovo ordine li avrebbe lasciati in estrema povertà. Quel gesto simbolico è l’attuale realtà.

Fonte: http://www.marx21.it/index.php/internazionale/asia-e-oceania/27240-lindia-sta-facendo-la-storia-del-movimento-dei-lavoratori-con-il-piu-grande-sciopero-generale-del-mondo

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