Mao Tse Tung

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Foto: www.fordilibrarymusem.gov

Ieri, 9 settembre, è stato il quarantennale della morte di Mao Tse Tung.

Tracciare un profilo di questo grande leader rivoluzionario in poche parole è pressochè impossibile data la statura e la complessità della sua figura, al di là della condivisione o meno delle sue teorie e della sua prassi politica che comunque non è stata certo esente da ombre (oltre che da luci) e da errori, alcuni anche gravi, come è normale che sia. Del resto, più cresce il “calibro” del personaggio, e più crescono gli errori – così come i suoi meriti – contestualmente alla sua grandezza. Ed è fuori discussione che Mao sia stato uno dei grandi della Storia, direi uno dei più grandi, e senza ombra di dubbio. Stiamo parlando di un uomo che ha concepito e guidato una grande rivoluzione, che ha dato per la prima volta nella loro storia una dignità a ottocento milioni di contadini che prima di allora erano considerati come delle bestie che si potevano vendere al mercato, che ha emancipato un grande paese come la Cina da una condizione semifeudale e da una dominazione coloniale e imperialista spietata e umiliante, e che ha provato, a suo modo, non senza errori anche tragici (in particolare, fra gli altri, politiche di collettivizzazione forzata con esiti disastrosi pagate a un prezzo umano altissimo), a costruire una società comunista, sia pur inevitabilmente nel contesto storico e nelle condizioni date che nessuno può scegliersi.

A tutt’oggi, quel tentativo è a mio parere, clamorosamente fallito, anche se alcuni, tutto sommato anche relativamente numerosi, continuano a ritenere che la Cina attuale sia un paese che stia cercando una sua peculiare via al socialismo. Personalmente non lo penso affatto ma questo è un altro discorso che deve essere affrontato a parte.

Come dicevo all’inizio, troppo ci sarebbe da dire, e anche solo per tracciare quel profilo sarebbe necessario scrivere un libro a metà tra il politico, lo storico e il filosofico, e non sarebbe sufficiente.

Quello che vorrei raccontare qui è il mio ricordo personale di Mao, il ricordo cioè di un giovanissimo militante politico affascinato da questo grande rivoluzionario che spronava i giovani a sparare sul pianista, come si usava dire all’epoca, a non farsi ingannare. Quel rivoluzionario che spiegava che la borghesia ha mille modi per “riciclarsi” e riconquistare il potere, perchè anche quando pensiamo di averla sconfitta definitivamente, essa è in grado di risorgere assumendo altre sembianze, anche quelle dello stesso partito comunista. E questo perché –spiegava Mao – la “borghesia” non è solo una classe sociale ma anche un modo di pensare, di essere.  Come dargli torto?

La vulgata vuole che fosse uno stalinista, e da un certo punto di vista lo era, ma appiccicare un’etichetta a un personaggio di quella levatura sarebbe riduttivo e fuorviante perché un uomo come Mao non poteva che essere “maoista”.

Mao Tse Tung sottopose a dura critica la svolta kruscioviana tacciandola di revisionismo, sostenendo che in URSS la borghesia avesse riconquistato il controllo della società e dello stato, seppur sotto altre spoglie, appunto quelle della burocrazia dello stato-partito, e che in conseguenza di ciò in quel paese fosse stato restaurato il capitalismo, sia pur di stato. Da lì la guerra ideologica fra la Cina e l’Unione Sovietica e soprattutto la cosiddetta “rivoluzione culturale” sollecitata dallo stesso Mao negli anni ‘60 perché aveva intuito che la “borghesia” stava riprendendo il controllo della situazione anche in Cina, all’interno e attraverso lo stesso partito comunista al potere. Alcuni sostengono che la rivoluzione culturale sia stata soltanto lo strumento attraverso il quale Mao si disfò degli avversari interni ma, a mio parere, questa è una interpretazione assai riduttiva, politicista e anche un po’ qualunquistica. Sicuramente la rivoluzione culturale portò a tragici eccessi e anche a spargimenti di sangue però è altrettanto certo che Mao non volle mai sopprimere la dialettica fra destra e sinistra all’interno del partito e della società, e questo proprio perché era un convinto sostenitore, sia sul piano filosofico che politico, della dialettica, concepita non solo come metodo ma come concetto filosofico vero e proprio dal quale non si può prescindere. Il suo celebre scritto, “Sulla contraddizione”, merita di essere letto con attenzione e mantiene tuttora una sua attualità, filosoficamente parlando, né più e né meno del pensiero di altri filosofi a lui contemporanei o vissuti in altre epoche.

Mao ha rappresentato un mito per un’intera generazione, ma non con la stessa intensità e ampiezza del Che, nonostante sia stato anch’egli un grande rivoluzionario che ha contribuito a trasformare la realtà e provato a invertire, sia pure per un breve periodo, il corso della storia. Non solo, il suo “mito”, a differenza di quello del Che, non è durato nel tempo, non è sopravvissuto alla sua morte. Perché? La vulgata dominante risponde che ciò è dovuto al fatto che Mao è stato un dittatore che ha represso, deportato e imprigionato mentre il Che non ha fatto nulla di tutto questo e anzi, è caduto eroicamente per le sue idee. Ma questa è la risposta, diciamo pure la vulgata ufficiale e politicamente corretta.

Ce n’è un’altra, non detta, ed è la ragione per la quale la figura del Che esercita ancora un grande fascino, a differenza di quella di Mao.  Un fascino meritato, sia chiaro, per ciò che effettivamente era e incarnava da un punto di vista etico, ideale e morale, oltre che politico, per la sua irriducibilità, per la sua fine eroica, e che però è stato scientemente alimentato paradossalmente proprio da quello stesso sistema capitalista e imperialista che il Che combatteva, abilissimo a trasformare un suo nemico in una sorta di icona a sfondo folkloristico. E questa ragione è molto semplice: il Che è stato sconfitto, mentre Mao ha vinto. Imperdonabile. Ed è per questo che è stato demonizzato, criminalizzato e confinato nel museo degli orrori del XX secolo, equiparato a qualsiasi altro crudele e spietato dittatore che abbia fatto la sua comparsa nella storia.

Guevara ha perso perché in lui l’aspetto “idealista” prevaleva su quello più propriamente politico, anche se mi rendo conto di stare banalizzando all’inverosimile, mentre Mao sapeva coniugare la “visione” e l’utopia rivoluzionaria con la razionalità politica. Ed è questo che non gli si perdona. Certo, questa razionalità politica che ha fatto di lui un “vincente” lo ha spinto anche a commettere dei gravi errori come, oltre quelli a cui ho fatto cenno, una politica estera isolazionista che ha fatto mancare il sostegno a tanti movimenti di liberazione anticolonialisti e antimperialisti e addirittura, in determinati frangenti, ad essere indirettamente ma oggettivamente complice degli USA. Ma questo è un altro discorso ancora, sul quale gli appassionati e gli esperti di politica internazionale saranno liberi di sbizzarrirsi.

Resta l’imperdonabilità di Mao, che rende impossibile la sua trasformazione in un’icona, tanto più dal carrozzone mediatico politically correct dominante. Ma è anche questo che fa di lui un grande della storia.

4 commenti per “Mao Tse Tung

  1. ARMANDO
    10 Settembre 2016 at 14:22

    “Sparare sul quartiere generale”, non sul pianista, frase di derivazione western. Per il resto condivido in gran parte. Il Che, per le sue vicende e la sua personalità, aveva un alone di romanticismo idealista, meritato, che ne ha fatto un’icona anche in ambienti non di sinistra. La figura di Mao è anche quella di uno statista che si è dovuto confrontare con enormi problemi. In questo senso il paragone con Stalin non è inappropriato.

    • Fabrizio Marchi
      10 Settembre 2016 at 17:40

      si, certo, la frase di Mao era quella che hai detto tu, ma all’epoca negli ambienti dell’extrasinistra si usava dire anche “sparare sul pianista” o sul “direttore d’orchestra”…il senso era quello…

  2. Alberto
    13 Settembre 2016 at 14:35

    Condivido tutto su Mao,ma tutto quello che hai scritto su Mao si puo dire di Lenin!per quanto riguarda il Che potrebbero apparire simili ma sono totalmente agli antipodi,culturalmente,politicamente,avevano due visioni totalmente differenti.Per me paragonare il Che a Mao e come dire che Guevara era uguale a Lenin.
    Siamo pazzi!!questo e delirio.

    • Fabrizio Marchi
      13 Settembre 2016 at 15:57

      Non mi ha mai sfiorato la mente l’idea di paragonare dal punto di vista politico il Che a Mao che, come tu stesso hai detto, avevano due visioni completamente differenti. Scusa ma questa è una tua lettura personale. Io ho soltanto fatto un paragone fra i due “miti” e ho cercato di spiegare perché quello del Che ha avuto più successo, ben oltre i confini dell’America Latina ed è durato nel tempo più di quello di Mao che al momento rimane in parte vivo nella sola Cina. Tutto qui. E non c’è dubbio sul fatto che Mao era molto più simile a Lenin di quanto non lo fosse al Che.

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