Ritorno: studio e “cura” di una comunità romana
Infine torno; dall’aereo panorama di Frascati giù nella “metropoli”. Mi accoglie in quella porta moderna e principale su Roma che è piazza di Cinecittà, il libro proprio su “I quartieri Don Bosco e Appio Claudio a Roma” ( “Storia e Memorie tra Quadraro e Cinecittà) di Sandro Iazzetti ed. youcanprint 2105 che ho (provvisoriamente) recensito qui https://www.linterferenza.info/cultura/3253/ . Questo testo “scientifico” di Storia locale, del quale non riprendo il dettaglio, illustra, organizza e ragiona su un quadrante della città che compendia i risultati del mio viaggio. Trovo nelle pieghe dello studio di Iazzetti, conferme del mio discorso: il tipico riuso “romano” (dell’uomo e della natura) delle preziose vestigia storiche antiche e moderne, il parco degli acquedotti nell’anello verde che articola la “toccata” verso il centro (Appia antica) e la “fuga” verso la campagna (le pendici dei colli albani); nuova agricoltura possibile, in quella campagna, accanto all’alta produzione tecnica di Cinecittà; le architetture contrastanti, e importanti come ritengo l’ardito falansterio di piazza Don Bosco, che comunque hanno consolidato in comunità una popolazione originariamente eterogenea (soprattutto i meridionali immigrati negli anni del II dopoguerra). Tuttavia, la cura storica e memorialistica del libro dice di più (a chi possa intendere), dice di un principio di cautela e di umile coraggio nel prospettare le soluzioni.
A pagina 132 si trova questa fantastica foto aerea, è una croce, un incrocio, forte simbolo di quel che intendo
La chiesa di San Policarpo, l’urbe, “il moderno” (la foto è del 1967 e nel 1969 termina la costruzione della chiesa) che si slancia inesorabile nel Parco-campagna, in mezzo il borghetto dei baraccati (nella foto al limite sinistro) che riutilizza gli archi per “tetto” per dar solidità alle posticce tramezzature di qualsiasi materiale. Poi, ad animar l’immagine, il racconto (riportato nel libro pp.102-103) di Don Roberto Sardelli, coraggioso prete di frontiera, che inviato (1968 date che contano) e alloggiato nelle belle stanze del nuovissimo complesso parrocchiale chiede invece, con grande scandalo del parroco, di poter trovare posto tra le baracche e con ancor maggior scandalo si sistema presso la baracca di una prostituta, per poi, proprio li, aprire una scuola per gli abitanti del borghetto: la scuola 725 (il civico clandestino della baracca http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=6842 .)[1] Lo slancio di Sardelli verso gli ultimi rappresenta un’inversione dell’avanzata “cementante” verso il parco: si cerca l’uomo non il profitto. L’episodio consolidò la comunità e contribuì a salvare il Parco. Le ambiziose palazzine dell’Appio Claudio non superarono la chiesa cosicché, con ironia della storia, la presenza allora dei reietti permette, ora, agli abitanti del quartiere di avere una vita migliore . Ancor prima della Chiesa, nel 1962, con slancio simile, lo stesso luogo era stato guardato da Pier Paolo Pasolini, come ricorda e documenta il libro (pp212-214): attraverso un’altra croce e un’altra cura quella della tragedia di “Mamma Roma”.
A coloro che verranno
In conclusione riassumo ciò che mi ha suggerito il giro dentro e lungo i limiti della metropoli, confidando nell’ indulgenza del lettore per le approssimazioni e nella sua fantasia nello sviluppare le poche verità.
- A) Rispetto al traffico fisico di persone
- Costruire pochissimi Km (4/5) di percorsi protetti ciclabili per collegare parchi e ville di questo anello verde ;
- Lungo quest’anello, nelle adiacenze delle aree verdi far scorrere tram o ancor più levi filobus, semplicemente individuando una viabilità già esistente da proteggere, quindi senza ulteriori lavori da programmare;
- Manutenzione delle ciclabili esistenti, con riguardo particolare a quella del Tevere, studiando la possibilità con intervento irrisorio di prolungarne il percorso lungo il fiume fino al mare;
- Incentivo economico, minimo, per l’utilizzo della bici per recarsi al lavoro (progetto in studio a Parigi e attuato a Massarossa (LU) come documentò Report qui http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-9340dd88-ce39-4fcb-a823-0e1b19d10fc6.html ) soprattutto rivolto, con intento educativo, ai giovani\ oppure incentivo di “felicità” tipo 15\30 min di lavoro in meno al giorno a chi usa la bici;
- Potenziamento dei treni per collegare i paesi della tazza, garantendo un minimo di abbassamento dei tempi (come detto da 25 a 40 min), soprattutto la certezza del loro passaggio e l’adeguata portata;
- Chiusura dell’anello ferroviario urbano.
- Piano di utilizzo dei lungotevere, forse l’unica opera di un certo impegno.
- Chissà? Magari tali interventi lievi potrebbero procurare anche qualche posto di lavoro più stabile e utile di quelli precari del gigantismo di opere spesso effimere.
- B) Rispetto al traffico digitale di dati.
- sostenere le piccole attività per il passaggio al telelavoro, avendo già disponibili a costi irrilevanti le suite di office automation dei grandi marchi del’informatica (per aver presente google drive + calendear, ecc);
- agevola ma non è decisiva l’aumento della banda trasmissiva (fibra, rinnovo apparati reti), il problema non è tanto quantitativo e di velocità (i dati elaborati in remoto possono allinearsi nei cloud server anche durante le ore notturne di minor traffico);
- decisivo e urgente è invece che il telelavoro decolli nel settore della Pubblica Amministrazione, soprattutto a Roma cuore della burocrazia, ciò per i due aspetti di sgravio di traffico persone e alleggerimento di locazioni centrali ma anche per servizi efficienti da offrire al privato;
- qui la resistenza maggiore è addirittura “premoderna” e sta, spesso, in un apparato basato non sulla funzionalità del lavoro ma sulla gerarchia di poltrone “vuote”, sulla disciplina adulatoria delle baronie;
- a tal riguardo tutti gli interventi di standardizzazione e indirizzo in materia, in questi ultimi 20 anni, sono risultati debolissimi (penso a AIPA, CNIPA, Agenda Digitale) a fronte di centri di spesa di informatica “a casaccio” di ogni PA ma soprattutto senza coordinamento alcuno (raddoppio e incomunicabilità banche dati, nessun passaggio al documento digitale con aumento, addirittura, del cartaceo) e senza finalità (per esempio migliorare il lavoro dell’operatore con il telelavoro e il servizio al cittadino).
- C) Infine l’intervento architettonico-urbanistico. Da notare bene che rispetto alla complessità della materia e alle sue ricadute produttive ciò che dico è “opinione” (ancor più che altrove) raccogliendo, spero con ordine, le suggestioni positive del mio viaggio tra le vie della città e le strade della provincia.
- il Centro alleggerito di funzioni amministrative (FA) spostate nell’anello periferico, liberebbe metrature riutilizzabili a scopo abitativo e di accoglienza turistica (penso per es. a B&B o a ristorazione popolare ) di ciò, a mio avviso, andrebbe privilegiata l’assegnazione ai giovani –disponibili ad adattarsi in abitazioni più piccole e capaci di gestire le attività turistiche-. Ovviamente non mi soffermo sull’indotto per le altre attività a carattere “culturale”, sia artistiche che formative, pensabili all’interno del museo della civiltà che sarebbe Roma ancor più “aperta” ;
- nella zona periferica, detto della ricollocazione delle FA comunque diminuite nello spazio, grazie al telelavoro, a parte il riutilizzo di zone industriali dismesse (Ostiense su tutte, ma anche Tiburtina) l’intervento più cospicuo dovrebbe riguardare la sistemazione delle auto (garage o spiazzi-parcheggio). Su questa zona graverebbero in parte attività legate alla manutenzione e utilizzo turistico (penso ad es. al Parco Archeologico Appio-Tuscolano) e in parte le più prossime attività agroalimentari. Tendenzialmente questa area sarebbe la più stabile demograficamente e socialmente, accogliendo i nuclei a dimensione familiare;
- nella zona dell’agro e dei paesi, dovrebbero crearsi i maggiori movimenti di popolazione con il rilancio della produzione agricola. Accennate le semplice regole per l’edilizia, la questione più delicata che potrebbe investire questi paesi è l’articolazione socio-culturale e gli equilibri da trovare tra tre componenti: a) il nucleo originario; b) la presenza importante di altre etnie; c) un nuovo apporto di giovani (o comunque di fascia produttiva) con vocazione agricola. Il “melting pot”, l’amalgama, dovrebbe stare proprio nella tensione verso la qualificazione della terra e nella voglia apportata dai giovani.
Tutti questi interventi hanno il comune tratto di impegni che non sono, essenzialmente, economico-finanziario ma organizzativo-culturali e quindi cadono tutti nella politica “nobile”, nella scelta governata con sapienza. Certamente il soggetto-dirigente non può essere la figura attuale del sindaco –un amministratore dell’esistente che può al massimo tappare le buche- laddove è richiesta un’autorità forte con base però nell’equilibrio delle comunità e assistita da scelte di livello nazionale. Ancor prima della forma istituzionale c’è una scelta “etica” e quindi “rivoluzionaria”: il locale prima del globale, la protezione non solo del ciclo agricolo ma anche del consumo alimentare, il sostegno –non sovvenzioni alle perdite ma difesa di una logica di mercato “piccolo”- di piccola e media impresa. Chiaramente è una scelta anticonformista rispetto ai dettami finanziari e al banale senso comune mediatico e per questo la può fare solo chi ha scelto un altro modello produttivo.
Anche per questi orientamenti, la vulgata (politici senza qualità, economisti senza teoria e media senza critica) attribuisce al concetto di “Decrescita Felice”, i predicati di “primitivismo” e “ignavia” ciò derivando da due vizi dei “volgari”: 1) intendere la modernità come sfarzo tecnologico, come grandi architetture e grandi produzioni e consumi di quantità (auto contro bici, centri commerciali contro mercati rionali), l’ingombro delle grandi opere insomma; 2) ridurre tutto il fare a far soldi. Al contrario la decrescita felice, come ho voluto simboleggiare col mio piccolo “fardello” di viaggio, dimostra l’uso proporzionato della tecnologia. Le bici, lo smartphone, il libro (certo anche treno e bus) sono la migliore tecnologia disponibile (mezzo) per quel determinato fine (spostare persone, informazioni, produzioni). La leggerezza non è solo immagine poetica ma spiega una maniera di rapportarsi a “ciò che già c’è” -comunità, case, lavori- con cautela e rispetto, con attenzione alla storia: attenzione alle cause per prospettare i fini. Certamente per fare questo occorre spostarsi dal dominio oppressivo, trascendente e oscuro, di ciò sta sopra all’utile visibile a tutti ed è manovrato da soggetti anonimi alla comunità. Certamente ciò impone una “restauratio” della politica; ritornando alla radice propria del termine come preliminare comprensione dell’essere attuale della “città”. La metropoli, nata, allora con Roma-imperiale, può, ora approntare, in quest’altra Roma, il felice giaciglio funebre della specifica forma moderna, dove, al contempo, si prefigura la morfologia di un nuovo rapporto tra urbe e agro. Questa direzione non può essere avviata con l’arcaico disegno di “fare i soldi con il mattone” (questo si primitivo), di far crescere “pochi” e non invece far “decrescere” quei pochi per redistribuire lavoro/reddito e soprattutto far “crescere” felicità tra i “tanti”, che, poi, è l’eudaimonia di Aristotele cioè quel benessere individuale nella comunità che ora, a questo punto di sviluppo della civiltà umana, potrebbe essere disponibile a tutti.
[1]Roberto Sardelli, Scuola 725: Non Tacere Libreria Editrice Fiorentina 1971 Questo è il testo dei baraccati. All’opera, ispirata fortemente a quella di don Lorenzo Milani, a Barbiana, è dedicato il bel documentario Non tacere di Fabio Grimaldi, prodotto dalla BluFilm, 2007.