Brasile: prove generali di destabilizzazione?

La situazione brasiliana – a seguito delle ultime mobilitazioni – diventa sempre più tesa e difficile da analizzare. I media internazionali puntano il dito contro il PT – Partito dei lavoratori – occultando il sostegno che la presidentessa Dilma Roussef ed il fondatore del partito, Luiz Ignacio Lula, sono riusciti comunque a mantenere: il risvolto ‘’giustizialista’’ non interessa molto ai lavoratori brasiliani ( o almeno ad una parte rilevante di essi ) i quali, a quanto pare, resterebbero fedeli al PT, in virtù della sua pur modesta politica riformista attuata in questi anni. Una frattura certamente esiste ma non nei termini descritti dai media europei.
Da quando è al governo, il Partito dei lavoratori ha cercato di contenere il neoliberismo puntando su uno sviluppo capitalistico di tipo keynesiano: gli esperti hanno definito questo modello capitalistico, in un paese post-coloniale, come neosviluppista. In politica estera, sia Lula che la Roussef hanno raffreddato ( senza però mai romperli ) i rapporti con Washington e gli imperialismi inglese ed israeliano, cooperando con i paesi sudamericani ‘’non allineati’’. Il PT, in poche parole, non è un partito anticapitalista né, tanto meno, antimperialista ma mira semplicemente ad integrare le masse popolari, umiliate dal neoliberismo, in un modello capitalistico di tipo keynesiano compatibile con un sistema di diritti e di garanzie sociali. Le attuali mobilitazioni antigovernative trovano questa duplice spiegazione:
(a) L’imperialismo americano non è disposto ad accettare che un paese, anche in una prospettiva democratico-borghese, persegua una politica autonoma.
(b) Nonostante l’abbandono dell’antimperialismo, il PT conserva il favore di ampi strati della popolazione civile: gran parte del mondo del lavoro continua ad appoggiare Dilma Roussef e Lula. Questo è un fatto abbastanza difficile da smentire: le piazze piene, in sostegno del governo, parlano da sole.
Un aspetto, però, deve essere chiarito. E’ sbagliato credere che tutti i dimostranti antigovernativi siano fascisti o provocatori: il PT ha deluso lo zoccolo duro del suo elettorato che, giustamente, si indigna per la corruzione dilagante nel loro ex partito. Dall’altra parte è corretto chiedere agli attivisti onesti di sapersi differenziare dai settori reazionari, magari rivendicando le proprie istanze in piazze separate ed usando ( come sicuramente avviene ) parole d’ordine dal contenuto diverso e contrapposto. Manifestare e chiedere delle riforme economiche e sociali strutturali è sempre giusto, ma è importante farlo senza cadere nella trappola della strumentalizzazione imperialista sostenuta dagli USA.
Il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, a proposito di destabilizzazione pilotata dall’esterno, ha commentato: ‘’Credete sia solo una casualità? Questo è il nuovo ‘Plan Cóndor’ contro i governi progressisti. Attualmente non vi è più bisogno di dittature militari, ma di giudici sottomessi, di una stampa corrotta che ha il coraggio di pubblicare conversazioni private, circostanza assolutamente illegale’’ 1. Ovviamente gli Usa non hanno mai abbandonato la Dottrina Monroe – le Americhe agli statunitensi – quindi è bene sottolineare che un “ritirata” tattica da parte dell’Impero Usa dal contenente latinoamericano ( cosa che potrebbe avvenire qualora fosse eletto il neofascista Donald Trump ) non farebbe altro che aumentare le pressioni sui governi ‘’socialdemocratici’’ dell’America Latina. Il gendarme statunitense ha il monopolio dei servizi di intelligence e anche nel caso brasiliano dimostra una capacità incredibile di infiltrazione all’interno dei movimenti, creando dei veri e propri gruppi artificiali, bande di provocatori al servizio diretto o indiretto della CIA. La storia dovrebbe essere nota a tutti.
Un altro aspetto – giunti a questo punto – deve essere precisato: la risposta del mondo del lavoro non può puntare alla ‘’pacificazione sociale’’. Soltanto l’ acutizzazione del conflitto di classe e la rottura integrale con le oligarchie economiche e finanziarie tuttora dominanti può dare un impulso determinante alla realizzazione della “Patria Grande Sudamericana”. Il PT ha realizzato riforme democratiche importanti ( e gliene rendiamo merito ), Lula e Dilma si sono guadagnati i valori sul campo lottando armi in pugno contro la dittatura militare, ma da tempo la loro svolta a destra è innegabile.
James Petras ci ha spiegato che: ‘’il governo di Dilma Rousseff ha adottato una politica reazionaria. Quello che loro chiamano “aggiustamento fiscale” altro non è che un piano di tagli alla spesa sociale, alle pensioni, ai salari, ai programmi sociali e di sostegno alla povertà, ecc’’ 2. Il problema, secondo Petras, è che ‘’le conquiste che le classi popolari hanno ottenuto finora si stanno erodendo ed il governo ha incaricato Joa¬quim Levy, mini¬stro dell’Economia, un neoliberista fanatico, di portare avanti i tagli alla spesa sociale’’. I manifestanti democratici, giustamente indignati  per la svolta moderata di Dilma, potrebbero chiedere la rimozione di Joaquim Levy come Ministro dell’Economia? Data la situazione, si tratterebbe di una proposta da sostenere e che potrebbe rappresentare un momento di svolta per la stessa Dilma.
Il giornalista di Contropiano, Marco Santopadre, ha parlato di ‘’frattura politica’’ rilevando come le ‘’inchieste abbiano incastrato non solo ministri e dirigenti del centrosinistra ma anche pezzi da novanta dei partiti del centrodestra e della destra – in particolare del Partido da Social Democracia Brasileira – gli stessi che ora cavalcano l’ondata popolare giustizialista facendo appello a slogan nazionalisti’’. 3 La pista della ‘’frattura politica’’ è certamente condivisibile – come il resto della lucida analisi di Santopadre – ed io mi spingerei oltre aggiungendo che le fazioni più reazionarie della borghesia brasiliana si stanno contrapponendo, su mandato di Washington, all’ala modernista al momento al governo. Il loro obiettivo è (ri)colonizzare il Brasile spezzando così la logica del ‘’multipolarismo’’. L’imperialismo Usa, grazie a questi ‘’vendipatria’’, ha messo le mani sulla magistratura e sui media. Una politica più incisiva da parte del PT tendente a democratizzare la magistratura sarebbe auspicabile. Inoltre, la statizzazione della gran parte dei mezzi di comunicazione, in situazioni di emergenza come queste (rischio di golpe e/o comunque di svolta autoritaria), diventa una misura democratica necessaria, forse vitale: le resistenze in tal senso da parte di Dilma Rouseff dimostrano la natura politica del suo governo e l’abisso che separa una possibile ‘’transizione al socialismo’’ da una mera politica di riforme, anche se certamente ( ma senza farne l’apologia ) progressiste.
Lo stesso discorso si potrebbe applicare al  Venezuela: Maduro, invece di cercare un accordo con l’opposizione di destra, golpista e finanziata da Washington, avrebbe dovuto intensificare il programma di riforme sociali strutturali e al contempo rafforzare le milizie popolari che si sono rivelate fondamentali per fronteggiare e respingere a suo tempo i tentativi di rovesciare Chavez e il governo bolivariano. Questo spirito ‘’campista’’ volto al compromesso ha contribuito a generare la crisi attuale, motivo per cui James Petras ha commentato: ‘’Il PT ha causato un tremendo danno all’immagine di tutta la sinistra in America Latina’’. Un commento amaro ma da prendere in considerazione.
Il leader del Movimento dei Senza Terra, Stedile, ha confermato il suo appoggio al legittimo governo in carica di fronte al tentativo di golpe mediatico e giudiziario precisando che: ‘’Il governo Dilma ha mostrato di voler accettare l’agenda neoliberista mettendo all’ordine del giorno la riforma della previdenza e facendo un patto con la destra per escludere l’impresa Petrobras dall’esplorazione del pré-sal e aprire la porta alle imprese multinazionali’’ 4. Molto presto ci saranno delle manifestazioni importanti, sia in sostegno di Lula ma anche contro il neoliberismo seguendo una agenda autonoma di orientamento socialista’’: ‘’Credo – prosegue Stedile – che stiamo entrando in un periodo di grandi mobilitazioni di massa, sia per difendere i diritti dei lavoratori, perché il livello della disoccupazione aumenta e arriva al 14% nella grande San Paolo, che è la regione più industrializzata del paese, sia per difendere la previdenza sociale e altri diritti. E ci saranno anche manifestazioni per difendere il presidente Lula e contro il golpismo. Nelle prossime settimane faremo manifestazioni già programmate per l’8 marzo. I maestri sono già in agitazione e in vari stati già inizia lo sciopero, come ieri a Rio de Janeiro. Dal prossimo 15 al 17 marzo ci sarà uno sciopero nazionale dei maestri poi il 31 marzo ci sarà una mobilitazione nazionale del Frente Brasil Popular in tutto il paese, con un’agenda dettata dalla classe lavoratrice. E nel mese di aprile ci saranno lotte popolari dei contadini’’. In questo modo i Senza Terra si collocano a sinistra delle ‘’socialdemocrazie’’ proponendo agli operai e ai contadini una rottura netta col capitalismo dei BRICS, troppo spesso a torto elogiato. Domanda: i ceti operai e proletari brasiliani li seguiranno?
Una cosa è certa: la crisi del capitalismo internazionale non lascia nel lungo periodo spazio a soluzioni redistributive di stampo keynesiano. Le difficoltà del socialpopulismo – usando le parole di Petras: sinistra personalista – ne sono la prova più eloquente. La classe operaia riuscirà a rientrare in gioco riaprendo una nuova ‘’epoca’’ di conflitti sociali e politici?
L’ottimismo è d’obbligo.

http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=5694&pg=14868

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!intervista-james-petras/cziw

http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/03/20/brasile-corruzione-golpe-piazze-contrapposte-tensione-alta-076873

http://www.comitatomst.it/node/1134

1 commento per “Brasile: prove generali di destabilizzazione?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.