Credo che per valutare lucidamente le cose, quindi anche un film (specie quando è stato di fatto elevato a simbolo di un’epoca, quella attuale), bisogna lasciarle decantare, aspettare un po’ di tempo, far passare il clamore, e poi rifletterci con calma e a bocce ferme, come si suol dire.
La prima osservazione da fare è che la scelta di premiare un film (così come un libro) è sempre una scelta “politica”. Si decide quale film dovrà essere sostenuto o meno sulla base di tante considerazioni appunto di natura politica. Sostenere il cinema (e la produzione cinematografica) di un paese piuttosto che di un altro può ad esempio aiutare a dare una spinta complessiva (economica, di immagine ecc.) a quel determinato paese, specie se quel paese è un “alleato” e sta attraversando un momento di difficoltà. A mio parere, anche questo aspetto ha avuto il suo peso nella decisione di individuare ne “La grande bellezza” il film da premiare.
C’è n’è però anche un altro, a mio parere, anche se non immediatamente percepibile.
La premessa è che sono un estimatore di Sorrentino di cui ho visto e apprezzato molto tutti i suoi film di cui a mio modesto parere il più bello è proprio il primo:”L’uomo in più”..
Mi è piaciuto molto anche “La grande bellezza”, una sorta di “focus” cinico e disincantato sulla tragicità della vita e dell’essere.
“Lasciate ogni speranza o voi che entrate (nel mondo)” – sembra dirci in buona sostanza Sorrentino – l’unica cosa che ci resta da fare è cercare di vivere questa vita in cui siamo stati gettati nostro malgrado con il massimo della leggerezza e dell’ironia possibile; di più e di meglio proprio non si può fare. Anzi, più si fa, più ci si impegna per cercare di trovare un senso alle cose e peggio si sta. Quindi tanto vale rilassarci, lasciar fluire le cose e cercare di divertirci, per quanto ci è possibile, fermo restando che quel vuoto, quel senso profondo di angoscia, non potrà mai essere eliminato”.
Da un certo punto di vista verrebbe spontaneo dire:”Come dargli torto?” Qualsiasi persona consapevole sa che per quanti sforzi possa produrre per cercare di costruire un orizzonte di senso, non riuscirà mai a darsi delle risposte definitive e soprattutto non riuscirà mai a scacciare una volta per tutte quel demone che si agita dentro di lui che lo rimette sistematicamente di fronte a quella domanda (di senso) a cui egli stesso cerca di dare disperatamente una risposta.
Dal punto di vista concettuale è anche e proprio per questa ragione che si è scelto di premiare questo film. Perché nonostante le apparenze, rispetto a tutti gli altri che il regista ha realizzato, è quello decisamente più in sintonia con l’ideologia dominante. Direi anzi che è un film assolutamente innocuo se non addirittura funzionale per il sistema sociale, politico e culturale dominante.
In tutti gli altri film, la dimensione tragica-esistenziale (presente in tutti i film di Sorrentino) era accompagnata da una tensione alla possibilità (della trasformazione della realtà), ad un possibile orizzonte di senso (sia esso sociale o “sentimentale”) che in qualche modo conviveva con il primo aspetto, cioè con la dimensione dell’angoscia che comunque accompagna tutti gli umani consapevoli per l’intero corso della loro vita.
“La grande bellezza” è invece una resa incondizionata (e nichilistica) alla “tragicità dell’essere”. Ma abbandonarsi alla “tragicità dell’essere” significa di fatto abbandonarsi allo status quo, o meglio, alla tragicità dello status quo. E da cosa è dato oggi lo status quo? Dal sistema capitalistico assoluto la cui ideologia si fonda proprio sulla presunta intrasformabilità della realtà e sulla necessità della sua totale e passiva accettazione. Il sistema capitalistico ha buon gioco in questa fase storica nel sostenere questa tesi perché tutti i tentativi (sostanzialmente, il comunismo) messi in campo per cercare di superarlo e di imprimere una svolta radicale alla storia, sono falliti. “E sono falliti – ci spiegano i suoi cantori (a stipendio) perché il capitalismo non è una forma storica dell’agire umano ma una dimensione ontologica dell’essere, e per questo immodificabile, intrasformabile ed eterna. E proprio per questo anche “tragica”.
Il capitalismo, che viene in questo modo “naturalizzato” (“Capitalismo sive natura”, parafrasando il grande Spinoza) non si pone il problema del superamento delle sue contraddizioni strutturali e insanabili, viceversa le accetta, le rivendica e le considera insuperabili, proprio perché considera insuperabile l’ordine sociale, e quindi naturale, delle cose. Un ordine che deve essere accettato, al quale bisogna rassegnarsi. “Accettate (lo status quo), producete (chi ancora è in grado di farlo…) e consumate (chi può…). E cercate di spassarvela quanto più potete (sempre chi può…), non state a interrogarvi più di tanto perché non serve a nulla se non a far lievitare l’angoscia, e soprattutto non provate a cambiare le cose perché è del tutto inutile”. Questo il messaggio.
Non sono in grado di dire se Sorrentino sia consapevole del risvolto filosofico (forse faremmo meglio a dire ideologico…) del suo film. Per quanto mi riguarda è questo.
“La grande bellezza”, che resta comunque un film pregevole e sicuramente degno di essere visto e commentato, potrebbe essere un vero e proprio manifesto ideologico del nichilismo (capitalista) attualmente dominante nei confronti del quale Sorrentino ci invita a fare buon viso (per lui è certamente più facile…).
Con molta educazione la mia risposta è:”No grazie, con tutta la simpatia (autentica) per il protagonista, il “mitico” Jeppy Gambardella, io non mi rassegno”.
E credo che non si sarebbero rassegnati neanche Eizenstein, Pasolini, Leone o Kubrik, per rimanere in ambito cinematografico.