La grande maggioranza dei migranti sono maschi, come spiega Sara Gandolfi in questo articolo pubblicato sul blog della 27esima ora del Corriere della Sera http://27esimaora.corriere.it/articolo/uomini-soli-verso-leuropastudio-sui-migrantiin-italia-9-su-10-sono-di-sesso-maschile/ . In Europa il 73% dei richiedenti asilo sono uomini e in Italia sono addirittura il 90%.
L’articolo lancia un allarme: lo “squilibrio di genere”, cioè il preponderante numero degli uomini rispetto a quello delle donne, sarebbe la causa dell’aumento delle violenze da parte degli immigrati. Del resto – continua l’articolo – l’80-90% dei crimini è commesso da giovani uomini adulti. Non poteva mancare, naturalmente, il parere dell’ “esperto”, in questo caso tale Andrea Den Boer, docente di politica e relazioni internazionali all’Università di York, il quale spiega che “finora non è stato compiuto alcuno studio specifico nelle popolazioni migranti, ma le mie ricerche in India e in Cina (dove la politica del figlio unico ha provocato un netto calo nella nascita di femmine, ndr) confermano che gli squilibri di genere nelle popolazioni più giovani conducono a una maggiore instabilità sociale, tra cui un aumento della criminalità e della violenza, in particolare contro le donne”. Non avevamo dubbi…
Secondo l’esperto di turno “le società con un alto numero di uomini che rimangono ai margini della società — perché impossibilitati a sposarsi o a ricongiungersi con le famiglie, o perché disoccupati — sono più instabili e soffrono di un crescente numero di crimini, abuso di droga, gang fuorilegge, inoltre i celibi sono più propensi a commettere atti criminali rispetto agli uomini sposati o impegnati sentimentalmente e i giovani uomini soli tendono ad unirsi in gruppo e, inevitabilmente, il comportamento di un gruppo è più antisociale di quello di un individuo solo”. “Come dimostrato dai fatti di Colonia” (e ci mancherebbe altro…) si affretta a sottolineare l’autrice dell’articolo.
Insomma, sembra proprio che il problema sia l’esistenza stessa dei maschi, la loro “condizione ontologica”, dal momento peraltro che, come viene ribadito ancora una volta dall’articolista “il pericolo non necessariamente è dovuto alla fede dei profughi ma (appunto) allo “squilibrio di genere”.
Et voilà… La violenza non è riconducibile a questioni di appartenenza religiosa (ne eravamo già convinti, per quel che ci riguarda), e solo in subordine a ragioni di ordine sociale – ci spiegano – ma al sesso.
Naturalmente, quando si tratta di questi temi, ci si ferma in superficie e ci si guarda bene dall’approfondire. Eppure non c’è bisogno di essere degli “esperti” per porsi la domanda più ovvia, quella che dovrebbe sorgere spontanea in chiunque, e cioè: come mai la maggioranza dei migranti sono maschi? Sia la giornalista che l’ “esperto” si soffermano sugli effetti (l’aumento delle violenze), dando per scontata la causa, ovvero i maschi i quali, abbandonati a loro stessi, senza cioè una figura femminile che li accudisca, sarebbero destinati a comportamenti violenti e antisociali. Ma non si chiedono, appunto, quale sia la ragione che fa sì che siano prevalentemente gli uomini ad emigrare.
E perché non se lo chiedono? Perché se lo facessero dovrebbero inevitabilmente darsi una risposta. Ma questa non potrebbe essere in linea (a meno di metaforici e improbabili tripli salti carpiati) con il mantra ideologico dominante che vede gli uomini, tutti, sempre, comunque e dovunque, in una posizione di privilegio nei confronti delle donne, e queste ultime in una condizione di svantaggio e di discriminazione. A meno di non considerare quella dell’immigrato una condizione di privilegio, se si approfondisse appena un po’, si dovrebbe inevitabilmente arrivare alla conclusione che l’assunto di cui sopra è falso. Noi che non abbiamo di questi timori, osiamo porci domande tanto scomode e anche azzardare delle risposte.
Perché, dunque, la maggioranza degli immigrati è composta da uomini?
Perché, da sempre, sono gli uomini ad andare in avanscoperta, per terra, sotto la terra, per mare, sotto il mare, per aria, anche e soprattutto quando questo comporta gravi rischi. Sono gli uomini ad andare in prima linea (con le buone o con le cattive…), e sono sempre gli uomini quelli disponibili ad accettare qualsiasi condizione di lavoro, anche la più pesante e rischiosa per la propria vita (lo dicono le percentuali dei caduti sul lavoro, non il sottoscritto) in ogni contesto e in ogni latitudine. E’ del tutto evidente, quindi, che siano in maggioranza anche gli uomini ad emigrare, perché ciò comporta affrontare i pericoli del viaggio, le difficoltà di inserimento e di integrazione in un contesto sociale il più delle volte se non sempre ostile, l’accettazione dei lavori più pesanti, nocivi e sottopagati e condizioni sia materiali che immateriali di esistenza estremamente dure.
Perché lo fanno? Per dovere, per senso di responsabilità, per condizionamento culturale e sociale, per paura di essere malgiudicati o socialmente disprezzati o semplicemente perché qualcuno dovrà pur farlo e chi se non loro?
Le ragioni sono tante e diverse e sarebbe necessario approfondire, esattamente quello che non fanno gli “esperti” e gli “intellettuali” di regime (e fra questi ci metto anche e soprattutto quelli/e di “sinistra”), ma non lo faccio ora perché ci porterebbe troppo lontano (lo faremo in altra occasione). Sta di fatto che lo fanno e continuano a farlo. E sono quelle stesse ragioni – è fondamentale sottolinearlo – che spingono gli uomini a infrangere la legalità più di quanto non facciano le donne, a meno di non considerare gli uomini più “cattivi” delle donne per inclinazione naturale e/o per condizione ontologica (sappiamo che in molte/i pensano una simile aberrazione ma anche in questo caso scegliamo di rinviare il discorso). Ed è quindi sempre per quelle stesse ragioni che la grande maggioranza della popolazione carceraria, più o meno ovunque, è composta da uomini, così come la quasi totalità dei condannati a morte: negli USA la percentuale di questi ultimi è del 99,04 di uomini a fronte dello 0,96 di donne. Percentuali da brivido che, a parti invertite, sarebbero considerate insopportabili e inaccettabili da chiunque (le attuali, cioè quelle reali, sembrano invece accettabilissime se non considerate fisiologiche), e avrebbero già da tempo provocato il finimondo, nel senso letterale del termine.
Ma, come ho appena detto, queste ovvie e semplici constatazioni, visibili a chiunque abbia appena mezzo occhio per vedere, devono risultare invisibili. Può sembrare un paradosso ma così non è.
Mi chiedo: non è forse venuto il momento di approcciare questi temi con uno spirito più laico e meno ideologico, e quindi con molta maggior lucidità? Non è giunto il momento di osservare la realtà per quella che è e non per quella che vorremmo che fosse, sulla base dei nostri postulati ideologici, specie quando questi ultimi non hanno più alcuna aderenza con la realtà stessa?
E ancora, ed è ciò che più mi sta a cuore, non ci sfiora il dubbio che la crisi profonda in cui versa la sinistra sia dovuta anche e proprio a questa incapacità/non volontà di osservare la realtà fuori e oltre quelle gabbie ideologiche?
Il dibattito è, come sempre, aperto. Nella speranza che qualcuno riesca a superare il timore di infrangere il tabù e lo raccolga. Noi lo abbiamo già fatto.