Pubblichiamo queste due interviste al filosofo francese Jacques Rancière, a parere di chi scrive, molto interessanti e in larghissima parte condivisibili. Mi preme sottolineare un passaggio, fra gli altri, contenuto nella seconda intervista in ordine di lettura (è del 14 aprile dell’anno scorso ma tuttora attualissima) che è questo: “Il FN si è installato sulle macerie della sinistra comunista ed extra-parlamentare…” E ancora:” Bisogna lottare contro il sistema che produce il FN e dunque anche contro la tattica che utilizza la denuncia del FN per mascherare la svolta a destra galoppante delle élites di governo e del ceto intellettuale”.
Poche parole, ma efficacissime. Non bisogna scambiare l’effetto (il Front National) con la causa, cioè il sistema (di cui anche la “sinistra” è parte integrante) che lo produce, come afferma lui stesso nel corso delle due interviste. Ergo, per combattere l’effetto è evidente che è innanzitutto necessario combattere la causa (che lo genera).
Un’analisi lucidissima che svela l’ipocrisia sia delle forze politiche “moderate” che di quelle di “sinistra” che demonizzano il FN per coprire le loro responsabilità, la loro reale funzione e soprattutto il loro totale asservimento al sistema capitalista. Ma il FN –come spiega appunto Ranciere – niente altro è se non il prodotto di quello stesso sistema (di cui fa parte anch’esso a pieno titolo, sia chiaro, anche se gioca a recitare la parte dell’opposizione) che lo demonizza ipocritamente e lo utilizza come collante per poter chiamare a raccolta l’elettorato contro il rischio di una svolta xenofoba e autoritaria.
E’ esattamente quello che sta accadendo anche in Italia con la Lega Nord (di fatto la versione italiana del FN) più altre truppe destroidi varie, cioè una finta opposizione populista, nazionalista e “antieuropeista” (ma niente affatto anticapitalista e antimperialista), intrisa di razzismo, sia pur malcelato dietro ad improbabili teorie “differenzialiste” e culturaliste”.
La risposta a questa situazione? “Non potrà certo venire dall’attuale “sinistra” – come spiega ancora Ranciere – ma da “forze popolari nuove, che si sviluppino in modo autonomo, con proposte, forme di discussione e di azione ben diverse da quelle delle agende politiche fissate dai partiti di Stato e rilanciate dai media.
Di seguito le due interviste:
È stato sorpreso dalla portata dell’avanzata del Front national?
Non mi piace giocare a fare il profeta, ma nel 1997 avevo scritto un testo satirico intitolato Sept règles pour aider à la diffusion des idées racistes en France (trad. it. Sette regole per l’aiuto alla diffusione del razzismo in Francia, in “Deriveapprodi”, 14, 1997). Lì mettevo a nudo il doppio gioco dei politici, dei giornalisti e degli intellettuali che stigmatizzavano il FN e i suoi elettori pur diffondendo le sue idee, e soprattutto rilanciando l’ossessione del “problema”-immigrati. In seguito si è fatto di meglio. Alcuni intellettuali, sedicenti “di sinistra”, hanno agevolato il rinnovamento dell’ideologia del FN arruolando la République, la laicità, l’universalismo e l’uguaglianza dei sessi al servizio della stigmatizzazione dei “barbari”. E i partiti di governo, che hanno permesso la distruzione del tessuto industriale e delle solidarietà sociali, hanno preso il sopravvento con le loro campagne “repubblicane”. Quando tutte queste persone dicono “siamo il solo bastione contro l’FN”, non mi stupisco del numero di quanti pensano che, tutto sommato, gli assalitori possano forse essere preferibili a questo bastione.
Di fronte a un simile disastro, si può ricostruire la sinistra ?
Se chiamiamo “sinistra” ciò che gravità intorno al PS e ai suoi parassiti istituzionali e culturali, non vedo come possa rimediare, più della destra che gli fa da pendant, alla situazione che essa stessa ha creato. Non si è mai vista una classe di governo suicidarsi. Nel lungo periodo la speranza non può che venire da forze popolari nuove, che si sviluppino in modo autonomo, con proposte, forme di discussione e di azione ben diverse da quelle delle agende politiche fissate dai partiti di Stato e rilanciate dai media .
Le esperienze di mobilitazione all’estero – Syriza, Podemos, Occupy Wall Street non vi appaiono come fonti di speranza?
Il “movimento delle piazze” ha posto l’esigenza di questa autonomia radicale in rapporto alle agende di Stato e a quelle mediatiche. Però non ha trovato i mezzi per inserirsi nel tempo o, in quel momento, è stato recuperato dalla logica parassitaria della “sinistra della sinistra”.
Lei non crede alla possibilità di ricostruire la sinistra nel quadro attuale?
Non vedo come questo quadro potrebbe cancellare gli effetti che ha prodotto. Il FN è un puro prodotto del sistema della Quinta Repubblica, che permette a un partito minoritario di governare senza intralci per poi lasciare periodicamente il posto al partito rivale. Il Front ha saputo occupare il posto che il cosiddetto sistema “maggioritario” e la professionalizzazione della politica lasciano vuoto: quello dell’escluso del sistema. La regola del gioco, concepita per permettere alla classe politica di governare tranquillamente, non ha solamente prodotto l’effetto elettorale opposto a quello ricercato. Essa ha anche annichilito la vita politica democratica e le energie militanti capaci di resistere. La sinistra di governo, i media e la classe intellettuale sono forse pronti a chiedersi: “che mondo stiamo costruendo”? Solo una strada politica in cui il sorteggio abbia la sua parte e in cui i governanti restino tali per un tempo limitato potrebbe interdire situazioni simili a quelle che oggi conosciamo.
Ma non c’è urgenza di agire? Il FN non è una minaccia per la democrazia?
Non scambiamo le cause per gli effetti. Il successo del FN è un effetto della distruzione effettiva della vita democratica per mezzo della logica consensuale. Si vorrebbe equiparare il FN alle squadre paramilitari di altri tempi, reclutate nei bassi fondi per abbattere il sistema parlamentare in nome di un ideale di rivoluziona nazionale. Ma il FN è un partito parlamentare che deve il proprio successo alle contro-effettualità del sistema elettorale in vigore e alla gestione mediatica dell’opinione attraverso il metodo del sondaggio e del commento permanente. Non vedo che cosa potrebbe guadagnare da avventure antiparlamentari e paramilitari mutuate dai movimenti fascisti degli anni ’30. I suoi avversari elettorali sperano di trarre profitto da questa equiparazione. Ma quelli che vogliono “costituzionalizzare” lo stato di eccezione sono forse i protettori della democrazia minacciata? La lotta contro il FN è la lotta contro il sistema che lo ha prodotto (una posizione sostenuta anche in una precedente intervista, qui, ndr).
*Intervista raccolta da Éric Aeschimann, apparsa il 10/12/2015 su Le Nouvel Observateur, scaricabile qui.
Traduzione e cura di Alessandro Simoncini
Jacques Rancière sugli equivoci della campagna Charlie e i frutti avvelenati di un certo “repubblicanesimo” socialista. Gira su vari siti e sintetizziamo da quello originario (OBS, 2 aprile 2015) un’intervista di rilevante interesse del filosofo Jacques Rancière, l’autore della Mésentente e del Maître ignorant.
Tre mesi fa la Francia sfilava in nome della libertà d’espressione, ma le ultime elezioni dipartimentali sono state segnate da una nuova ascesa del Fronte Nazionale. Come analizzate questa rapida sequenza apparentemente contraddittoria?
Non è affatto sicuro che ci sia una contraddizione. Tutti, certo, erano d’accordo nel condannare gli attentati di gennaio e nel felicitarsi per la reazione popolare che è seguita. Ma l’unanimità richiesta sulla libertà di espressione ha implicato una confusione. In effetti, la libertà d’espressione è un principio che governa i rapporti fra gli individui e lo Stato, vietando a quest’ultimo di impedire l’espressione di opinioni avverse. Quello che invece è stato calpestato il 7 gennaio a «Charlie» è un principio ben diverso: il principio che non si spara a qualcuno perché non si ama quanto dice, il principio cioè che regola il modo in cui individui e gruppi vivono insieme e imparano a rispettarsi a vicenda. Invece di interessarsi a tale dimensione, si è+ preferito polarizzarsi sul principio della libertà di espressione. Così facendo, si è aggiunto un nuovo capitolo alla campagna che, da anni, utilizza i grandi valori universali per meglio squalificare una parte della popolazione, opponendo i “bravi Francesi”, partigiani della Repubblica, della laicità o della libertà d’espressione, agli immigrati, invariabilmente presentati per comunitaristi, islamisti, intolleranti, sessisti e retrogradi.
Si invoca spesso l’universalismo come principio della vita in comune. Ma proprio l’universalismo è stato confiscato e manipolato. Trasformato in segno distintivo di un gruppo, serve a mettere in stato d’accusa una precisa comunità, specialmente mediante campagne frenetiche contro il velo. È questo lo sviamento da cui l’11 gennaio non ha saputo prendere le distanze. Le sfilate hanno riunito senza distinzioni chi difendeva i princìpi di una vita in comune e chi esprimeva i propri sentimenti xenofobi.
Intendete dire che quanti difendono il modello repubblicano laico contribuiscono involontariamente a sgombrare il terreno per il Fronte Nazionale?
Ci si dice che il FN si è “de-demonizzato”. Che significa? Che ha messo da parte le persone più apertamente razziste? Sì. Ma soprattutto che è evaporata la differenza stessa fra le idee del FN e quelle considerate rispettabili e appartenenti all’eredità repubblicana. Da una ventina d’anni gli argomenti al servizio della xenofobia o del razzismo sono venuti da certi intellettuali della sinistra sedicente “repubblicana”. Il FN non ha più bisogno di dire che gli immigrati ci rubano il lavoro o che sono tutti piccoli delinquenti. Gli basta proclamare che non sono laici, che non condividono i nostri valori, che sono comunitaristi…
I grandi valori universalisti –laicità, regole, comuni per tutti, eguaglianza uomo-donna– sono diventati lo strumento per distinguere fra “noi” che aderiamo a quei valori e “loro” che non vi aderiscono. Il FN può economizzare i suoi argomenti xenofobi, che gli sono forniti nelle forme più onorevoli dai “repubblicani”.
Insomma, sarebbe il senso stesso della laicità a essere stato pervertito. Che cosa rappresenta la laicità per voi?
Nel XIX secolo la laicità è stata per i repubblicani l’attrezzo per liberare la scuola dalla presa esercitata dalla Chiesa cattolica, specialmente dopo la legge Falloux del 1850. La nozione di laicità designa così l’insieme del misure specifiche adottate per distruggere questa presa. Orbene, a partire dagli anni ’80, si è deciso di farne un grande principio universale. La laicità era stata concepita per regolare le relazioni fra Stato e Chiesa cattolica. La grande manipolazione è consistita nel trasformarla in una regola cui tutti i singoli devono sottomettersi. Non spetta più allo Stato essere laico, spetta agli individui.
E come si scoprirà se una persona deroga al principio di laicità? Guardando cosa si mette in testa. Quando ero bambino, nei giorni della prima comunione andavamo a trovare i compagnucci non cattolici con le nostre fasce di comunicandi e distribuendo loro dei santini. Nessuno pensava che così si mettesse in pericolo la laicità. La posta in gioco era piuttosto, allora, il finanziamento: a scuola pubblica fondi pubblici, a scuola privata fondi privati.
Questa laicità incentrata sui rapporti fra scuola pubblica e scuola privata è stata sepolta a favore di una laicità che pretende di regolamentare il comportamento degli individui e che è utilizzata per stigmatizzare una parte della popolazione puntando sull’apparenza fisica dei suoi membri. Alcuni hanno spinto il delirio fino a reclamare una legge che proibisca di portare il velo in presenza di un bambino.
Ma da dove verrebbe questa volontà di stigmatizzare?
Ci sono diverse cause, alcune legate alla questione palestinese e alle forme di intolleranza reciproca che essa alimenta qui. Ma c’è anche il “grande risentimento di sinistra”, nato dalle grandi speranze degli anni ’60-’70 e poi dalla loro liquidazione da parte del partito sedicente “socialista” quando è arrivato al potere. Tutti gli ideali repubblicani, socialisti, rivoluzionari, progressisti sono stati rivolti contro se stessi. Sono diventati il contrario di quello che erano ritenuti essere: non più armi da combattimento per l’eguaglianza ma armi di discriminazione, diffidenza e disprezzo nei confronti di un popolo posto come abbrutito o retrogrado. Invece di combattere l’accrescimento delle diseguaglianze, lo si legittima squalificando coloro che ne subiscono gli effetti. Pensiamo al modo in cui la critica marxista à stato dirottata per alimentare una denuncia dell’individuo democratico e del consumatore dispotico –denuncia che colpisce quanti hanno meno da consumare…Il dirottamento dell’universalismo repubblicano in pensiero reazionario, che stigmatizza i più poveri, partecipa della stessa logica.
Non è legittimo combattere il velo, che non sembra proprio un gesto di emancipazione femminile?
Il problema è capire se la scuola pubblica ha la missione di emancipare le donne. In tal caso, non dovrebbe egualmente emancipare i lavoratori e tutti i dominati della società francese? Esistono molte forme di assoggettamento –sociale, sessuale, razziale. Il principio di un’ideologia reattiva è di puntare su una forma particolare di sottomissione per meglio confermare le altre.
Gli stessi che denunciavano il femminismo come “comunitario” si sono in seguito scoperti femministi per giustificare la legge anti-velo. Lo statuto delle donne nel mondo musulmano è certamente problematico, ma tocca innanzi tutto alle interessate liberarsi di quanto per esse è oppressivo. In generale, spetta a chi subisce l’oppressione lottare contro la sottomissione. Non si liberano le persone per sostituzione.
Torniamo al FN. Voi avete spesso criticato l’idea che il “popolo” sia razzista per natura e affermato che gli immigrati sono vittime di un razzismo “dall’alto” piuttosto che “dal basso” (identificazioni poliziesche, ghettizzazione, difficoltà di impiego e di affitto per chi ha un nome di origine straniera, ecc.). Ma il fatto che il 25% dei voti vadano a un partito che vuole congelare la costruzione di moschee non è un sintomo di pulsioni xenofobe diffuse? JR Innanzi tutto, queste pulsioni xenofobe vanno ben al di là dell’elettorato di estrema destra: che differenza passa fra un sindaco FN che a Béziers cambia nome a Via 19 marzo 1962 [la data della fine della guerra di Algeria] e gli eletti UMP che auspicano l’insegnamento degli aspetti positivi della colonizzazione o Sarkozy che si oppone ai menu senza maiale nelle mense scolastiche o gli intellettuali sedicenti “repubblicani” che vogliono escludere le ragazze velate dall’Università?
Del resto, è semplicistico ridurre il voto FN a espressione di idee razziste e xenofobe. Esso è l’effetto strutturale della vita politica francese così come organizzata dalla V Repubblica, che permette a una piccola minoranza di governare a nome di tutti, aprendo così uno spazio al gruppo politico capace di dichiarare: «Noi siamo fuori da quel teatrino». Il FN si è installato sulle macerie della sinistra comunista ed extra-parlamentare, mentre non si è formato in Francia un equivalente del movimento xenofobo tedesco Pegida e non c’è alcuna somiglianza con le milizie fasciste degli anni ’30.
Ma allora non ci sarebbe bisogno di una battaglia contro il FN…
Bisogna lottare contro il sistema che produce il FN e dunque anche contro la tattica che utilizza la denuncia del FN per mascherare la svolta a destra galoppante delle élites di governo e del ceto intellettuale.
Non vi turba dunque l’ipotesi di un suo arrivo al potere?
Se il FN è il frutto dello squilibrio proprio della nostra logica istituzionale, ipotizzo piuttosto una sua integrazione nel sistema. Ci sono già adesso molte analogie fra il FN e le forze del sistema. Probabilmente ci sarebbero degli effetti sgradevoli per gli immigrati, ma non penso a espulsioni e rimpatri di massa […] piuttosto ad azioni simboliche. Un governo di coalizione UMP-FN non sarebbe molto differente da un governo UMP.
Alla vigilia del primo turno elettorale, il premier M. Valls ha rimproverato gli intellettuali francesi di sinistra di essersi “addormentati”. Vi siete sentito chiamare in causa?
Dov’è la sinistra? –chiedono i socialisti. Semplice: dove l’hanno portata, cioè al nulla. Il ruolo storico del PS è stato quello di uccidere la sinistra. […] Altro che silenzio degli intellettuali: da decenni certuni di loro hanno straparlato, sono diventati star, mostri sacri. Hanno largamente contribuito alle campagne d’odio sul velo e la laicità. Hanno chiacchierato sin troppo. Aggiungo che fare appello agli intellettuali significa fare appello a gente tanto cretina da giocare il ruolo di portavoce dell’intelligenza. Non lo si può fare se non in opposizione a un popolo concepito come composto di bruti retrogradi. Si torna così a perpetuare l’opposizione fra coloro che “sanno” e coloro che “non sanno”: esattamente quanto bisognerebbe infrangere se si vuole lottare contro la società del disprezzo, di cui il FN è solo un’espressione particolare.
[…] Per quanto mi riguarda, non ci si deve attendere da singoli individui che possano sbloccare la situazione. Tocca piuttosto a movimenti democratici di massa che non siano legittimati dal presunto possesso di un privilegio intellettuale.
[A partire dal mio lavoro filosofico, volto a demistificare la separazione, a partire da Platone, fra “colti” e “incolti”, governanti educati e responsabili e governati impulsivi e ignoranti, ho sostenuto che] da sempre i governanti hanno giustificato il loro potere attribuendosi le virtù presunte proprie di una classe illuminata: prudenza, moderazione, saggezza…I governi attuali si valgono di una scienza, l’economia, di cui non farebbero che applicare le leggi dichiarate oggettive e ineluttabili –leggi che miracolosamente si accordano con gli interessi delle classi dominanti.
Si è ben visto quali disastri economici e quale caos geopolitico siano stati prodotti negli ultimi 40 anni dai detentori della vecchia saggezza dei governanti e della nuova scienza economica. La dimostrazione dell’incompetenza dei presunti competenti suscita semplicemente il disprezzo dei governati nei riguardi dei governanti che li disprezzano. La manifestazione positiva di una competenza democratica dei supposti incompetenti è però tutt’altro problema.
Fonte: http://www.dinamopress.it/news/ranciere-e-gli-ideali-repubblicani-intervista