Il rapporto del Censis di De Rita ci fa sapere che l’Italia, con una crescita dello zero virgola, se non è al declino poco ci manca, e la colpa non è degli attentati terroristici, ma dello stile di vita degli Italiani, troppo pigri e prudenti. Non si mettono in gioco fino in fondo, non rischiano, mentre “nelle banche giace inoperosa una montagna di risparmi, un cash cautelativo, che supera i 4.000 miliardi, molti depositi e contanti, sempre meno azioni e partecipazioni”.
Certamente dovranno cambiare “stile di vita” i centotrentamila bidonati dalle quattro banche salvate da Renzi, che hanno imparato a loro spese che fidarsi delle banche non è un rischio: è sempre e comunque una fregatura. Il Censis, si sa, non è un vero centro studi, ma essenzialmente un organo di propaganda, perciò questa colpevolizzazione dei risparmiatori risulta funzionale al chiamarli a pagare per l’insolvenza delle banche.
Nella vicenda di quelle che in gergo finanziario sono chiamate “sofferenze” bancarie, il governo tedesco si è comportato come il Don Giovanni di Molière: dopo aver foraggiato con i soldi dei contribuenti i banchieri in crisi, ora si atteggia a censore nei confronti dei governi europei che volessero fare altrettanto, e tempo fa ha costretto l’Unione Europea ad approvare le regole del cosiddetto “bail in”, cioè la garanzia interna delle banche a spese dei loro risparmiatori. In tal modo il governo Merkel cerca di favorire l’acquisizione da parte delle multinazionali tedesche di istituti bancari in crisi in altri Paesi europei. Per la verità il governo italiano appare il più preparato ad adeguarsi alle nuove regole, dato che in Italia l’assistenzialismo per banchieri è stato finanziato soprattutto a spese dell’utenza. Il governo Monti impose ai pensionati di aprire un conto corrente per poter riscuotere la pensione, ed altrettanto fu imposto a centinaia di migliaia di dipendenti pubblici che percepivano direttamente il loro cash agli sportelli della Banca d’Italia. “Bail in” o “bail out”, la regola aurea non cambia: sono sempre i poveri a dover versare l’elemosina ai ricchi. I banchieri non devono infatti temere più di tanto, dato che per loro c’è il Meccanismo Europeo di Stabilità, o Fondo Salva Stati – che ha in effetti salvato solo banche -, un fondo finanziato dagli Stati, cioè dai contribuenti, ma i cui aiuti per le banche, chissà perché, non sono considerati aiuto statale. Poi per le banche ci sono anche i prestiti ad interessi zero della BCE. Insomma, un bengodi. Peccato che alle banche non basti mai ed, anzi, continuino a “soffrire”.
La colpevolizzazione del risparmio assume però anche una valenza propagandistica in chiave di rilancio del consumismo. Uno dei mantra più diffusi della propaganda in tempi di ISIS, soprattutto dopo gli attentati di Parigi, sembra avere come argomentazione quella della contrapposizione degli stili di vita fra “occidentali” e mussulmani o, come si dice oggi, “islamici”. Si tratta di un tipo di propaganda piuttosto rozza, ma che funziona sempre. Ci viene narrato che gli islamisti odiano la vita e, a maggior ragione, la “dolce vita” degli “occidentali”, la loro cultura, i loro divertimenti blasfemi. I leader occidentali promettono misure spietate contro i barbari bigotti, ma allo stesso tempo lanciano appelli accorati ai cittadini perché non si rinchiudano in casa, ma vadano a teatro, al ristorante o, semplicemente, a fare shopping, solo per dimostrare all’ISIS che non ha vinto.
Già nel 1939 il film “Ninotchka” di Ernst Lubitsch metteva a confronto le dolcezze dello stile di vita occidentale e capitalistico con quello di un bigottismo sovietico retrogrado. Anche se il film era di produzione americana, era però ambientato proprio a Parigi come luogo elettivo della dolcezza di vivere “occidentale”. Nel 2012 è uscito un film, ufficialmente di produzione saudita, “La Bicicletta Verde”, che riprendeva la tesi del consumismo come via di scampo alle strettoie del bigottismo, in quel caso bigottismo islamico. Il film era chiaramente di marca CIA-Mossad, ed il fatto che si sia cercato di far credere che l’autore fosse una donna costituiva un’esca per i “progressisti” occidentali, sempre troppo proni di fronte alle parodie del “politically correct”.
Lo schema propagandistico di questo tipo di film si basa sul confronto tra la “naturalezza” dell’edonismo capitalistico e le forzature ideologiche del comunismo o del fanatismo religioso. In realtà poi si è visto che gli slogan del capitalismo sono intercambiabili, perciò, quando serve, si ricorre al moralismo più vieto e bacchettone, ed arriva il Fondo Monetario Internazionale a colpevolizzare l’edonismo di chi vorrebbe “vivere al di sopra dei suoi mezzi”. Sia che il capitalismo si presenti nella versione libertino-licenziosa dell’edonista, oppure nei panni severi del “calvinista”, lo scopo della propaganda è comunque quello di costringere le opposizioni a sottostare a dei giochi di ruolo, impedendo così di andare a smascherare di volta in volta i camuffamenti del solito assistenzialismo per ricchi. Uno dei maggiori paradossi legati al terrorismo interno costruito dalla Nato e dai suoi alleati delle petromonarchie del Golfo Persico, è che, se da un lato si ottengono con questa solita vecchia formula degli effetti disciplinari ben sperimentati, legati ad un aumento indiscriminato (se mai potesse esisterne uno discriminato…) dei controlli, della presenza di polizia ed esercito nelle strade, delle restrizioni dei diritti formali del cittadino (basti ricordare il Patriot Act dopo l’11settembre); dall’altro lato c’è il rischio di un calo dei consumi già ridotti al lumicino dalla crisi, e quindi che le persone la smettano di indebitarsi sempre di più per merci di qualità sempre peggiore. Se è lecito nutrire qualche dubbio sul numero di disoccupati o lavoratori in difficoltà che la sera siano disposti a correre a teatro o al ristorante, è vero pure che i più terrorizzati sembrano essere gli addetti allo shopping e al marketing. In altri termini è bene terrorizzare la popolazione, ma bisogna evitare che smetta di indebitarsi per poter comprare. Anzi, bisogna far sì che il terrorismo venga percepito come incentivo ai consumi. Un terrorismo in funzione pubblicitaria.
Non mancano i precedenti della tesi che lo “stile di vita” da salvaguardare contro la minaccia terroristica sia proprio quello dello shopping. Nel suo secondo discorso alla nazione dopo l’attacco dell’11 settembre, il presidente Bush invitava gli statunitensi a mostrarsi forti e incitava “ad avere fiducia e a sostenere l’economia americana”. Il consumismo viene quindi fatto passare come un’espressione di eroismo civile, un’indomita difesa dei valori “occidentali” contro la minaccia della barbarie.
Il vicepresidente, Dick Cheney, era stato anche più diretto nel rappresentare questa mitologia del consumatore/eroe, e in televisione aveva espresso la sua personale speranza che: “gli americani reagiscano sbattendo in faccia ai terroristi il loro ottimismo”, e “non permettano in alcun modo che gli avvenimenti incidano sulla loro abituale attività economica”.
A New York, un giorno solo dopo la caduta delle torri, il sindaco Rudolph Giuliani ha raccomandato ai suoi elettori sgomenti : “Fate vedere che non siete spaventati. Andate al ristorante. Uscite a fare shopping.” Quando qualcuno nel mondo ha chiesto in che modo avrebbe potuto rendersi utile, lui ha risposto : “Venite qui a spendere i vostri soldi”.
A quando l’uso dello spauracchio del terrorismo anche nelle televendite?
Fonte: http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=702