Dopo Marino, la cuoca di Lenin

Pubblico ora questo saggio ispirato al tempo delle dimissioni del sindaco; ora che dopo i contorcimenti,il ritiro delle dimissioni e infine le dimissioni dei consiglieri del PD, la “tragedia” si è fatta “farsa”. La Storia, quella italiana particolarmente amata da Marx per questo lato giullaresco che al fine “rivela” sempre la miseria. Finisce l’ottobrata romana e inizia l’ottobre “ortodosso”.

Dopo Marino, la cuoca di Lenin.

“Me me andavo da quella Roma” e incontro una “cuoca”.
Mentre mi aggiravo, qualche giorno fa, con la mia bici per la Sabina “romana”, tra Montelibretti e Orvinio per ridiscendere verso la Tiburtina, fermandomi ad un caffè di Scandriglia mi ha colpito l’editoriale de “Il Messaggero”. Il sindaco Ignazio Marino aveva annunciato le dimissioni la sera prima (giovedì 8 ottobre 2015), la cagnara saliva e così “Me ne andavo da quella Roma… de funerali coi cavalli, de preti e de scontrini” per parafrasare “Mamma Roma Addio” la grande poesia d’amore per la città di Remo Remotti. Mi pare su queste strade, spesso solitarie, e in questi meravigliosi paesi, abitati da persone con la “sporta della spesa”, di capire meglio il caos romano. E’ spigolare alla Zavattini e forse illusione mistica comunque “Me ne andavo…” e mi capita per le mani l’opinione del direttore del “Menzognero” come con affetto i romani chiamano il “giornalone di Caltagirone”. Viraman Cusenza scrive “C’è un momento della verità nella vita di qualunque politico, grande o piccola che sia la poltrona che occupa. Quello in cui deve scegliere tra il bene della cosa che amministra e il tornaconto personale. In una parola, tra i cittadini che l’hanno eletto e se stesso. A questo cruciale passaggio, mentre Roma brucia, Ignazio Marino si è presentato con l’elmetto di chi resiste asserragliato nel bunker, mentre amici e nemici gli indicano la porta salutare dell’uscita. Un gesto puramente egoistico evitato soltanto in extremis, a tarda sera e in maniera confusa, con tanto di coda velenosa. Speriamo che non diventi una farsa. Questo è stato l’epilogo di un’operazione politica sbagliata. Una candidatura nata da una faida dentro il Pd dell’era bersaniana per mano di alcuni “senatori” protagonisti di vecchie stagioni e finita con una scheggia impazzita (il sindaco uscente) contro il partito che l’ha scelto, l’ha fatto eleggere e lo ha sostenuto. Speriamo se ne tragga una lezione salutare, non solo per il partito democratico che oggi nella Capitale raccoglie le macerie di una breve stagione all’insegna dell’emergenza continua. Fare il sindaco è una cosa seria. Un compito a cui in un certo senso ci si prepara da una vita: per vocazione e per esperienza. Non si passa con disinvoltura dal bisturi al timone di un transatlantico, pena un elevato rischio fallimento. Tranne che, dopo un secolo e tanti disastri, non si voglia ancora dare ragione a Lenin che credeva nel «governo delle cuoche»…” (Il Messaggero 9.10.2015).
Poi prosegue con la trita retorica, già snocciolata in avvio, incentrata sulla “competenza” ma il mio pensiero si era fermato lì: a Lenin e alle cuoche.

Il polpettone della cuoca

Insomma per il Cusenza, l’incompetenza di Marino, che come Nerone si trastulla mentre “Roma Brucia”, è un ultimissimo effetto dell’amore di Lenin per le cuoche. Ma sta cosa qui dov’è che la disse, Vladimir Il’ic? Soprattutto, che senso aveva allora e adesso a distanza di quasi 100 anni? La questione partita dal vociare romano implica un livello più complesso e merita un minimo di approfondimento.
Non ho competenze cirilliche –qui altri slavisti potrebbero aiutare-, né disponibilità per rovistare biblioteche ma i ricordi e la rete adesso aiutano.
Il mio ricordo più chiaro è quello di uno scritto di Lucio Magri, mio amatissimo maestro, che nel saggio “A 50 anni da Stato e Rivoluzione”, sul n 22 di “Socialismo e Democrazia” del settembre 1967, scrive “Per esprimerci con un paradosso che rovescia la celebre frase di Lenin: lo Stato “potrà essere diretto da una cuoca” solo nella misura in cui non esisteranno più cuoche” Qui le cose interessanti sono due: la frase “lo Stato potrà essere diretto da una cuoca” e il contesto, il dibattito attorno al celebre testo di Lenin, che però Magri non dice essere la sede della citazione. Se invece si va sulla rete, tra vari siti di aforismi e Wikipedia stessa, la frase è collocata senz’altro in “Stato e Rivoluzione”. Inoltre si legge una terza definizione “’Ogni cuoca dovrebbe imparare a governare lo Stato” con ulteriori varianti di genere (“Ogni cuoco…”).
Dove accidenti sta e perché è così variegata la frase?
Ho cercato bene in “Stato e Rivoluzione” non c’è alcun cenno a cuoca\chi\che, la cosa migliore reperibile rapidamente e che offre un qualche indizio sull’origine di quest’attribuzione è questa nota di Wikipedia alla voce “Stato e Rivoluzione” ‘Ogni cuoca dovrebbe imparare a governare lo Stato”, è il titolo di un manifesto murale del 1925. di Il’ja Makaryčev che attribuisce tale titolo a Lenin. In realtà Lenin non scrisse mai tale frase, che sembra piuttosto la parafrasi di un passo dello stesso Lenin contenuto nell’articolo ”I bolscevichi conserveranno il potere statale?”, pubblicato nell’ottobre del 1917, poche settimane prima della rivoluzione: « Non siamo degli utopisti. Sappiamo che una cuoca o un manovale qualunque non sono in grado di partecipare subito all’amministrazione dello Stato. In questo siamo d’accordo con i cadetti, con la Bresckovskaia, con Tsereteli. Ma ci differenziamo da questi cittadini in quanto esigiamo la rottura immediata con il pregiudizio che solo dei funzionari ricchi o provenienti da famiglia ricca possano governare lo Stato, adempiere il lavoro corrente, giornaliero di amministrazione. Noi esigiamo che gli operai e i soldati coscienti facciano il tirocinio nell’amministrazione dello Stato e che questo studio sia iniziato subito o, in altre parole, che si cominci subito a far partecipare tutti i lavoratori, tutti i poveri a tale tirocinio ». Cfr. Lenin, ”Opere”, vol. 26, p. 99.” Dunque quest’amplissima declinazione della povera cuoca “statista” è una parafrasi, forse inizialmente usata in qualche comizio e poi semplificata, finendo su un manifesto, da significare cosa diversa da ciò che intendeva Lenin .
Questo è il destino frequente, anzi inevitabile, di termini nati in ambiti teorici->passati alla battaglia di piazza come slogan semplificati (in questo caso si può davvero immaginarli urlati nelle giornate convulse del novembre 1917)-> tali immagini semplificate riprese come argomento retorico magari in ambito critico (come nel caso di Magri che paradossalmente restaura il significato originale) -> infine banalizzati per sostenere la moda del momento “la capacità\incapacità” da parte di detrattori come il Cusenza. Lascio ad altri ulteriori e specialistici studi filologici, la verità più scientifica della citazione, quello che invece è interessante, anche prospetticamente, a mio avviso è il contesto letterario –il libro “Stato e Rivoluzione”- e quello storico –il periodo attorno al novembre (ottobre) 1917 a Pietrogrado.

La cuoca al potere.

Stato e rivoluzione, Государство и революция (Gosudarstvo i revoljucija), sottotitolato La dottrina marxista dello Stato e i compiti del proletariato nella rivoluzione, viene scritto tra l’agosto e il settembre 1917, è pubblicato nel maggio del 1918. Nonostante, come dimostrato, non sia il luogo d’origine dell’iperbole della cuoca, ritengo sia il referente cui bisogna ritornare, per spiegarne il senso che a mio avviso, per ironia della storia, è proprio quello che ha in testa Cusenza.
L’opera ha un valore incommensurabile, sia dal punto di vista teorico, intervenendo con coraggio nel buco nero della “teoria dello Stato” marxista, sia dal punto di vista pratico costituendo il canovaccio strategico della rivoluzione d’ottobre. A mio avviso, modestissimo, la sua grandezza unica nella “Storia” è rilevabile nella sua, propria, “classicità” data dal nesso, perfetto, tra teoria e prassi: la sua altezza teorica simultanea alla forza nella direzione dell’azione. E’ paragonabile a “Il Principe” di Machiavelli ma con la differenza specifica di conchiudere perfettamente l’intenzione e l’azione, quindi con la differenza storica di rappresentare il fenomeno storico mentre si fa. Non entro nell’analisi dei 6 capitoli che lo compongono ma astraggo solo la pars contruens: il ragionamento attorno all’esperienza della Comune di Parigi del 1871. Come sappiamo anche Marx fu molto impressionato dalla tragica fine dell’esperienza comunarda e la sua definizione di “Dittatura del proletariato”, nella “Critica al programma di Gotha” (1875) è quasi un riflesso difensivo (come difendere il potere conquistato) di fronte alla sconfitta. Rimane indefinito invece l’interno dello stato proletario, la sua forma di governo, e siccome “non ci può essere vuoto” la dittatura finisce per occupare tutta la scena. Questo è il limite pessimista della teoria dello Stato in Marx, influenzata com’è dall’andamento delle rivolte spontaneiste, e Lenin vi interviene genialmente, dentro la diversa temperie storica della guerra imperialista.

Lo stato rivoluzionario e la cuoca.

Al paragrafo 2 “Con che cosa sostituire la macchina statale spezzata?” nel III Capitolo “Lo Stato e la rivoluzione. L’esperienza della Comune di Parigi (1871). L’analisi di Marx” , si legge:
La civiltà capitalistica ha creato la grande produzione, le officine, le ferrovie, la posta, il telefono, ecc.; e su questa base, l’immensa maggioranza delle funzioni del vecchio “potere statale” si sono a tal punto semplificate e possono essere ridotte a così semplici operazioni di registrazione, d’iscrizione, di controllo, da poter essere benissimo compiute da tutti i cittadini con un minimo di istruzione e per un normale “salario da operai”; si può (e si deve) quindi togliere a queste funzioni ogni minima ombra che dia loro qualsiasi carattere di privilegio e di “gerarchia”. (p.107 Ed.Riuniti a cura di Valentino Gerratana)
La moderna produzione crea le premesse “semplificanti” la burocrazia, quel quadro giustifica la ripresa del modello di governo la democrazia comunarda della rivolta parigina del 1871, della quale stava discutendo la fattibilità.
Eleggibilità assoluta, revocabilità in qualsiasi momento di tutti i funzionari senza alcuna eccezione, riduzione dei loro stipendi al livello abituale del “salario da operaio”: questi semplici e “naturali” provvedimenti democratici, mentre stringono pienamente in una comunità di interessi gli operai e la maggioranza dei contadini, servono in pari tempo da passerella tra il capitalismo e il socialismo. Questi provvedimenti concernono la riorganizzazione statale, puramente politica, della società; ma essi, naturalmente, assumono tutto il loro significato e tutta la loro importanza solo in legame con la “espropriazione degli espropriatori” realizzata o preparata; in legame cioè con la trasformazione della proprietà privata capitalistica dei mezzi di produzione in proprietà sociale.(p.107).
Per rendere meno fragile e invece vincente questa “pars construens”, Lenin aveva presupposto la critica di Marx alla Comune e la funzione repressiva della dittatura (la pars destruens) ma anche in questi passi accentuando il fatto che nella dittatura maggioritaria “lo Stato comincia ad estinguersi”.
Ma la necessità di reprimere la borghesia e di spezzarne la resistenza permane. Per la Comune era particolarmente necessario affrontare questo compito, e il non averlo fatto con sufficiente risolutezza è una delle cause della sua sconfitta. Ma qui l’organo di repressione è la maggioranza della popolazione, e non più la minoranza, come era sempre stato nel regime della schiavitù, del servaggio e della schiavitù salariata. E dal momento che è la maggioranza stessa del popolo che reprime i suoi oppressori, non c’è più bisogno di una “forza particolare” di repressione! In questo senso lo Stato comincia ad estinguersi. Invece delle istituzioni speciali di una minoranza privilegiata ( funzionari privilegiati, capi dell’esercito permanente), la maggioranza stessa può compiere direttamente le loro funzioni, e quanto più il popolo stesso assume le funzioni del potere statale, tanto meno si farà sentire la necessità di questo potere. (p.105)
In sintesi: 1) il modello di funzionamento del capitalismo semplifica quello di amministrazione; 2) l’istruzione “minima”, il civismo, permette a chiunque –anche alla cuoca o cuoco- di poter amministrare; 3) la funzione politica –per retribuzione e rappresentanza- non è trascendente è una tra i tanti lavori “sociali” liberati (produzione, istruzione, riproduzione, cura, ecc.); lo Stato, come funzione trascendente la società ha il compito residuo di reprimere la minoranza (antisociale) sfruttatrice.
In realtà, tale modello è lanciato nelle “Tesi di Aprile” dove il punto 5 recita: “Niente repubblica parlamentare – ritornare ad essa dopo i Soviet dei deputati operai sarebbe un passo indietro – ma Repubblica dei Soviet di deputati degli operai, dei salariati agricoli e dei contadini in tutto il paese, dal basso in alto. Sopprimere la polizia, l’esercito e il corpo dei funzionari. Lo stipendio dei funzionari – tutti eleggibili e revocabili in qualsiasi momento – non deve superare il salario medio di un buon operaio.”
Le tesi vengono abbozzate il 16 aprile, pochi giorni prima del ritorno di Lenin in Russia: sono l’atto di rottura dell’equilibrio borghese della rivoluzione di febbraio e l’avvio della rivoluzione comunista. Il contenuto estremamente radicale delle tesi spiazza il resto del gruppo dirigente“bolscevico” che lo sfiducia, finché con la riunione dei delegati del 20 aprile –dove sono elaborate nella forma conosciuta- non ottengono la maggioranza plebiscitaria. Lenin appoggiato dai “cuochi”, supera le diffidenze dei “tecnici”, di lì elabora il quadro teorico di Stato e Rivoluzione che prolunga i suoi effetti fino a metà degli anni venti, fino alla morte di Lenin. Lo stesso, citato, manifesto di Il’ja MakaryčevOgni cuoca dovrebbe imparare a governare lo Stato” del 1925 è l’eco del prolungato e diffuso dibattito sulla questione e attesta quanto sia vivo il tema della democrazia radicale nella prima fase della rivoluzione.

La cuoca tra mito e realtà.

Nella prospettiva e dunque nella valutazione della consistenza storica dell’argomento occorre tener conto come sia prevalso l’elemento della “dittatura” sia per l’immediato scatenarsi della guerra civile, sia per il blocco, già all’inizio degli anni 20, della rivoluzione in occidente e infine per l’interpretazione del quadro politico “ultra dittatoriale” che ne diede Stalin. Lo scritto, come detto è pietra miliare periodizzante, crea un epoca come pensa Gramsci e come è usato da Eric Hobsbawm per avviare il cosiddetto secolo breve (1914-1991). Senza addentrarci nella complessità del dibattito storico, tornerei invece alla lettera di “Stato e Rivoluzione” attraverso l’interpretazione originale che ne ha dato uno studioso eretico come Luigi Cortesi, grande storico del movimento rivoluzionario del 900. Il breve libello “Il comunismo inedito Lenin e il problema dello Stato” (ed. Punto Rosso) valorizza detta funzione di pietra miliare “superiore”: Lenin attraverso la guerra osserva bene il funzionamento interno e proprio dello Stato borghese che è quello di “Stato guerra”, categoria cara a Cortesi, e molto significativa nello spiegare la funzione sovrastrutturale, propagandistica verso i cittadini e servente verso i monopoli, della democrazia liberale. Di qui si determina il “che cosa deve estinguersi?” ma, e questo è lo squarcio potente dello scritto, c’è una proposta positiva, un paradigma di democrazia, assai vicino al comunitarismo “anarchico” sempre a giudizio di Cortesi. Qui ci sono due conferme: nel breve, nell’estate e ben oltre l’ottobre, gli anarchici sono alleati di Lenin; nella lettera di “Stato e Rivoluzione” la critica all’anarchismo è legata all’ingenuità parigina e alla mancata concezione di una transizione, cioè di una forma dittatoriale di “salute pubblica” mentre la stroncatura della socialdemocrazia è definitiva, sul piano morale –svendita al capitale- come quello sociale –corruzione della aristocrazia operaia.
Ora tornando alla cuoca (o cuoco) è colei che si trova a vivere all’interno della “restaurata comunità”. Se noi guardiamo bene infatti lo stato pace, servente la comunità, avvertiamo non poche somiglianze con il modello ideale della democrazia ateniese, dove la politica è suprema e autoritativa verso l’economico e dove tutti i cittadini sono politici. Quanto tutto ciò sia un mito è ben compendiato da Pier Luigi Fagan in “Salute economica = Salute sociale o è il contrario?” (https://pierluigifagan.wordpress.com/) . Tuttavia rimane da comprendere il suo funzionamento “pratico”, allora, nell’orientare l’adesione di masse ineducate ad un assetto statuale alternativo a quello che la “guerra imperialista” manda in pezzi, con tutte le conseguenze semplificanti e ideologiche dell’utopia; mentre, ora, dentro un’altra e superiore crisi della democrazia parlamentare, si avverte la necessità di ripensare una partecipazione educata e governante. Il contesto certamente complesso del mondo globale ma tendenzialmente semplificato dalla crisi della società moderna (fine del lavoro, concentrazione delle ricchezze, agire comunicativo) può offrire una qualche chance alla cuoca di andar oltre le sue teglie, il suo specialismo, e accedere ad un’universale “pubblica virtù”? Davvero la politica è solo tecnica esoterica o questo è il suo assetto “servente” le trame dei “vizi privati” economici? La cuoca al governo è simbolo (quindi anche mito) di un’inversione prioritaria: i segreti, la forza, la guerra, la natura assoluta e separata dello Stato vengono resi “chiari” e disponibili, come gli ingredienti di una ricetta.
Torno da “Mamma Roma”, sperando che un giorno arrivi una cuoca a curarla.
.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.