Il sionismo è il cancro al cuore delle politiche internazionali: deve essere curato prima che ci consumi tutti, ovunque nel mondo ( Alan Hart )
Non sono malvagi perché sono sionisti, sono sionisti perché sono malvagi ( I rabbini Naturei Karta )
L’opera di Alan Hart – a dire il vero si tratta del primo volume di una trilogia – , Il sionismo, il vero nemico degli ebrei, è stato definito come il libro che nessuno ha voluto recensire. Leggendo il testo e verificando le numerosissime fonti citate dal grande giornalista britannico, il motivo di tutto ciò è ben chiaro e nel retro dell’opera trova una sintesi efficace nelle parole di Rabbi Ahron Cohen ‘’Alan Hart, col suo agghiacciante e scorrevole racconto, rivelatore degli intrighi e dello sviluppo del sionismo, ha dato un contributo estremamente prezioso’’. Prezioso per cosa, chiediamo noi ? Prezioso, certamente, nel ricostruire in modo puntuale la colonizzazione della Palestina storica, progetto imperialistico che non si sarebbe mai realizzato senza il preponderante ruolo delle lobby sioniste negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna.
Il filosofo ebreo anticolonialista, Bertell Ollman, nella sua Lettera di dimissioni dal popolo ebraico definisce il sionismo come una forma particolarmente virulenta di nazionalismo, eppure dobbiamo constatare con preoccupazione che mai una ideologia nazionalista ( sciovinista ) e razzista ( etnicista ) è mai stata rispettata tanto quanto il sionismo. Sarà, forse, per i numerosi equivoci che il “nazionalismo ebraico” nel corso della storia ha generato ?
Lo storico Diego Siragusa – a cui va il merito di aver tradotto il primo volume di Hart – mette in risalto come sia insensato parlare di “sinistra sionista” e “destra sionista”. Come si può essere di sinistra ed appoggiare un progetto che si fonda sulla pulizia etnica ? Siragusa nella sua prefazione al testo di Hart ci ricorda che “la politica delle destre in Israele non è la ‘’negazione del sionismo’, bensì il suo più conseguente inveramento”
Il libro di Hart è prezioso perché – come dice Ilan Pappe – contiene tutta la verità in sette parole ovvero – e ricito il titolo del libro – Il sionismo, il vero nemico degli ebrei. Il giornalista quindi ci mostra come fin dalla nascita del movimento colonialista ebraico – il cui principale artefice fu Theodor Herzl – i sionisti non si siano fatti scrupoli a collaborare con gli antisemiti della peggior specie compresi i criminali nazisti. “Gli antisemiti lavorano anche per noi”, era solito ripetere Herlz e prosegue “Basta che continuino sulla loro strada, e il desiderio di emigrare degli ebrei si sveglierà, dove ancora non c’è, e si rafforzerà dove è già presente”. Lo stesso sionista italiano, Enzo Sereni, una volta disse ‘’L’antisemitismo di Hitler potrebbe ancora portare alla salvezza degli ebrei’’ ( cit. Diego Siragusa, Il terrorismo impunito, Ed. Zambon ), tutte cose che rendono ancora più ipocrita l’industria dell’Olocausto (e la speculazione ideologica sull’Olocausto) messa in moto dal gruppo dirigente israeliano, la macchina propagandista che consente ad Israele di portare avanti i suoi crimini contro i popoli della regione.
Il Capitolo 4 del libro di Hart – Perché la Gran Bretagna giocò la carta sionista – ha a mio avviso una particolare importanza perché, mettendo in risalto il carattere ferocemente anticomunista del nazionalismo ebraico, chiarisce anche la sua natura sociale ( borghese ed imperialistica ). Hart analizza con grande precisione gli eventi che portarono alla Rivoluzione bolscevica. Proviamo a seguirlo.
In Russia il crollo della monarchia zarista, sistema che “era marcio fino al midollo”, apre la strada alla prima Rivoluzione, quella che verrà definita la “rivoluzione dei moderati” (liberal borghese).
Gli inglesi – dice Hart – si fanno due domande fondamentali: (1) avrebbe avuto il Governo Provvisorio la volontà di tenere la Russia in guerra, anche a costo di reprimere l’opposizione, se necessario ? (2) avrebbe avuto il Governo Provvisorio la capacità di contenere e sconfiggere le forze anticapitaliste e comuniste emergenti, al fine di evitare una seconda rivoluzione e la creazione di una Russia comunista ? ( pag. 123 )
Perseguitati dalla dittatura zarista molti ebrei erano diventati radicali e comunisti, essi svolsero un ruolo importante nella mobilitazione contro la borghesia russa. Finalmente il proletariato ebraico si dimostra progressista e ricco di idee sociali innovative, gli ebrei ( e questo passo merita di essere sottolineato ) “erano, insomma, l’avanguardia di coloro che avevano preferito andare verso una vera e propria rivoluzione e l’istituzione di un sistema comunista, interrompendo la partecipazione della Russia alla guerra” ( pag. 124 ).
Quali misure presero, davanti a ciò, i colonialisti britannici ? Semplice, cercarono di spezzare la solidarietà di classe, mettendo gli ebrei l’uno contro l’altro, ovvero persuasero alcuni ebrei a cambiare idea, ad abbandonare il comunismo, convincendoli che la Russia dovesse restare in guerra. Un progetto che, come sappiamo, fallì !
Inoltre, al pari di altri storici prevalentemente di formazione marxista, Alan Hart riscontra che la vittoria dei bolscevichi si ebbe soprattutto in virtù della loro intransigente opposizione alla guerra sotto le parole d’ordine della pace e dell’antimilitarismo radicale. La Gran Bretagna e gli Usa non potevano non essere allarmati e i sionisti si schierarono, senza remore, dalla loro parte, nel campo neocolonialista.
Hart descrive il dibattito interno al bolscevismo: da un lato Stalin parlava della necessità di edificare il socialismo in un solo paese facendo dell’Urss la roccaforte della lotta allo sciovinismo borghese; di contro Trotsky voleva esportare il modello bolscevico. Il giudizio del giornalista britannico è questo: ‘’Dopo la prima rivoluzione, prima della Dichiarazione di Balfour, il pensiero degli inglesi si poteva riassumere così; se ci fosse stata una seconda rivoluzione, e se, in seguito le idee di Trockij avessero prevalso, una Russia comunista sarebbe diventata il motore dell’anticapitalismo e avrebbe potuto ispirare e sostenere le rivoluzioni dei lavoratori in tutto l’occidente capitalista e, senza dubbio, anche nelle colonie dell’impero britannico. Trockij coi suoi rivoluzionari ebrei dovevano essere fermati’’. ( pag. 128 )
Arrivati a questo punto entra in scena l’allora Ministro per la Guerra, Winston Churchill, il quale scrisse un articolo intitolato “Il sionismo contro il bolscevismo”. Secondo il leader colonialista britannico il sionismo doveva diventare un ‘’piede di porco’’ anticomunista, ruolo che i sionisti accettarono secondo uno schema di servitù/padronato: i padroni di oggi – dicono i sionisti – possono diventare i servi di domani, i rapporti di forza ( e di convenienza ) mutano sempre.
Churchill, da leader pragmatico, valuta fino in fondo la presa del sionismo in Russia, la capacità di questa ideologia razzista e borghese di poter influenzare le masse più arretrate e destabilizzare il potere bolscevico. Preso atto della complessità del contesto storico, Hart esprime un dubbio: ‘’Si poteva contare sulla speranza che i sionisti potessero convincere quegli ebrei russi che sostenevano Trockij ad allontanarsi dal sentiero della rivoluzione ? Oppure erano Weizmann e i suoi colleghi della dirigenza impegnati dall’inizio a impostare un ebreo contro l’altro in Russia, al fine di ridurre le prospettive di vittoria per il comunismo ?’’ ( pag. 129 )
La domanda resta, come ho premesso, senza risposta. Una cosa è certa: i sionisti non avevano a cuore la sorte degli ebrei russi, anzi, li avrebbero volentieri fatti diventare carne da macello, per lo Zar prima e per Kornilov dopo. Il profitto – per i fondatori di Israele – viene prima di tutto !
Alan Hart nello studiare la situazione ebraica distingue il sionismo spirituale dal sionismo politico. Questa duplice distinzione è fondamentale per comprendere, fino il fondo, il metodo di analisi da lui stesso utilizzato. Il nostro è convinto che “tutti gli ebrei che sono religiosi potrebbero considerarsi sionisti spirituali, nel senso che guardano a Gerusalemme come loro centro o capitale spirituale” ( pag. 25 ). Il sionismo borghese e colonialista, al contrario, è il sionismo politico il quale si scontra frontalmente col Giudaismo. Perché accenno a ciò ? La risposta è facile: dopo aver messo in risalto il carattere colonialista del sionismo ( natura sociale del nazionalismo ebraico ), è gioco facile rendere noto il fondamento antiebraico ( antigiudaico ) di questa ideologia col suo corrispettivo movimento politico. Il fatto che sia partito dal rapporto sionismo/imperialismo per arrivare – – solo dopo – alla questione religiosa non è casuale: soltanto una analisi attenta delle strutture economiche – basi economiche su cui poggiano le organizzazioni politiche – può chiarire i risvolti ideologici e dottrinali.
Il Capitolo 5, non per niente, è intitolato: “Ahad Ha’am e il falso messi”a. Chi è Ahad Ha’am ? Ahad Ha’am ( tradotto: Uno del popolo ), vissuto dal 1856 al 1927, fu un prestigioso studioso ebreo, filosofo, moralista e umanista del suo tempo. Per questa autorità religiosa la distinzione fra sionismo spirituale e sionismo politico era importante, infatti “Uno del popolo” avrebbe accolto una casa ebraica in Palestina ma priva di sovranità politica. I padri del sionismo colonialista vennero da lui avvertiti: la creazione di uno Stato nazionale ebraico – con una propria burocrazia repressiva e militare – avrebbe corroso fin dalle fondamenta lo spirito dell’ebraismo. L’impresa di Herzl, Weizmann e Ben Gurion era – stando alle sue parole – prima di tutto moralmente errata. Dall’errore morale, la storia ci dice, si è passati alla tragedia e al crimine sistematico ( Alan Hart lo ripete sempre ).
Hart allora segue, per filo e per segno, il discorso dei rabbini antisionisti, citando il libro di Harkabi intitolato Il Giudaismo ed il sionismo ( pag. 146; pag. 147 ). Provo a ripercorrere anch’io lo stesso filo logico estrapolando qualche breve citazione utile.
‘’L’attaccamento del sionismo alla Terra d’Israele è radicato nella religione ebraica, ma l’ebraismo in sé non è sionista, e gli ebrei attraverso le generazioni non sono stati sionisti, anche se di anno in anno esprimevano la fervida speranza ‘L’anno prossimo a Gerusalemme!’, o l’ammonizione che ‘Vivere in Eretz Israel è pesante come tutti gli altri comandamenti’.’’
‘’Il sionismo non è un ideale, ma è la realizzazione di un’intenzione, un programma politico’’.
‘’La storiografia sionista ha quindi commesso un errore nel descrivere gli ebrei come se fossero sempre stati sionisti, per distinguere tra l’amore per Sion e il sionismo come programma politico è essenziale una corretta comprensione della storia ebraica’’.
Ma quali sono questi precetti religiosi ebraici ? L’idea politica centrale del Giudaismo si esprime in tre giuramenti talmudici: (1) non ci sarà movimento di massa degli ebrei dalle terre della diaspora nella terra di Israele; (2) non ci sarà ribellione contro le nazioni del mondo; (3) non ci sarà un’eccessiva oppressione del popolo ebraico da parte dei Gentili.
Insomma, il sionismo si colloca in aperta rottura col giudaismo o almeno con le componenti più ortodosse e antirevisioniste. Chiarito questo punto essenziale, ancora un ulteriore elemento di riflessione che aggrava la situazione ( magari in vista di un contraddittorio ): gli studi dell’israeliano Shlomo Sand hanno messo in risalto la provenienza dalla Khazaria della elite sionista, vale a dire la mancanza di legami di questo gruppo dirigente – che in realtà ha usato i sefarditi ( semiti come gli arabi ) come piede di porco del proprio progetto imperialistico – con la Terra Santa e la Diaspora. Hart conosce bene non solo Sand ma anche gli studi di Arthur Koestler sulla tredicesima tribù, citati abbondantemente in varie parti del libro. Il giornalista britannico concorda con lo storico israeliano: il popolo ebraico è stato inventato, ma in che modo ? Ecco la risposta: ‘’A cavallo del ventesimo secolo, gli ebrei sionisti hanno contestato questa idea – si riferisce al fatto che l’unico elemento unificante per il popolo ebraico fosse la religione – e hanno iniziato a creare una storia nazionale inventando la teoria che gli ebrei esistevano come popolo separato dalla propria religione’’. ( pag. 96 )
La studiosa arabovenezuelana Susana Khalid, constatato che i sionisti non sono semiti, ha detto in modo corretto: gli israeliani non sono israeliti. I miti sui cui si fonda l’imperialismo israeliano, a poco, a poco, iniziano a cadere.
Il libro che sto presentando contribuisce, per la moltitudine di fonti citate, a svelare il grande inganno, il carattere falso ( per l’appunto: falso messia o mito ambiguo ) del sionismo. Il Capitolo 6 è intitolato I sionisti onesti – pare un ossimoro: possono esistere sionisti ( quindi colonialisti ) onesti ed in buona fede – e inchioda in modo inopinabile il nazionalismo ebraico mettendolo con le spalle al muro. Cosa c’è di più duro dello stesso fuoco amico ( o ex amico ) ?
Hart ripercorre il pensiero di alcuni ebrei aderenti alla Organizzazione Sionista Mondiale che, col passare del tempo, compresero la pericolosità di questa ideologia e del corrispettivo movimento politico fino a diventare ebrei – spesso anche fedeli alla religione ebraica – antisionisti.
“L’inchiostro sulla missione disonesta del sionista – dice il nostro – era quasi asciutto, quando la Conferenza Centrale dei Rabbini americani adottò una risoluzione di disapprovazione di qualsiasi tentativo di stabilire uno stato ebraico”. La caratteristica di questo saggio è quella di riuscire a tenere insieme l’antimperialismo radicale col rispetto della libertà religiosa che in questo caso corrisponde al meglio della religione ebraica. Allora Hart non poteva non ricordare il memorandum di Edwin Samuel Montagu, unico ebreo inglese nel gabinetto e Segretario di Stato per l’India, reso pubblico solo nel 1970.
Secondo questo ebreo antisionista ‘’la politica del governo di Sua Maestà è antisemita nei fatti e si rivelerà un campo di scontro per gli antisemiti ovuque nel mondo’’ ( pag. 136 )
Il titolo del memorandum è eloquente: L’antisemitismo dell’Attuale Governo, pare quasi un atto d’accusa. “Questo prestigioso ebreo – chiarisce Hart – temeva che l’approvazione, da parte del governo, del progetto sionista per la Palestina avrebbe potuto mettere in pericolo lo status duramente conquistato dagli ebrei come comunità religiosa integrata nei paesi occidentali in cui vivevano, che godevano della parità di diritti, privilegi ed obblighi”. Era un po’ come se gli inglesi gridassero “ebrei non vi vogliamo”, oppure “ebrei siete diversi, non potete stare con noi”. Tutto ciò avrebbe acceso l’antisemitismo che, come stiamo vedendo, è il primo alleato dello sciovinismo israeliano.
Durante i 26 anni del Mandato britannico sulla Palestina i conflitti messi in moto furono tre: (1) tra gli arabi della Palestina e gli ebrei sionisti in arrivo; (2) tra i nazionalisti palestinesi ( antimperialisti ) e le forze di occupazione britanniche; (3) tra gli ebrei sionisti in Palestina e gli inglesi.
La conoscenza che Hart ha della storia mediorientale è immensa. Ancora una volta seguiamo fedelmente la strada che lui stesso traccia.
“Senza la presenza britannica il sionismo non avrebbe potuto radicarsi in Palestina. Da parte loro, i palestinesi avrebbero potuto cacciare i sionisti. Tra il 1933, quando Hitler salì al potere in Germania, e il 1936, quando i palestinesi si ribellarono, il numero degli ebrei in Palestina era quasi raddoppiato, da poco più di 200.000 a 400.000. L’immigrazione ebraica, in tale misura, servì solo a rafforzare la convinzione arabo-palestinese che la Gran Bretagna fosse segretamente impegnata nella creazione di uno stato ebraico in Palestina. ( pag. 198 )
Nel 1936, uno sciopero di sei mesi diede vita ad una nuova ribellione palestinese su vasta scala. Nonostante la brutale repressione e la legge marziale in vigore, l’imperialismo britannico non riuscì a spezzare la Resistenza palestinese. Il Mandato e l’attuazione della Dichiarazione di Balfour ( 1917 ) con cui si decise la svendita di quei territori, erano fortemente compromessi.
Gli inglesi solo a questo punto – ripeto: solo a questo punto ! – capirono di aver sbagliato politica. Il Libro Bianco del 1939 indicava l’ambiguità dell’espressione ‘’una patria nazionale per il popolo ebraico’’, e ‘’l’incertezza circa l’obiettivo della politica ( della Gran Bretagna ).’’ Questa incertezza fu ( riporto testualmente ) la ‘’causa fondamentale dei disordini ( un eufemismo parlando della ribellione araba ) e dell’ostilità tra arabi ed ebrei’’. ( pag. 200 )
La Gran Bretagna, vista la forza della lobby sionista interna, negli anni successivi dimostrò di non avere intenzione di consentire ad altri ebrei di entrare in Palestina senza il consenso degli arabi ( pag. 202 ). La cosa urtò la dirigenza sionista e Ben Gurion, eminenza grigia del nazionalismo ebraico, si spinse a dire: ‘’Noi combatteremo con gli inglesi contro Hitler come se non ci fosse il Libro Bianco e combatteremo il Libro Bianco come se non ci fosse la guerra’’. ( cit. tratta da pag. 204 )
Una mia provocazione, che nasce spontanea: si tratta dello stesso Ben Gurion che negli stessi anni ebbe a dire “Se potessi salvare tutti i bambini della Germania portandoli in Inghilterra e solo la metà di Israele, sceglierei la seconda.” ? Lo stesso leader sionista, cinicamente, disse, di fronte alla tragedia della Shoah, che ‘’il sionismo viene prima di tutto’’. Una posizione quanto meno ipocrita e opportunista.
Il libro getta una nuova luce anche su quelle componenti sioniste che collaborarono attivamente col nazifascismo. Nel 1933 il governo nazista tedesco stipulò con la destra sionista l’ ‘’Accordo di Trasferimento’’, o “Haavara Agreement”, un patto oramai tristemente famoso. In che cosa consisteva ? La borghesia israelita depositava i soldi ricavati dalla vendita dei propri beni in un conto finalizzato all’acquisto di strumenti per l’agricoltura prodotti in Germania ed esportati in Palestina tramite una compagnia ebraica, l’Haavara di Tel Aviv. Questo accordo fu sottoscritto da Kurt Schmitt, Ministro dell’economia del Reich, e dal rappresentate del Movimento Sionista in Palestina, Chaim Arlosoroff, successivamente assassinato.
Si rafforza in questo modo il sionismo razzista ed etnicista di personaggi come Jabotinsky e Begin, entrambi ammiratori delle dittature nazista e fascista. Jabotinsky, con il suo testo Il muro di ferro, ci dà una chiara idea di cosa fu ( di cosa è ? ) il fascismo ebraico. Sentiamo:
‘’Ogni colonizzazione, anche la più ristretta, deve continuare a dispetto della volontà della popolazione nativa. Pertanto, si può proseguire e svilupparsi solo sotto lo scudo della forza che comprende un muro di ferro che la popolazione locale non potrà mai sfondare. Questa è la nostra politica araba. Formularla in altro modo sarebbe ipocrisia’’ ( cit. pag. 160 )
La citazione deve essere messa in risalto: tutta la politica di Israele si fonda su ciò, ovvero sulla costante convinzione che per sopravvivere il ‘’popolo’’ israeliano debba costruire un vero e proprio muro di ferro. Jabotinsky disse “Andiamo in Palestina a colonizzare con la forza dei territori che non ci appartengono”, oggi il leader del Likud, l’estrema destra israeliana, Netanyahu ( responsabile di numerosi massacri ), afferma “non sorgerà mai uno Stato palestinese”. Si tratta di una concezione della politica internazionale basata sulla normalizzazione della violenza. E’ evidente come il sionismo sia incompatibile con qualsiasi ideale democratico.
La presenza dei sionisti in Palestina fu quindi facilitata dal colonialismo britannico, dalla collaborazione fra l’estrema destra ebraica e i nazisti ma – spiega Hart – anche dalla imprevista presa di potere della lobby sionista negli Usa. L’Olocausto, proprio per i sionisti statunitensi, fu un bene. Il nostro non ha dubbi: ‘’Nel 1939, il sionismo aveva stabilito una notevole presenza in Palestina, e un sufficiente potere di lobby in America, per trasformare, a suo proprio vantaggio, la cosa terribile che stava per accadere: l’Olocausto nazista’’ ( pag. 205 ). Possiamo voltare pagina utilizzando le parole di Alan Hart: ‘’Olocausto: Morte ebraica, Vita sionista’’.
L’ultima parte del libro analizza il peso della lobby sionista – Hart insiste sul carattere sionista della lobby, evitando di utilizzare termini, a suo dire equivoci, come ‘’lobby ebraica’’ o ‘’lobby israeliana’’ – negli Usa. Senza l’intervento della lobby, Israele, forse non sarebbe nata.
Il nostro impreziosisce la sua ricerca citando le Memorie del Presidente nord-americano Truman, il quale, molto francamente, ammette:
‘’L’insistenza di alcuni capi-sionisti estremisti azionati da motivi politici, e impegnati in minacce politiche, mi hanno disturbato e infastidito’’. ( cit. pag. 318 )
Non ho mai approvato il loro metodo di imporre con la forza la loro volontà ai deboli sia tra gli uomini che tra le nazioni’’.
Minacce politiche ? Truman – nota Hart – sapeva bene che, con tale preavviso, il suo destino politico era oramai in mano ai nazionalisti ebraici, non poteva fare altro che sottostare ai loro ricatti. Le parole usate dal giornalista britannico meritano di essere riportate per l’ennesima volta: ‘’A mio parere, non è irragionevole ipotizzare che Ben Gurion avesse informato Truman che, se gli Stati Uniti non avessero riconosciuto lo Stato ebraico subito dopo la sua creazione, l’avrebbe fatto l’Unione Sovietica, e Israele, di conseguenza, l’avrebbe riconosciuta come sua amica e superpotenza alleata, non gli Stati Uniti. In breve, credo possibile che Ben Gurion giocasse, o avesse giocato per Truman, la carta del ricatto finale’’ ( pag. 362 )
Domanda: Israele avrebbe mai accettato di convivere con l’Urss che, seppur revisionista, restava un paese socialista? I fatti storici ci inducono a pensare che l’imperialismo israeliano, magari in modo diverso, si sarebbe riunito alla crociata anticomunista occidentale. Un elemento però, voglio metterlo assolutamente in risalto: il sionismo strumentalizza tutto ciò che, nell’immediatezza, può essere manovrato. In questi termini avremo sempre “un Islam israeliano, un fascismo israeliano ed un comunismo israeliano”. Per i sionisti tutto può diventare un’utile pedina, basta saper fare le offerte giuste.
L’ultimo capitolo del libro – Il ‘’suicidio’’ di Forrestal – descrive la strana morte di James Forrestal, Segretario della Difesa degli Usa ed irriducibile avversario del progetto imperialistico sionista.
Hart ripercorre il caso Forrestal in modo puntiglioso ma prefersco portare l’attenzione del lettore su un argomento preciso. Cito Hart:
“Forrestal sapeva che stava chiedendo agli Stati Uniti di prendere un ‘’rischio calcolato per la sicurezza’’, ma si giustificò con queste parole: ‘’Finchè siamo in grado di produrre più di chiunque altro al mondo, in grado di controllare il mare e colpire l’entroterra con la bomba atomica, possiamo assumere determinati rischi, altrimenti inaccettabili, nel tentativo di ristabilire il commercio mondiale, ripristinare il rapporto di forza, la potenza militare ed eliminare alcune delle condizioni che generano la guerra’’’’ ( pag. 380 )
Forrestal era un uomo di destra che credeva nel capitalismo e nella forza della borghesia nord-americana. La lobby sionista, che è riuscito a piegare la sua resistenza anche grazie al precipitare degli eventi su scala mondiale, alla prova dei fatti, si è rivelata più forte dei gruppi sociali che l’appoggiavano. Ecco un’altra domanda a cui dobbiamo rispondere ( e la sottolineo ! ): Chi comanda ? L’imperialismo statunitense o le lobby sioniste ?
Quesiti fondamentali che il libro di Hart ha il merito di gettare e a cui noi, con coraggio e onestà, dobbiamo dare una risposta quanto prima possibile. Il sionismo, spiega Hart nel suo lavoro, non è un problema solo per i palestinesi ma per tutto il mondo. Affrontiamolo.